giovedì 28 febbraio 2008

Il Foglio. "Così la castrazione chimica è entrata in campagna elettorale"

Sceriffo, forbici, pedofili e il pugno durissimo di Veltroni e Fini. Se ne può parlare? Forse sì, forse no

Roma. E ora? Che fare con questa storiaccia della castrazione? La notizia è quella che avete letto su tutti i giornali: la castrazione chimica per i pedofili è diventata un muscoloso argomento da campagna elettorale, Walter Veltroni ha confessato di non poterne escludere l’applicazione, Gianfranco Fini, già qualche giorno prima, aveva usato più o meno le stesse parole di W e l’ex ministro Roberto Calderoli aveva anticipato la questione già cinque anni fa: quando però il tema della pedofilia non era arrivato così violentemente anche in seconda serata e quando l’approccio della tolleranza zero contro i pedofili non era stato ancora identificato come formidabile strumento di consenso elettorale (come spiegato anche su questo giornale da Emily Horowitz). Il tema è molto delicato: la pedofilia è uno di quei crimini che viene circoscritto a fatica nell’espressione, un po’ rozza ma efficace, di “reato come gli altri” ed è per questo molto difficile trovarsi in disaccordo con chi parli di “tolleranza zero” e di “certezza della pena”. Allo stesso tempo, però, è altrettanto faticoso non ammettere che l’espressione “castrazione chimica” non può che far venire parecchi brividi, per quanto poi dietro l’idea di una grande forbice spalancata ci sia in realtà una cura farmacologica a base di ormoni che inibiscono la produzione di testosterone; ma si sa: tra “cura ormonale” e “castrazione” lo sceriffo in foto viene meglio impugnando la seconda.

La cronaca di oggi e la Turco di ieri
Certo, viene da sorridere sul consenso che oggi Veltroni trova sul suo “pugno duro”, come scritto ieri dall’Unità (anche se nel testo della proposta di legge il Pd di castrazione non ne parla mai), visto che qualche anno fa, sulla stessa proposta di castrazione, era il ministro Turco a ricordare che “misure di questo tipo ledono inutilmente lo stato di diritto: non si deve cadere nell’emotività quando si legifera su questioni tanto orribili”.
Che dire, dunque, di questa storiaccia? Ieri mattina, il Foglio ha riflettuto a lungo sull’argomento e ha ragionato su un paio di punti che potrebbero essere interessanti per circoscriverlo. E’ vero che il costo sociale di un detenuto può anche essere una delle motivazioni che giustificherebbe la castrazione (allo stato costa meno un ormone che una detenzione); è vero che l’eco di eugenetica mengeliana è sufficientemente forte da far mettere la testa sotto il cuscino; ed è altrettanto corretto dire “un conto è proporre l’inibizione ormonale come possibile integrazione di una pena, un altro, meno comprensibile, è quello di considerare questa ‘cura’ semplicemente sostitutiva”. Ma forse il punto è un altro: è giusto, per esempio, ridurre tutto a pura medicalizzazione? Non è difficile, infatti, trovarsi di fronte a casi di pedofili recidivi, come successo pochi giorni fa ad Agrigento con un uomo condannato per abuso di minori che uscito di carcere ha abusato ancora; e non è neppure difficile trovarsi di fronte a casi come quello capitato a Roma, qualche anno fa, quando un uomo arrestato per pedofilia aveva chiesto di “essere sottoposto alla castrazione chimica per tornare a essere un uomo normale”. Davvero lo stato può combattere il testosterone solo con la sua forbice chimica? L’impressione è che sia un po’ pericoloso ammettere che alcuni reati come quelli a sfondo sessuale (quindi causati da pulsioni per alcuni incontrollabili) siano “risolvibili” solo con cure mediche e siano quindi per certi versi inevitabili. Può essere così, ma questa può anche essere una scappatoia facile facile per non ammettere il fallimento della prevenzione di un reato e la mancata funzione rieducativa della detenzione. Si dirà: e se il pedofilo sconta la pena e dice di non essere pentito? Le soluzioni non mancano. In Italia, assieme al carcere, ci sarebbero gli arresti domiciliari e in Francia, per esempio, si discute della possibilità che un giudice prolunghi la pena del detenuto nel caso in cui ci sia possibilità di recidiva (si chiama retention de surete). Ci sono poi un paio di altre cose poco chiare: non è chiaro se la castrazione deve essere prevista anche per una maestra dell’asilo, per chi scarica materiale pedopornografico e per chi molesta i minori senza violentarli direttamente. Come detto ieri al Foglio, non c’è dubbio che con la castrazione si tagli la testa al toro, ma è anche probabile che parlare di “estensione dei termini di custodia cautelare per i pedofili” – e dire dunque che per reati più reati di altri lo stato di diritto può pure essere strapazzato – è rischioso, vista la facilità con cui sotto la polvere di reati così spaventosi spesso si nascondono mostri, ma altrettanto spesso germogliano terribili e spaventose cacce alle streghe.
Claudio Cerasa
28/02/08

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