sabato 22 settembre 2007

Il Foglio. “Scriviamo, nessuno escluso, per vanità”. La parola ai blogger

Roma. Cioè, scrivono anche cose belle.
“Da quando ho aperto il mio blog mi sento
più sicuro, gli altri blogger mi scrivono cosa
non gli piace di me e io, anche se con grande
difficoltà, cerco di esser come loro mi chiedono
di essere”. Cioè, ci credono davvero. “Il
mio blog lo controllo e l’aggiorno continuamente…
non potrei non farlo! Sarebbe come
chiedermi di bloccare il tempo, la vita… impossibile!
Il blog è vivo perché io vivo!”. Scrivono,
e poi si sentono meglio. “Perché a me
scrivere i post mi rilassa! Trovo che i pensieri
che si riescono a mettere giù quando uno
si prende la calma e il tempo libero per farlo
hanno tutto un altro effetto. Scrivere ti libera
completamente del pensiero che ronza
nella testa!!!”. Dicono così alcuni tra i cinquecento
blogger intervistati dal professor
Lavenia dell’Università di Chieti nella ricerca,
anche un po’ inquietante, su “Analisi e
valutazione preliminare dei blog”. E’ un documento
significativo, non molto conosciuto,
ed è utile per capire chi sono i blogger e quali
possono essere i pregi e le degenerazioni
dei fenomeni del post; che aprono un blog
“per dire che ci sono anche io” (35 per cento),
che lo usano nei periodi “difficili” (12 per
cento), che ci scrivono, spesso, in modo impulsivo
(83 per cento) raccontando un po’ di
balle sulle proprie caratteristiche personali
(inteso come un buon 78 per cento che si presenta
come una Jessica e che in realtà non è
altro che un Paolo), che vengono pericolosamente
influenzati, ogni giorno, dai commenti
letti sul blog (27 per cento) e che (13 per
cento) si considerano abusatori di blog o comunque
“soggetti a rischio”.
Dunque, va bene, va benissimo il “diario”,
è piuttosto comprensibile voler “condividere
i propri interessi” e sono verissime un mare
di altre cose. Però, su, andiamoci con calma.
Perché sarà pur vero che la sfera del
blog è noiosa, che è solo tempo rubato allo
shopping, o roba da segaioli falliti e magari
per tromboni incalliti. Ma il discorso sembra
più che altro essere un altro. Perché un conto
è parlare del blogger che scrive; un conto,
invece, è parlare di quello che il blog lo legge,
e magari non lo capisce. Dice Marta De
Cinti, 32 anni, ingegnere elettronico da duecento
contatti al giorno sul suo mae.splinder.
com: “I blogger, nessuno si senta escluso,
scrivono fondamentalmente per vanità. Dentro
di loro, ma spesso anche fuori, sono convinti
di avere qualcosa di interessante da dire
al mondo. Alcune volte è perfino vero.
Molte altre meno. E’ una specie di grande
psicanalisi collettiva. Il fatto è che di per sé
il blog, nel modo in cui viene usato dalla
maggior parte degli utenti, è totalmente inutile.
Ma attenzione; il loro modo di vedere e
di scrivere ha senso solo se visto all’interno
del loro universo. Fuori, invece perde completamente
senso ed efficacia”.
Il punto, in effetti, sembra essere proprio
questo (“E il bello è – dice Paolo Ferrandi,
autore del blog paferrobyday – che un prodotto
così artigianale ribalta tutto il sistema;
non sei tu che ti fai vedere, sono gli altri che
poi ti vengono a cercare”). Perché, occhio,
un conto è parlare con il mattarello alla riunione
di condominio, un conto è farlo in un
posto dove i condomini sono potenzialmente
infiniti e se tu dici una stronzata magari
sono in tanti a crederci e magari, poi, anche
a seguirti. Perché in fondo il blog non è altro
che un web log, cioè un diario on line dove,
teoricamente, si scrive per se stessi più che
per gli altri e dove, però, ad un tratto, capita
che qualcuno inizia a trovarti, a darti strani
appuntamenti, a suggerirti di formare qualche
circolo, e a chiederti quanti accessi fai;
e tu ti emozioni e inizi a scrivere non più per
te, ma per gli altri. Cioè, praticamente fai il
Grillo, non fai più il blogger.
Dice Carlo Stagnaro (www.realismoenergetico.
org) che “Il blog è la prova provata che
il capitalismo è una figata pazzesca; che ci
rende talmente ricchi da avere non solo il
tempo e la voglia di distillare le nostre idee
sul senso dell’universo, ma addirittura da
consentire a qualcuno di avere così tanto
tempo da perdere che finiscono per leggere
i blog. Ma attenti. Il gioco rischia di essere
una bufala perché chi ha veramente qualcosa
da dire, in generale, non ha bisogno del
blog per essere ascoltato. E’ però vero che il
blog abbatte i costi di entrata e consente a
tutti di racimolare un pubblico, per quanto
esiguo o disperso, perché il mercato di un
blogger è il mondo”. Ecco, poi c’è la questione
dei numeri, che mette un po’ paura ma va
studiata; perché nel web ci sono circa 70 milioni
di blog, ce ne sono 120 mila che spuntano
all’improvviso ogni giorno, e si contano
circa 17 post pubblicati al secondo. Solo che
basta leggere quali sono i dieci blog più importanti
d’Italia per capire che il blog che
funziona davvero – Grillo è un caso a parte –
è quello che aggrega altri blog; è quello che
fa sorridere ed è quello che fa riflettere, non
quello che fa politica, naturalmente. “Io però
penso che il Foglio stia toppando a fare la
sua implicita critica politica ai blog perché i
blog sono una parte di un fenomeno di
rafforzamento del ruolo del cittadino nei
messaggi pubblici, sia in senso di discorsi sia
in senso di corpi che si mobilitano. E non va
sottovalutato”, dice Enrico Maria Milic, 31
anni, consulente per la creazione di comunità
virtuali, 300 utenti al giorno su morbin.it.
E chissà che non abbia ragione Claudio Caprara
che, naturalmente con un post, spiega
che il blog funziona soprattutto “per soddisfare
la propria presunzione e il proprio
ego”. E questo varrebbe anche per Grillo che
se non fosse per quelle listine che avranno il
suo timbro, con il suo blog, più che politica,
farebbe anche una geniale satira. “Certo,
non staremmo a parlare di blog se non ci fosse
stato Grillo – dice Piero Macchioni, di leibniz.
splinder.com – Ma Grillo è vero che ha un
blog ma non si comporta da blogger. Per questo
la vera bufala non sono i blog; la vera bufala
è semplicemente Grillo”.
Claudio Cerasa
22/09/07

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