martedì 11 settembre 2007

Il Foglio. "Beppe Grillo"

Il passaparola che ha costruito in rete vale di più del darsi la mano girando in tondo

"Vai Beppe, smerdali tutti”. Ecco, il beppegrillismo funziona proprio così. E funziona bene, non c’è dubbio: lo capisci dai numeri dei suoi teatri, dalle firme dei suoi banchetti o dalle reazioni ai suoi commenti; ed è vero, si può dire che nel Day pride del comico genovese – quello di sabato scorso – non vanno confusi firmatari e manifestanti; si può anche dire che Grillo non è altro che un magnifico telepredicatore che in piazza e a teatro fa quello che Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo fanno, da quindici edizioni, in libreria; vero, ma c’è dell’altro. Perché il movimentismo di Beppe Grillo non ha nulla a che vedere con i rivoluzionari cordoni dei girotondi morettiani: lì, in quei casi, il movimentismo nasceva durante gli interminabili pomeriggi in cui ci si prendeva per mano attorno a un cavallo della Rai, ci si scambiava i numeri di telefono, ci si messaggiava di fronte al tg delle 20 (“hai visto!!, il mio striscione”) e ci si commuoveva con un casca il mondo casca la terra e tutti giù per terra sui sampietrini di Montecitorio. Il beppegrillismo, invece, nasce in maniera completamente diversa. I girotondi attorno ai banchetti dei referendum beppegrilliani nascono tra blog, teatri, link, e grandi spettacoli; e dunque non nascono attorno a un cavallo della Rai, nascono prima; molto prima. Ed è per questo che sarebbe un errore sottovalutare, morettizzare o classificare Grillo come una sottospecie di fenomeno da baraccone controllato, o magari indirizzato, dai titoli dei tg o dalle prime pagine dei giornali. Non è così; perché il comico genovese è la perfetta evoluzione mediatica (e tecnologicamente teatrale) del consenso costruito con una scoppiettante gogna pubblica. Il motivo? Semplice. L’antipolitica di Beppe Grillo funziona, come scriveva qualche settimana fa il New York Times a proposito del libro “la Casta”, perché “he names name”, perché Grillo nomina i cognomi dei nemici e poi prende quei nomi e li fa penzolare dagli schermi dei suoi teatri. E funziona bene, funziona benissimo, perché le parole di Grillo sono depurate, o forse addirittura immunizzate, dal dipietrismo o dal travaglismo. Cioè: Grillo non ha un nemico singolo; Grillo non se la prende con il parlamentare, se la prende piuttosto con il Parlamento e ti dice che tu, gentile lettore, per me non sei un elettore, sei solo un amico, al massimo uno spettatore e dunque, fidati, io non ho interessi, io ti racconto la verità e ti spiego naturalmente che cosa non va. Semplice, no? Certo, anche Grillo fa i propri interessi: i suoi lettori sono anche i suoi finanziatori e la sua politica fa parte del suo spettacolo; ma le 300 mila firme di sabato (300 mila sono anche i contatti quotidiani sul suo blog; un numero spaventoso che vive senza aver bisogno dei giornali o dei tiggì), ecco, almeno per il momento, è difficile che quelle firme si trasformino in una crocetta in una scheda elettorale con un simbolo a forma di Grillo; è più probabile, semmai, che quelle firme si trasformino in un non voto “contro il sistema”, “contro le aziende” e, ci mancherebbe, “contro la casta”.

“Però è simpatico”
E se è vero che è difficile che Grillo entri in politica, è anche faticoso non riconoscere che i veri critici di Grillo si contano sulle dita di una mano. Semplicemente è un po’ troppo impopolare criticare un comico così popolare; è molto più semplice invece criticarlo – anche con violenza – e poi aggiungere di volta in volta un “ma” oppure un “però”. Però “è simpatico” (Giulio Tremonti), però su alcune cose sono “assolutamente d’accordo” (Walter Veltroni). Però, però, però. Ed è anche semplice capire il motivo: andare contro Grillo, ora, è rischioso; sarebbe come voler difendere la casta, come voler dire sì a tutte quelle auto blu e a quei condannati in Parlamento. Ecco, Grillo è come se dicesse o di qua o di là. O contro i privilegi o a favore. O con la casta o contro; e chi non mi segue vuol dire che è proprio come tutti gli altri. E lo fa con contenuti molto più forti di un libro, di un comizio o di una lettera al Corriere. Perché se è difficile che Grillo trasformi in elettori i suoi lettori, come la mettiamo se un comico così popolare dovesse davvero iniziare a dare consigli su chi diavolo votare?
Claudio Cerasa
11/09/07

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