lunedì 25 febbraio 2008

Il Foglio. "Che cosa significa interrompere una gravidanza. Nei dettagli"

Infermiere, anestesista, tubo, contenitore, contenuto, espulsione. Un ginecologo romano e la cronaca di una normale ivg

Serve un infermiere, un anestesista, un ginecologo, uno psicologo, una cannula, un tubicino, un lettino, un certificato, un aspiratore e un contenitore. Nei primi novanta giorni di gravidanza, l’aborto funziona così; ma se vai in un consultorio, oppure in un ospedale, in una clinica, in uno studio privato o in un ambulatorio, nelle prime dodici settimane di gestazione la parola “aborto” è una parola che semplicemente non esiste: perché lo psicologo ti dirà “ivg”, in consultorio la chiameranno “interruzione” e in ambulatorio, sostituendo di volta in volta la parola con la tecnica, parleranno di “karman”, di “raschiamento” e di “aspirazione del materiale”. La parola aborto è una parola che clinicamente compare sotto forma di acronimo (“a. t.”, aborto terapeutico) solo a partire dal secondo trimestre di gravidanza, in quell’arco di tempo che va dalla dodicesima alla ventunesima settimana e durante il quale, come direbbe il ginecologo, gli aborti “hanno sempre mantenuto un andamento costante”: 3.585 nel 2006, il 2,7 per cento degli aborti totali in Italia. Il dato però più interessante sulle interruzioni di gravidanza, quello che il ministero della Salute nasconde in un capoverso a pagina trenta della sua ultima relazione sull’attuazione della legge 194, è quello relativo agli aborti effettuati in “età precoce”; quelli, cioè, fatti prima delle otto settimane (il 37 per cento di quelli effettuati nel 2004, e il 38,4 per cento di quelli registrati nel 2005); e quelli fatti tra l’undicesima e la dodicesima settimana (circa il 15,8 per cento di quelli totali).
Prima della dodicesima settimana, la tecnica di aborto più utilizzata in Italia, e non solo qui, è quella che gli infermieri, i medici, i terapeuti e gli anestesisti definiscono “non traumatica”: si tratta del “metodo karman”, un metodo che prende il nome da una cannula che si introduce nell’utero della donna; un metodo così semplice, e così diffuso, che nel 1975 fu descritto così in un libro pubblicato da Savelli Editore: “Per imparare a fare l’aborto col karman basta avere la mano ferma, un po’ di delicatezza, e vederlo fare da qualcuno già esperto, un dieci, venti volte; poi farlo altre dieci venti volte con l’assistenza di qualcuno esperto. E’ tutto lì: non occorre studiare medicina per cinque anni. E’ per questo che è un metodo rivoluzionario: perché possiamo impararlo tutte e farci gli aborti l’una con l’altra”. Il volume, pubblicato nel 1975 si chiamava “Manuale di autocura e autogestione aborto”; ed è un manuale che ricorda piuttosto bene il ginecologo non obiettore dell’ospedale San Camillo di Roma che racconta al Foglio cosa significa concretamente “interrompere la gravidanza” prima della dodicesima settimana. E lo racconta nei dettagli.
L’ospedale San Camillo di Roma è uno dei due ospedali della capitale in cui vengono registrate più interruzioni di gravidanza in tutta la regione: 2.600 l’anno. Il secondo è il San Filippo Neri, che ha una media di interruzioni di 1.110 all’anno. (Roma, tra l’altro, è la città del Lazio con il tasso di abortività più elevato: 11,3 per 1.000 rispetto al 7,8 di Latina, il 6,4 di Rieti, il 6,3 di Frosinone e il 5,1 di Viterbo). In entrambi gli ospedali della capitale, le interruzioni di gravidanza vengono eseguite in regime di day hospital: la paziente arriva dopo aver prenotato di persona un appuntamento; e arriva dopo che il ginecologo stesso le ha già spiegato “sommariamente” qualcosa sull’intervento, sull’aspirazione, sul materiale usa e getta, e sui possibili problemi legati al “banale intervento chirurgico”. Il ginecologo, dopo aver fissato l’appuntamento, ricorda alla donna che si ha almeno una settimana per ripensarci; la donna aspetta qualche giorno, poi arriva in ospedale, si mette in fila, firma l’anamnesi, aspetta il turno ed entra in sala. All’ospedale San Camillo, l’ambulatorio è aperto dal lunedì al venerdì dalle 8,30 alle 14,00, e la struttura accetta fino a dieci prenotazioni al giorno. La paziente arriva in ospedale pochi minuti prima delle otto, entra in sala operatoria, si sdraia sul lettino e sceglie il tipo di anestesia. L’intervento comincia proprio in questo momento.

Spiega il ginecologo: “Oggi, in una struttura come la nostra non c’è uno psicologo. Prima si facevano dei gruppi con le pazienti e le pazienti poi si ritrovavano insieme il giorno dell’intervento. In questi giorni c’era una buona probabilità, intorno al quindici per cento, che una donna ci ripensasse. Ora, invece, senza psicologo la percentuale, non di molto, ma è un po’ salita”. Fino a qualche anno fa, per l’intervento le donne sceglievano un tipo di anestesia locale (un’iniezione di novocaina o xilocaina) che rendeva l’utero insensibile. Oggi, invece, circa il novantacinque per cento delle donne che abortisce preferisce non vedere e non sentire nulla, e sceglie un’anestesia generale: in due minuti l’anestetico entra in circolo. Il ginecologo pizzica dunque il collo dell’utero con un tenaculum, sostiene le gambe con una forcella, infila due dita nel canale vaginale e inserisce uno speculum per allargare l’ingresso dell’utero, dilatando questo con un paio di piccole aste di caucciù a forma di cilindro allungato. Le asticelle sono larghe al massimo un centimetro e permettono il passaggio di una cannula attraverso il canale cervicale: un condotto che dalla vagina porta alla cavità uterina, e quindi all’embrione. La cannulla si chiama “karman” ed è lo strumento che dà il nome alla tecnica di interruzione: è un tubo morbido a forma di bastoncino, è fatto con un materiale plastico, ha la punta arrotondata e un cono di inserzione; il karman è un tubo molto flessibile, il suo raggio può essere di cinque, sei, sette, otto, dieci, dodici millimetri e la sua dimensione varia a seconda delle settimane di gravidanza. Più l’embrione cresce e più il tubo dovrà essere grande. A una delle estremità di questa cannuccia, il ginecologo collega un aspiratore: un apparecchio che “crea una situazione di vuoto”. Il karman funziona come una qualsiasi macchina che aspira aria: mette sotto vuoto la cavità uterina e poi, in pochi minuti, aspira tutto. “La tecnica – dice il ginecologo – è semplice. Facciamo un esempio: se prendi un pezzo di formaggio e lo metti sotto vuoto, il contenuto si mantiene e il contenitore aderisce al contenuto. In questo caso il contenitore è decisamente più robusto, per cui, qui, il contenitore si mantiene meglio e il contenuto viene aspirato via molto facilmente”.
A questo punto della gravidanza, tra la nona e la dodicesima settimana, l’evoluzione dell’embrione (il “contenuto”) all’interno dell’utero (“il contenitore”) è stata registrata dal ginecologo tedesco Rainer Jonas. L’embrione ha gli organi interni non sviluppati, ma visibili; ha un principio di orecchie e di occhi; ha la lingua; il collo è appena delineato; il cuore batte; il “materiale” comincia ad avere un po’ di unghie e secondo il professor Jonas “proverebbe già gusti precisi” (in un esperimento fatto dallo stesso dottore, iniettando nel liquido amniotico delle sostanze dolci, il feto verrebbe fotografato mentre compie dei movimenti di deglutizione”). La lunghezza di quel che il ginecologo chiama “prodotto del concepimento”, “materiale non strutturato”, “contenuto”, “tessuto fetale”, “grumo di sangue”, “abbozzo placentare di cui non si identificano parti significative” è di circa sei centimetri. A volte, però, prima dell’intervento le pazienti fanno alcune domande. E’ un feto? E’ un embrione? E’ un bambino? Sente dolore? Il ginecologo, solitamente, risponde così. “E’ un momento delicato e ovviamente capita spesso. Il punto è che il nostro deve essere un approccio molto tecnico. Non ci deve essere religione, non ci deve essere etica, non ci deve essere politica. E’ un approccio ‘neutro’; e deve esserlo ancora di più quando la donna non ha un aiuto psicologico: in quelle circostanze il medico non è corretto che si sostituisca a un’altra figura professionale. Dunque, quando mi vengono fatte domande del genere, io rispondo che per quanto mi riguarda quel ‘materiale’ non è né l’uno né l’altro. Non è vita e non è ‘non vita’. E’ una forma vitale. E’ materiale del concepimento. Perché il dottore è un servitore dello stato e in quanto servitore dello stato deve conoscere le regole e applicarle. Io non credo che questo sia un lavoro come un altro, ovviamente; per quanto possa essere ‘terribile’ è sempre un lavoro e anche se si conoscono persone che farebbero interruzioni di gravidanza anche se non ci fosse una legge, il discorso che un ginecologo deve fare deve essere un altro: ‘c’è questa legge e io la applico’. E se non ci sarà più la legge si smetterà di farli”.
Il professor Bernard Nathanson, il famoso ginecologo di New York che negli anni Settanta realizzò per il presidente Ronald Reagan un video sulle tecniche di aborto (“Silent Scream”, l’urlo silenzioso) e che tra i primi praticò interruzioni di gravidanza negli Stati Uniti (ne fece circa 75 mila) ha descritto, con parole forti, cosa succede prima di un’“espulsione”: “Quando ha luogo una gravidanza, il meccanismo di difesa del corpo di una donna sente che la creatura è un intruso, un alieno, e che quindi deve essere espulso. A quel punto si scatena un intenso attacco immunologico e il non nato ha la meglio nel respingerlo”.
Tecnicamente l’aborto si chiama anche così: “Evacuazione della quantità di prodotto del concepimento”, oppure semplicemente “espulsione”; una frase, questa, che il ginecologo del San Camillo utilizza spesso. L’espulsione, o evacuazione, dell’embrione avviene attraverso un canale chiamato “cervicale”. Il ginecologo raggiunge questo canale dilatando l’utero e inserendo la cannulla. Una volta eseguito questo passaggio, l’infermiere mette in moto l’aspiratore e con l’utero ormai chiuso, e sottovuoto, si tira via tutto. “Quando si inserisce questa cannula – spiega ancora il ginecologo – non è particolarmente importante sapere dove vada a finire. E’ sufficiente sapere che sia nel canale e che sia pronto per aspirare”. La cannula entra dunque nel canale cervicale, il ginecologo completa con il tubicino una serie di micro movimenti orizzontali – avanti e indietro, avanti e indietro – sposta la cannula all’interno dell’utero, esercitando una rotazione di 360 gradi, e dopo circa cinque minuti, con l’aspiratore acceso, controlla che il tubicino a forma di cilindro allungato si colori di rosso. Il materiale aspirato viene poi raccolto in un contenitore usa e getta, viene quindi catalogato come “rifiuto speciale” e sarà trasportato a mano dall’infermiere all’interno dell’inceneritore centrale dell’ospedale. Poi il ginecologo controlla ecograficamente che l’intervento sia completo. A volte, però, ci può essere qualche intoppo. Una ginecologa fino a qualche anno fa di servizio al San Camillo, e oggi obiettore di coscienza, spiega perché. “In alcuni casi, ma intorno alla dodicesima settimana, la cannula si può otturare: l’embrione comincia ad avere delle dimensioni tali che non riesce a passare e il tubicino si ostruisce con piccoli pezzi di embrione, simili a materiale cartilaginoso. Quando ti capita, tu devi andare lì con una pinza ad anelli e raccogliere alcuni pezzi di embrione. Dopo di che continui ad aspirare”.
Alcuni ginecologi, poi, nel caso in cui all’interno dell’utero sia rimasto “materiale” possono decidere per un raschiamento: si tratta di un intervento di pochissimi minuti (tra i cinque e i dieci, al massimo quindici), generalmente eseguito in anestesia locale: il ginecologo esercita una nuova dilatazione del canale cervicale e controlla che l’utero sia “pulito” attraverso una curette, uno strumento tagliente a forma di cucchiaio che elimina gli ultimi residui del materiale placentare. L’intervento è concluso.
La convalescenza della paziente dura in media tra i trenta minuti e i sessanta minuti. La donna, a seconda della condizione, può rimanere sdraiata su un lettino oppure può riposare anche da seduta. Un infermiere le controllerà pressione e temperatura e poi la paziente tornerà a casa, avendo speso una cifra piuttosto contenuta: non c’è infatti nessun ticket da pagare, e la visita del ginecologo, che costa circa tredici euro, fa parte di quelle tipologie di “gruppi omogenei di diagnosi” per cui è previsto anche un rimborso. In tutto, esclusi il costo standard del salario dei singoli medici, per un intervento si spendono poco più di venti euro: tre euro per il barattolo, dieci euro per il bidone d’aria (cui è collegato l’aspiratore) e poco più di sei euro tra dilatatore e confezione da cinque cannule. Venti euro, dunque, per due minuti di anestesia, due minuti di preparazione della cannula, un minuto di dilatazione, cinque minuti di aspirazione, due minuti di controllo ecografico e due minuti da attendere per il risveglio della paziente. In tutto, per espellere il “materiale del concepimento”, ci voglio circa novecento secondi.
Claudio Cerasa
23/2/08

1 commento:

tonio.ilcannocchiale.it ha detto...

Caro Cerasa,
ho pubblicato il suo articolo sul mio blog. Rappresenta un saggio di ottimo giornalismo, quello che vorremmo vedere più spesso sui nostri giornali. Non si guasti...
tonio.ilcannocchiale.it