Il gip non convalida il fermo di Alberto. La mamma di Chiara dice: “Ora cercate l’assassino”. Senza arma e senza movente serve una confessione (o un testimone). E le indagini si fanno anche con la pressione mediatica
Garlasco. Era il 22 agosto del 2007 quando
per la prima volta dall’inizio delle indagini il
pm Rosa Muscio – il magistrato che da poco
più di un mese ha in mano le indagini sul
giallo di Garlasco – ha guardato Alberto Stasi,
si è avvicinata al ragazzo e dopo nove ore
di interrogatorio si è fermata, lo ha fissato e
all’improvviso gli ha detto: “Sei stato tu a uccidere
Chiara?”; con Alberto che per l’ottavo
giorno consecutivo le continuava a ripetere
la stessa parola. La stessa parola sussurrata
durante le 39 ore di interrogatorio e la stessa
parola sussurrata poche ore prima che il giudice
per le indagini preliminari, Giulia Pravon,
decidesse ieri di non convalidare il fermo
di Alberto; sempre la stessa parola: “No”.
Alberto Stasi ieri è così tornato nella sua
casa di via Carducci, nella stessa villetta dove
38 giorni fa gli investigatori avevano sequestrato
tre automobili, una pinza da camino
e una delle due biciclette sui cui pedali i
Ris avrebbero trovato le macchie di sangue
di Chiara; macchie che, secondo il procuratore
Alfonso Lauro, sarebbero state “le prove
che lo accusano” (Corriere della Sera, 27 settembre);
quelle macchie di sangue che nel giro
di due giorni sono diventate “micromacchie”
e che ora, secondo gli avvocati di Alberto,
addirittura non sarebbero neppure
delle vere e proprie macchie di sangue; ed è
per questo che ieri il procuratore capo e il
pm hanno visto il proprio dubbio materializzarsi
su carta intestata della procura di Vigevano;
un dubbio controfirmato dallo stesso
gip: “Insufficienza degli elementi probatori
presentati dall’accusa”. Dunque, senza prove,
senza perizie e soprattutto senza confessioni
l’arresto di Stasi non poteva proprio essere
convalidato. Ma nonostante quelle accuse titolate
a tutta pagina (a volte anche a doppia
pagina e sempre accompagnate dai glaciali
occhi di Alberto), nonostante tutti quei titoli
diventati un elemento di pressione parallelo
alle difficili indagini del pm di Garlasco
(“Nuovo indizio contro Alberto”, Corriere
della Sera, 23 settembre; “Tre indizi contro
Alberto. Anche il pigiama rosa”, Corriere della
Sera, 22 agosto; “Il mistero del fazzoletto e
delle scarpe del fidanzato”, Repubblica, 1°
settembre), prove schiaccianti ancora non se
ne vedono; ed è per questo che tra titoli, foto,
indagini e reportage, la soluzione, o più che
altro la speranza, è sempre la stessa; e cioè
che qualcuno parli. E’ andata così con gli interrogatori
delle due cugine di Chiara Poggi
(uccisa il 13 agosto nella sua villa di Garlasco),
ed è andata così anche con lo stesso Stasi;
che però, freddo, risponde sempre allo
stesso modo: “No”. Dunque, ora, si ricomincia
tutto da capo. E, un po’ come successo a
Cogne, l’impressione è che senza arma e senza
movente, la freddezza dell’indagato, la sua
sicurezza, i suoi occhi glaciali e la sua non
confessione siano visti sempre più come tracce
evidenti (ma non utilizzabili) della colpevolezza
presunta dell’indagato: perché se non
c’è un movente deve esserci, come nel caso di
Stasi, “l’aggravante della crudeltà”; e perché
se nessuno parla il problema non è che non
ci sono prove: è che nessuno è disposto a parlare,
semplice. E’ che “nella nostra cultura
manca una certa coesione sociale”, non i testimoni,
come ammesso dallo stesso Lauro. E
avranno pensato proprio così, pm e procuratore,
anche con Alberto: interrogato come testimone
il 14 agosto (18 ore), come informato
sui fatti il 17 agosto (8 ore), come indagato il
22 agosto (quasi nove ore) e come fermato il
24 settembre (4 ore). Perché a Garlasco, è vero,
ci sono molti giornalisti, molti fotografi e
molte televisioni che a volte sembrano essere
anche più incisive pure degli stessi magistrati
(“Tra le altre rivelazioni di Porta a Porta”,
scrive la Provincia Pavese come se il salotto
di Vespa fosse diventato l’ufficio di un
gip); solo che a Garlasco non c’è una confessione,
non c’è un movente, non c’è un’arma e
non c’è nessuno pronto a ricordare – specie
se Alberto dovesse essere innocente – che eccesso
di giustizia significa malagiustiza. Perché
a Garlasco, se non fosse per quelle piccole
macchie di sangue, le accuse più consistenti
per Alberto (unico indagato per il delitto
di Chiara) più che sulle ordinanze i genitori
di Chiara e di Alberto le hanno lette finora
soprattutto sui giornali. “E ora cercate
l’assassino”, è stato il commento della mamma
di Chiara dopo la liberazione di Stasi.
Claudio Cerasa
29/09/07
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