I delegati dell’assemblea costituente del Partito democratico – che sono tantissimi: sono quasi 2.800 e se li mettete uno a fianco all’altro raggiungono lo stesso numero dei militari italiani schierati in Iraq tre anni fa – dicono di sentirsi traditi, dicono di sentirsi abbandonati e dicono di non sentirsi “nelle condizioni di esercitare più le prerogative che ci spettavano di diritto”. Lo dicono alcuni, non certo tutti, ma chi lo dice lo fa con un po’ di preoccupazione e lo fa anche con toni un po’ minacciosi. “Segretario! Si ricordi che lei è provvisorio e che noi non siamo una foglia di fico!”, dice Giacomo Vaciago, delegato milanese e professore alla Cattolica, che ha firmato un documento per segnalare a W. il rischio di “segretolamento” del partito. Il punto è che l’organo costituente del Pd, eletto con Veltroni lo scorso 14 ottobre, è diventato protagonista di un piccolo giallo e la domanda che molti militanti si fanno in questi giorni è semplice. Serve oppure no? La logica direbbe che oggi non serve a molto, perché – una volta eletti segretario nazionale e segretari regionali, e una volta definite le regole del partito – l’assemblea potrebbe limitarsi a essere un luogo di semplice consultazione per il Pd. Ma le cose sono un po’ più complicate. E’ vero, i delegati del Pd, che si sono riuniti per la prima volta a Rho a tredici giorni dalle primarie e che a febbraio a Roma hanno votato i testi presentati dalle commissioni del partito (statuto, etica e valori), entro la fine di giugno eleggeranno il presidente che sostituirà Romano Prodi (probabilmente Franco Marini) e il nuovo coordinamento del partito. Ma molti tra questi oggi si sentono sconsolati e si sentono trascurati; perché – come spiega un senatore romano e membro dell’organo costituente – “il nostro ruolo è diventato ridicolo, solo formale”. Il fatto, però, è che proprio quell’assemblea che il Pd ha solennemente convocato per il 20 e il 21 giugno da qualche giorno non esiste più. O meglio: esiste, esiste ancora, il regista Ferzan Ozpetek resta uno dei suoi delegati più famosi e assieme a lui, nella due giorni milanese del Pd, a giugno, con i big del partito ci saranno anche membri di peso come Ettore Scola. (Non ci sarà Massimo Ghini perché l’attore, come spiega al Foglio, dice che pur avendo vinto le sue elezioni, “si è stancato di fare il soldatino senza avere responsabilità. Volete sapere qualcosa di congressi? – si chiede Ghini – Per queste cose chiamate Ozpetek, lui sì che è importante nel Pd”).
Ma al di là del colore, dal giorno in cui il partito ha cancellato dal suo organigramma il ruolo di “coordinatore della fase costituente” (ruolo che fu di Bettini), formalmente l’assemblea costituente non esiste più. Sul sito del Partito democratico non se n’è accorto nessuno, ma dopo le elezioni da costituente che fu si è trasformata in “nazionale”. E ascoltando le parole del veltroniano Giorgio Tonini si capisce perché non è solo una questione di forma. “L’assemblea dovrà avere, a mio avviso, un ruolo simile a quello che in Inghilterra ha l’organo rappresentativo del Labour Party. Da ora in poi si potrebbe pensare che quel luogo discuterà la linea del partito, voterà documenti ed eleggerà alcune cariche del Pd. Inoltre, fino al 2009 non è previsto che i delegati siano sostituiti e l’assemblea è e resta l’organismo più importante del partito. Detto questo, credo sia importante che, come accade nel Labour, ci si riunisca più o meno una volta l’anno. Di più credo sia eccessivo”. L’idea però non fa impazzire molti delegati del Pd. Una volta, due volte l’anno? Ma non scherziamo! Gli ex costituenti del Pd, ora “membri nazionali”, sono gli stessi che la scorsa estate hanno affrontato dure campagne elettorali (le primarie furono prese sul serio sui territori e i 35 mila candidati locali organizzarono cene, affittarono sedi, costruirono comitati, distribuirono volantini, inaugurarono siti e “spesero un sacco di soldi”, ricorda un candidato deluso e anonimo del loft). E anche per questo, non sono pochi quelli che oggi chiedono a Veltroni di trasformare l’assemblea “nel luogo dove il partito possa esprimere davvero la sua democrazia”. La stessa cosa che ieri pomeriggio, in un incontro privato, ha chiesto a W. l’ex Sinistra giovanile Ds (uscita due settimane fa dalla costituente del Pd e che nei prossimi giorni ritirerà le dimissioni). La stessa cosa, inoltre, che ripete uno dei pochi delegati del Pd disposti a uscire allo scoperto. “Se non ci riuniamo almeno una volta al mese – dice il professore milanese della Cattolica – il Partito democratico si trasformerà in un partito sempre meno democratico e sempre meno simile a un partito”.
Claudio Cerasa
21/05/08
mercoledì 21 maggio 2008
Il Foglio. "2.800 delegati per la Costituente che non c’è (e che però cambia nome)"
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