venerdì 15 febbraio 2008

Il Foglio. "Cronaca di una normalissima selezione"

L’ospedale di Napoli, il film con due “x”, la storia di Maurizio e il prof che chiama le cose con il loro nome

Napoli. “Non c’era altra scelta. Appena mi hanno comunicato che mio figlio sarebbe stato malato per tutta la sua vita non ho avuto dubbi e ho deciso d’istinto: abortisco”. La signora Silvana ha 39 anni, non è sposata, vive a ventidue chilometri da Napoli, a Frattamaggiore, e quattro giorni fa ha abortito un feto di ventuno settimane al Policlinico Federico II, a Napoli; lo ha fatto dopo aver scoperto che il suo bambino “sarebbe stato un malato per tutta la sua vita” a causa di un disordine genetico chiamato 47xxy e conosciuto con il nome di “sindrome di Klinefelter”. Un disordine genetico così diffuso che solo in Italia colpisce un uomo ogni cinquecento nati. Come spiega al Foglio il professor Carlo Foresta, importante endocrinologo all’Università di Padova, “una sindrome come quella di Klinefelter è caratterizzata da testicoli piccoli, da grandi mammelle e da un’alta probabilità di essere sterili. Ma questa è una sindrome che si può curare, perché le terapie a disposizione sono moltissime, e per le carenze di testosterone, causate dall’anomalia cromosomica, esistono molte soluzioni. Ci vuole un po’ di tempo, ma volendo si può. Ed è per questo che con una patologia come questa in Italia vivono quasi 60 mila persone: persone non drammaticamente malate, persone che stanno bene”.
Tra i 60 mila uomini con sindrome di Klinefelter, c’è Maurizio Fornatari, da due anni presidente dell’Unione Italiana Sindrome di Klinefelter. Maurizio, pochi mesi fa, ha chiesto un risarcimento danni a Lucía Puenzo, la regista che lo scorso anno ha vinto a Cannes il premio della Settimana della critica con il film “xxy” descrivendo i Klinefelter come se fossero ermafroditi. Ora Maurizio sta pensando di querelare qualche giornale. “E’ una follia scrivere che una sindrome come questa comporta il ‘40 per cento di possibilità di disturbi mentali’. Non scherziamo con le statistiche. Conosco migliaia di persone che hanno il mio stesso problema e che vivono benissimo; e il bello è che la metà dei Klinefelter vive senza sapere di avere questo problema. Certo, non bisogna generalizzare, ma con una sindrome come questa l’amniocentesi dovrebbe avere una funzione importante per individuare presto il disordine cromosomico e cominciare le cure da giovani”.
Nella strana storia di Napoli c’è però un passaggio a cui le cronache di questi giorni non hanno dato molto peso. Ci si arriva ricostruendo le tappe principali del caso. La signora Silvana arriva all’ospedale di Frattamaggiore il 18 gennaio per sottoporsi all’amniocentesi; il pomeriggio del 31 gennaio riceverà il referto con la diagnosi, era un “xxy”, la forma più lieve di Klinefelter. Pochi giorni dopo, l’8 febbraio, Silvana verrà ricoverata al Policlinico, dove le saranno somministrate, per tre giorni, cinque candelette di prostaglandine per stimolare le contrazioni dell’utero ed espellere il feto. Alle 18.30 dell’11 febbraio Silvana abortirà un bimbo già morto. Alle 19.20, dopo che i dottori avranno finito di ripulirle l’utero, Silvana esce dalla sala operatoria e, intorno alle 20, viene interrogata in ospedale da due poliziotti (un uomo e una donna) allertati da una telefonata non anonima. Ma la signora Silvana dove ha abortito? Spiega al Foglio una ginecologa del Policlinico di Napoli che la donna avrebbe espulso il feto in un bagno al secondo piano. Il procuratore capo di Napoli, Giovandomenico Lepori, sembra confermare la versione: “La telefonata ricevuta indicava la presenza di una donna in una precisa stanza del Policlinico chiusa in bagno per abortire”. “Io però faccio un ragionamento semplice – aggiunge il professor Foresta – Se davvero consideriamo il Klinefelter una patologia diversa dal ‘normale’, e dunque non degna di vivere, il rischio è che il concetto di ‘normalità’ possa diversificarsi nel tempo. Il rischio, per capire, è che prima o poi possa essere considerato preventivamente anormale anche un bambino albino. E dunque, se qualcuno dovesse scoprire un giorno qual è il gene che determina il diabete, chissà che non venga considerato ‘anormale’ anche questo. Un Klinefelter, però, non è a rischio: è una persona per cui esistono cure e terapie. Ecco, se dovesse passare, o consolidarsi, il messaggio che di sindrome come queste è possibile morire prima di nascere sarebbe molto pericoloso. E questa è una prassi che oggi io chiamo senza problemi così: eugenetica”.
Claudio Cerasa
15/2/08

Nessun commento: