martedì 31 luglio 2007

Panorama. "Junglee girls"

Da una parte si trovano le junglee girl, le ragazze della giungla, come Rochom P’ngieng, la piccola cambogiana sparita nel 1989 e riapparsa all’improvviso, poco tempo fa, dopo aver trascorso 18 anni nella foresta. Queste «selvagge» in città arrivano quasi per sbaglio, perché di norma vivono tra gli alberi, con le loro tribù, in mezzo alla natura. Dall’altra parte si trovano le junglee intese in senso lato, cioè quelle ragazze che arrivano da fuori, dagli slum, dalle periferie, dai villaggi, e che decidono di spostarsi a Nuova Delhi, a Mumbay (Bombay), di diventare un po’ come le sette ragazze di cui parla la scrittrice indiana Ginu Kamani nel suo libro ripubblicato in Italia dalla Einaudi che si intitola, appunto, Junglee girls. Libro che negli ultimi mesi è diventato un manifesto delle ragazze indiane giovani, ribelli, disobbedienti, occidentalizzate, età fra i 16 e i 24 anni, che decidono di scappare dalla propria condizione di ragazze dell’India profonda e di avventurarsi in città, di scoprire quelli che chiamano i «baci londinesi», il «sesso americano», di percorrere la stessa scia ribelle dei personaggi del romanzo di Kamani. Dove i protagonisti arrivano in città, si mettono a lavorare in nero, iniziano a ballare dove non dovrebbero, iniziano a integrarsi come sognavano, scappando da quei villaggi dove i dottori, come si legge nel libro di Kamani, prescrivevano ai ragazzi «celibati a vita», «precoci sterilizzazioni», dove spiegavano «i rischi del sesso», illustravano la pericolosità di quei «coiti deleteri», di quegli scandalosi «ormoni disinibiti» e di quelle svergognate giovani condannate a un futuro nei villaggi vicini alla giungla. Le cose un po’ stanno cambiando perché ci sono ragazze che vogliono diventare come la tennista Sania Mirza, una delle donne più note d’India, la sportiva più famosa della nazione, la Sharapova di Hyderabad. Giovane, bella, musulmana, simbolo di emancipazione femminile, così trasgressiva, così junglee e così ribelle da essere stata vittima di una fatwa, di una scomunica, per aver indossato un po’ troppo spesso completini non esattamente in linea con l’ortodossia islamica, e che comunque ha continuato a giocare, sotto scorta ma sempre con il gonnellino. Sono junglee girl quelle ragazze che vanno al di là dell’ovattato mondo di Bollywood e dei pomposi matrimoni tra Aishwarya Rai e Abhishek Bachchan. Sono quelle un po’ disobbedienti, un po’ hippy, che hanno avuto, anche grazie a un libro come Junglee girl, il coraggio di comportarsi come Surabhi Sarkar. Surabhi è una giovanissima (13 anni) che ha deciso, iniziativa clamorosa, di far partire un’azione legale contro i suoi genitori a Raiganj, piccola città a 400 chilometri da Kolkata, nella parte orientale dell’India. Surabhi, era l’11 aprile, è andata dalla polizia locale, ha detto che i genitori la sfruttavano; ha raccontato del padre che aveva perso il lavoro e che, proprio per questo, la faceva sgobbare il doppio di quanto già non faticasse; e ha poi raccontato che proprio non ne poteva più di quel night club maledetto dove il padre la costringeva a ballare, a spogliarsi, a danzare praticamente nuda e ad avere quello stupido nome che proprio non sopportava, Suparna. Da quel club Surabhi ha deciso di scappare, ha rinunciato a quei 25, a volte 125 euro che l’avevano fatta arricchire ma con i quali non riusciva a vivere e si sentiva prigioniera, prima che la giovane indiana decidesse di diventare come una delle protagoniste del romanzo di Karumi. Una vera e propria Indian junglee girl.
Claudio Cerasa
31/07/07

Nessun commento: