Così nasce una caccia alle streghe
A Rignano è successo di più, ma anche di meno di quello che avete letto. Un libro lo racconta
Pubblichiamo il primo capitolo del libro “Ho visto l’uomo nero. L’inchiesta sulla pedofilia a Rignano Flaminio, tra dubbi, sospetti e caccia alle streghe” (Castelvecchi editore, 14 euro), scritto da Claudio Cerasa, e in uscita venerdì 21 settembre
Quei pedofili ogni domenica a messa.
Il Tempo, giovedì 26 aprile 2007
I bambini dell’asilo drogati dalle maestre.
La Stampa, mercoledì 25 aprile 2007
Don Henry non è scortese, ma preferisce riattaccare, grazie.
Di fronte all’altare della chiesa più importante di Rignano Flaminio ci sono sedici bambini, tutti bianchi, tutti silenziosi, tutti in fila. Sono lì, aspettano la prima comunione. Quattro di loro appoggiano la mano sinistra sopra la destra, gli altri dodici aprono la bocca. Don Henry si avvicina. Prese il calice, rese grazie, lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli e disse.
Don Henry non ha mai imparato a parlare vicino al microfono. Lo tiene sempre un po’ troppo distante dalla bocca e le quindici casse della chiesa di San Vincenzo e Anastasia sono praticamente inutili. Don Henry, però, ha un’ottima voce. Urla, Henry. Proprio come faceva nella sua chiesa di Caracas, prima che a Rignano, don Henry, iniziasse a difendere le maestre. Quelle maestre.
“Desidera?”.
La finestra di don Henry è al secondo piano di una palazzina costruita sul lato destro della parrocchia dove ogni domenica mattina celebra la sua messa, canta, prega, discute, consiglia. Don Henry ha i capelli bianchi, pesa 98 chili, ha 46 anni, gli occhi chiari, le guance affaticate, canta con le dita delle mani intrecciate tra loro, non parla con nessuno e non ha voglia di dire nulla. Niente telecamere, niente microfoni, niente giornalisti, niente radioline, niente interviste, grazie. Dalla porta dell’alloggio di don Henry fino all’ingresso principale della chiesa ci sono sedici metri, due scalini, un campetto da calcetto di cemento, cinque bambini con un Super Santos infilato in un sacchetto di plastica e poi un muretto, due palmette, altre due palmette e tredici scalini che portano qui, dentro la chiesa di Rignano Flaminio.
La chiesa è davvero molto brutta.
Don Henry socchiude gli occhi, saluta e non toglie mai le mani dalle tasche. E’ piuttosto arrabbiato, Henry.
La parrocchia di San Vincenzo e Anastasia, da tre minuti, è tutta piena. A Rignano c’è un solo parrucchiere, un solo sarto e una sola camiceria. O perlomeno, di parrucchieri ce ne sarebbero tre, ma “quello bravo”, come lo chiamano qui, è solo uno. Gli altri però sono tutti amici. Sarà per questo che gli uomini, quasi tutti, hanno i capelli a spazzola, le donne un caschetto nero che sfiora le orecchie, le signore una camicia di seta fiorata, i ragazzi le scarpe Lotto, i pantaloncini corti, le tute Adidas, le magliette Nike e le calze Ellesse. Dai cinquant’anni in su, qui, sono tutti praticamente uguali. Stessi capelli, stesso sarto, stesso negozio.
Se non sei di Rignano ci mettono due minuti per capirlo, ovvio.
Alle 9.05 don Henry non è ancora arrivato. Le telecamere, per il momento, non si vedono. Di fronte alla chiesa ci sono molti ragazzi, molti maglioncini cuciti a mano, qualche bimbo, tre passeggini, una macchina che arriva dalla farmacia, una dalla biblioteca comunale, altre due dal ristorante, una dal bar e un’altra dalla banca accanto alla sede locale dei Carabinieri. La scuola “Olga Rovere” si trova ottocento metri più giù, sotto la collinetta, prima della fermata dell’autobus.
Eccolo, “l’asilo degli orrori” (Il Corriere della Sera, venerdì 27 aprile 2007).
Di fronte all’ingresso laterale della parrocchia, accanto al banchetto con gli ultimi numeri dell’Avvenire, ci sono quattro signori vestiti con la giacca grigia, i jeans con la piega al centro, una camicia bianca infilata dentro i pantaloni. Sono seduti vicini, qualcuno li saluta. Tre di loro hanno gli occhiali da sole. Non parlano mai, fanno impressione.
Insieme a me, nascosti un po’ qua e un po’ là, ci sono solo due giornalisti: un ragazzo della Repubblica e uno del Tempo, entrambi molto simpatici. Il primo è arrivato a Rignano oggi. Il secondo il giorno dopo il primo articolo comparso su un giornale: era il 13 ottobre del 2006. Otto mesi dopo sono arrivato anche io.
Don Henry in chiesa non è ancora arrivato. Qualcuno inizia a farsi delle domande. Rignano ora ha davvero paura. Perché non dice nulla, Henry? Perché difende le maestre? Perché non difende i genitori? Perché non difende i bambini? Perché fa così, Henry? Perché è così silenzioso, don Enrico. Ci dica. Sì, lei. Ci dica: sa qualcosa? Li conosceva? Le conosceva? Ha qualcosa che vorrebbe raccontarci? Ha qualcosa da dire sui presunti pedofili? E su quella scuola? E su quelle indagini? Ci dica, don Enrico: perché tutto questo silenzio?
***
Don Henry guarda la chiesa, sale il primo scalino, ha le mani ancora in tasca e sorride. Oggi finalmente parlerà. Sul muro un po’ incrostato all’interno della parrocchia ci sono cinque certificati di matrimonio. Fuori, all’ingresso, due volantini stampati in carta plastificata. I volantini sono molto colorati. Sono due inviti, o meglio, due offerte per Lourdes: Partenza alle otto di mattina, ritorno alle diciotto di sera. In basso, a destra, prezzo, data, agenzia e condizioni: aperto a tutti, sani e malati. Don Henry entra in chiesa in questo momento. Cinque passi e arriva al centro della navata centrale, sotto un crocifisso alto due metri, tutto di legno, poco illuminato e appeso di fronte a una finestra a vetri a forma pentagonale.
La giornata non è granché.
Arriva un fotografo e i genitori nascondono i bambini: “Prova a scattarne una e ti ammazzo”, dice un signore con un paio di pantaloni neri, a righe, più o meno gessati. Sono le 9.10, è il 29 aprile, anno 2007. Dopodomani, primo maggio, Sagra del Pecorino. Oggi, Messa del fanciullo. Cinque giorni fa, a trecento metri dalla parrocchia, gli arresti: atti osceni in luogo pubblico, sottrazione di minore, sequestro di persona, violenza sessuale e poi quei terribili giochi di cui parlano i giornali: il gioco della patatina, il gioco del pisellino, il gioco del dito a punta, il gioco della banana, il gioco della punta azzurra, il gioco del tavolo, il gioco del dottore, il gioco della mamma, il gioco dei figli, il gioco dello scatolone, il gioco del lupo, il gioco della tigre e il gioco dello scoiattolo.
Erano, anzi, sono coinvolte quattro maestre, una bidella, un autore televisivo e un benzinaio: Patrizia Del Meglio, Marisa Pucci, Silvana Candida Magalotti, Cristina Lunerti, Gianfranco Scancarello (marito della Del Meglio) e Kelum Weramuni De Silva. Sedici giorni dopo gli indagati verranno tutti rilasciati. Ma a Rignano c’è qualcuno che le sentenze non avrà alcuna voglia di aspettarle. Basta l’indagine. Basta l’essere presunti. Basta solo il dubbio, solo l’idea. Bastano solo le foto, magari solo quei nomi, solo le facce, solo i titoli. A Rignano ci vuole così poco, solo il sospetto, per iniziare a credere che tutti quegli “orchi” (La Stampa, venerdì 11 maggio 2007) tutte quelle “braccia amputate” (La Repubblica, giovedì 26 aprile 2007) e tutti quegli “uomini incappucciati” (La Repubblica, giovedì 26 aprile 2007) non siano presunti, ma esistano davvero.
“Buongiorno, don Enrico”.
(segue dalla pagina I) Quattro mesi fa da Rignano partono le prime accuse. Siamo a novembre, l’anno è il 2006. Pedofilia, sissignore. Ogni mese nuove denunce, nuovi controlli, nuove perizie, nuovi sospetti e poi tutte quelle associazioni, quelle visite, quegli specialisti, quelle psicologhe, quegli interrogatori, quelle nuove denunce e quelle nuove mamme che, per mesi, hanno raccontato dei figli, della scuola, degli abusi, degli orchi. Dei presunti abusi, naturalmente. Dei presunti orchi, naturalmente. Ma chissà perché a Rignano quella parola, presunti, la dicono così, la dicono sottovoce, la dicono piano piano.
“Ha altro da aggiungere, signora?”.
“Si?”.
“Prego”.
La signora si chiama Patricia, la piccola si chiama N. La signora è una delle mamme di Rignano Flaminio. Mia figlia, dice, è stata abusata. La signora racconta di quel supermercato. Lo racconta a Bracciano e lo racconta qualche mese dopo quell’incontro molto strano. Il supermercato si chiama Super Emme, si trova sulla Flaminia, la strada che parte da Roma e arriva fino a Rimini e che al chilometro 39 si ferma qui, a Rignano Flaminio. La signora, a Bracciano dai Carabinieri, parla di un parroco, parla di un prete di colore e di un altro un po’ più basso di lui. Racconta di questo prete, di quello un po’ più alto, e racconta di quel parroco, ancora, che alla vista di mia figlia le dà uno schiaffetto, o come si chiama, un buffetto sul capo, e poi le sorride.
“Altro, signora?”.
“Si?”.
“Prego”.
La mia bambina si è voltata, mi ha guardato, si è irrigidita e io le ho chiesto: tesoro, lo conosci quel signore? E lei no, negava, negava con forza e diceva di non voler parlare. Sa, io non frequento la chiesa, non conosco quella persona, non conosco quei due preti. Io in parrocchia non conosco proprio nessuno. Ecco, le confesso: sono rimasta impressionata dall’incontro.
Un parroco. Un supermercato. Un buffetto.
Don Henry, naturalmente, con i presunti pedofili e con tutti quegli “otto anni di violenze” (Il Tempo, venerdì 27 aprile 2007) non c’entra nulla, chiaro. Don Henry, a Rignano, non è mai stato indagato, non è mai stato interrogato, non mai è stato denunciato. Semplicemente, lui con la storia della scuola degli orrori non c’entra proprio niente. Ma da quando quel giorno ha difeso le maestre, da quando ha difeso i presunti pedofili, a Rignano c’è qualcuno che non lo capisce più. Perché quelle parole? Perché difendere gli indagati? Perché parlare di azzeccagarbugli? Perché parlare di indagini e di arresti? Perché?
Quel giorno, Henry, disse molte cose. Disse di stare attenti e non dare retta alle malelingue, di non ascoltare le falsità e di non dare retta alle persone cattive. Mentre i giornali, in quelle ore, ricordando “il supermercato”, parlavano di “nuovi eventi”, raccontavano delle “indagini che vanno avanti” e descrivevano nei minimi particolari un paese “dove il clima, comunque, resta molto pesante”. “E pensare, eh”, mi dice una signora con un bambino sottobraccio, accanto all’uscita dalla chiesa di Rignano Flaminio. E continua, la signora: “E pensare che quelle maestre venivano sempre a messa a pregare, e pensare che pregavano, si inginocchiavano, sembravano pure devote. E sì, signore, lei ha ragione. L’arresto è grave, è molto grave, però non crede che con tutte queste voci che girano qualcosa non sia successo davvero? O sbaglio? No, mi dica”. Mi dica lei: “Sa, di storie strane qui a Rignano ne girano, sa? La sa, la conosce la storia dei pedofili della bassa Emilia? Lo sa che li hanno assolti tutti? Lo sa che a Modena sono tutti a casa, ora? Mi dica, mi dica perché. Mi dica perché in carcere non c’è più nessuno. Lei che è un giornalista, mi dica: è possibile che in quel paese non sia successo nulla? Come è possibile non credere ai nostri bambini?”.
***
Nel 1999, nella bassa Emilia, un certo don Govoni venne indagato per pedofilia. In quei mesi i grandi giornali si scatenarono, iniziarono a raccontare la città dei presunti orchi (dove la parola presunti, come qui a Rignano, era scritta piccola piccola) e provarono a scoprire cosa era successo, lì, nella bassa Emilia. In quei giorni si scriveva delle “tragiche violenze”, di tutti “quei misteri” e di quelle “famiglie distrutte”. In quei giorni, Gad Lerner, in uno scrupoloso articolo uscito sulla Repubblica il 9 giugno del 2000 (intitolato “Il Diavolo tra i campi di grano, viaggio nei paesi dei pedofili”), riportava le sue impressioni su quel paese dove alcuni bambini sarebbero stati violentati da genitori, zii, nonni, fratelli, preti e naturalmente maestre. In quei giorni si scriveva che don Govoni era a capo di un gruppo di satanisti pedofili, un gruppo che agiva nei cimiteri di Mirandola e Finale Emilia, un gruppo che celebrava finti funerali, decapitava bambini e gettava le loro teste in un fiume. Rifletteva, Lerner, sul “racconto convergente di quei poveri bambini” e lo faceva anche se di provato non c’era nulla, in quel momento: non un resto umano, non una foto, non un filmato, nulla che potesse condannare quei presunti pedofili e quel diavolo di un prete. “Don Giorgio, proprio don Giorgio, il Diavolo?”, scriveva Lerner. Un anno dopo, la Corte d’Appello di Bologna assolverà il sacerdote modenese dall’accusa di pedofilia: tra “i campi di grano”, in effetti, non c’era proprio nessun diavolo. Ma quando lo si scoprirà sarà ormai un po’ troppo tardi: il giorno prima del processo (il 19 maggio del 2000, 21 giorni prima del servizio di Gad Lerner), dopo che il Pubblico Ministero aveva richiesto la condanna del prete, don Govoni era stato trovato per terra. Un infarto, innocente, stecchito. Anche se fino a pochi giorni prima, quel prete strano strano era per tutti così, un diavolo di pedofilo.
***
Don Henry cammina velocemente. Sorride, abbassa la testa e parte. E’ la prima messa dopo gli arresti, la prima dopo che Rignano ha scoperto cosa significa aver paura, la prima comunione dopo che un intero paese ha capito cosa significa quello che monsignor Angelo Amato chiama un “film perverso sul male”, un film “che viene girato ogni giorno in ogni parte del mondo con sceneggiature sempre nuove e crudeli”. Un film di cui Amato (segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede) parlava pochi giorni prima che a Rignano i giornali iniziassero a raccontare di arresti, di orchi e di streghe cattive. Scriveva Amato che oggi è come se il male non esistesse più: oggi è l’uomo che esercita la sua ragione per far finta di non conoscerlo, il male, ed è come “se tutti i mali avessero un’origine sociale”. Come se il male non ci fosse più. Come se l’orrore non esistesse più. E invece no, e invece eccola qui, all’improvviso, la percezione del male. Eccola qui quella scuola che i giornali amano definire “degli orrori”(La Stampa, venerdì 27 aprile 2007), eccolo qui quello che sembra un “sabba delle streghe cattive”, con tutta quell’atmosfera malvagia, tutti quegli articoli, quei titoli, quei servizi e quelle cronache che arrivano all’improvviso e che arrivano così, a 39 chilometri da Roma. In un paesino dove si dice che esistono le streghe, dove si dice che le streghe vanno bruciate, dove non c’è ancora Gad Lerner ma dove c’è già Vincenzo Cerami. Un paesino dove però, dopo un anno di indagini, di quelle streghe di cui parlano i giornali e di quegli orchi presunti di cui i parlano i tiggì, si sa davvero ancora poco.
E lei, don Henry, cosa sa? Ci spieghi un po’, ci dica perché due maestre sbattute in cella erano catechiste nella sua parrocchia. Ci spieghi perché lei ha difeso quelle maestre prima che venissero arrestate, prima che a Rignano arrivassero i Ris e i Gip, prima che qui, a 39 chilometri da Roma, arrivasse la Polizia e il sindaco vietasse pure le manifestazioni. Ci spieghi, Henry. Cosa c’entra lei con il paese dove le maestre (così si sospetta) bevono il sangue delle bambine, dove le maestre chiudono i bambini in uno scatolone e le bidelle tagliuzzano le braccia dei nostri piccoli? Don Henry, ne sa qualcosa lei?
***
Dopo venti minuti di messa si sparge una voce. Chi non è di Rignano si riconosce subito, naturalmente. Si riconosce dai vestiti, dai pantaloni, dai capelli o dal telefonino che squilla. Ed è probabile che il blocchetto degli appunti del giornalista della Repubblica, l’auricolare nero del giornalista del Tempo e la suoneria livello quattro del mio telefonino qualche sospetto possano pure averlo creato.
Ci sono tre giornalisti, occhio. Ma don Henry lo sapeva da un pezzo che oggi, oltre ai fedeli, ci sarebbero stati anche i cronisti. E sapeva che per lui non sarebbe stata una domenica come le altre. Tutte quelle domande, quegli articoli, quei genitori. Tutto quel male. E quel paese che continua a chiedere a don Henry una sua parola, una sua risposta: un sì o magari un no. Ed è anche per questo che la sua predica, oggi, è davvero forte ed è un po’ diversa dal solito. Non dice vostro onore, ma poco ci manca. Dice così, Henry: “Il Buon Pastore non lascia le sue pecorelle nel momento del bisogno”. E poi: “Quanti azzeccagarbugli, quanti arruffapopoli in questi giorni bui hanno rivelato invece segreti istruttori e professionali per farsi pubblicità. Stiamo attenti. Non esistono solo le pecorelle smarrite. Esistono anche quelle che conducono le altre verso il male. Ma ricordatevi. Il pastore conosce le sue pecorelle e vigila su di loro. Sapete, io avrei potuto far carriera e andarmene da qui. Ma sono rimasto, perché questo è il momento del bisogno e, come sapete, i sacerdoti sono gli unici ad essere sempre reperibili. Proprio come i Carabinieri”.
I Carabinieri, quelli in borghese, con le Nike nere (con baffo rosso), marsupio Invicta, jeans chiaro, giacca nera (very young), occhiale nero (a goccia), capello a spazzola (sempre nero), una mano in tasca, telefonino Motorola, così, a pelle, non sembrano riscontrare grossi punti di contatto con il parroco. Però non fiatano: sanno che i problemi sono altri. Sanno che chi abita a Rignano sono mesi che ormai legge quelle parole che aveva sentito solo quando qualcuno in Tv, davanti a un plastico, parlava di Cogne. Processo. Circo mediatico. Psicosi. Interrogatori. Incidenti probatori.
Nessuno, qui a Rignano, avrebbe mai pensato che nella chiesa del paese qualcuno si mettesse a evocare gli azzeccagarbugli. Che qualcuno tra un “il Signore sia con voi” e un “prese il pane e rese grazie” parlasse di “violazioni del segreto professionale” e di “preti che avrebbero potuto fare carriera e che invece sono rimasti a Rignano”. Nessuno avrebbe mai potuto immaginare di vederlo così, Henry. Di vederlo parlare di indagini in chiesa, di vederlo sfilare per le maestre di fronte a Rebibbia, di sentirgli ricordare che “anche tra i primi cristiani c’erano disaccordi” (e che “Pietro e Paolo li hanno risolti pregando insieme”), di sentirgli dire che “un barattolo vuoto fa sempre più rumore di un barattolo pieno”, di sentirlo parlare di processo mediatico, in chiesa, di chiedere “allo Spirito Santo il conforto dell’amore e della pace per questi bambini e le loro famiglie”. O dire che “oggi, a Rignano, non è facile essere genitori” o sentirsi chiedere a fine messa, scusi, padre, cosa è un azzeccagarbugli?
***
“Buongiorno, come posso aiutarla?”
Si avvicina un signore, all’improvviso, un po’ minaccioso. Avrà trentacinque anni, mi guarda, mi punta e mi fa: “Scusi, è del posto?”. Beccato. “Volevo sapere dove giocare la schedina”. Mi spiace, chieda al bar.
Il bar, qualche minuto dopo, è già pienissimo. Poche ore dopo la messa c’è il derby, il numero 128. Quello con la rovesciata di Mancini, la punizione di Ledesma e la botta di De Rossi, la solita, vicino al palo. Roma-Lazio finirà zero a zero. Su “l’Unità” Roberto Cotroneo, in quelle ore, scriveva che “l’aria di tenebra non la senti, la vedi proprio, come fosse un fiume invisibile, la vedi negli occhi della gente, nei silenzi, nelle mezze parole, nei movimenti indecisi, di chi non sa bene come comportarsi”. “E’ la banalità del male che annega tutto in un gratta e vinci, in una panchina ben tenuta nella piazza, negli occhi di questa gente” e dove si trova un “Henry nato a Caracas, da una famiglia di emigrati di Rignano che sono tornati e hanno ora un figlio prete”.
Don Henry esce dalla chiesa, la messa è durata meno di un’ora e lui non dice nulla, tiene la testa bassa, ha ancora le mani in tasca, gli si avvicina prima una giornalista del Tg2, no grazie, poi una giornalista del Tg3, no grazie, poi un cronista dell’Ansa, no grazie. I presunti mostri di Rignano sono in carcere da quattro giorni, don Henry non parla con nessuno, ma a Rignano c’è qualcuno che non capisce. Qualcuno che vorrebbe sapere qualcosa di più, che a quei presunti pedofili ci crede davvero, che quei pedofili non li ha visti, non li ha toccati ma li ha sentiti. Li ha spiati con gli occhi dei propri figli. Li ha seguiti con le orecchie dei propri bimbi. Qualcuno che ora, per questo, non si ferma, parla, ascolta, prega, accusa, ricorda e continua a chiedere. Continua a pregare. A dire vi prego, ascoltateci. Vi prego, fermatevi. Vi prego, credeteci. Vi prego. Come fate a non credere ai nostri bambini?
Claudio Cerasa
20/09/07
giovedì 20 settembre 2007
"Ho Visto l'uomo nero" sul Foglio
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