Ha ragione Giovanni Bollea, questi interrogatori fanno male ai bambini
Il carrozzone del circo mediatico-giudiziario si è concesso un paio di giorni di villeggiatura a 40 km da Roma, tra l’asilo di Rignano Flaminio e il Tribunale di Tivoli dove, da venerdì, sono in corso due incidenti probatori sui bambini vittime dei presunti abusi. E vedrete che anche oggi, sui giornali che scortano il carrozzone, troverete descrizioni del Sabba delle streghe, con i “castelli cattivissimi” e con gli avvocati che parleranno di “abusi confermati” e magari anche con qualche nome di bambino sfuggito per il gusto della curiosità. Non è il caso di tornare a spiegare che difficilmente bastano le parole di un bambino per “provare” un abuso, ma è invece il caso di allarmarsi su come questi interrogatori vengano utilizzati, più che come “prove schiaccianti”, come pugni negli occhi dei lettori, dato che a Rignano “prove schiaccianti” ancora non sembrano essercene. Non ci sono foto e non ci sono video e fino a prova contraria si deve parlare di presunzione di innocenza, non di colpevolezza. E per questo sarebbe utile memorizzare le parole del neuropsichiatra infantile Giovanni Bollea: “Preferisco pensare che un colpevole non venga condannato piuttosto che vedere dei bambini costretti a subire interrogatori del genere”. E’ vero, gli interrogatori possono anche essere utili come prove, ma portare dei bambini a parlare di abusi in un tribunale sempre più aperto al pubblico, e poi sbattere quelle parole in prima pagina, non può che far del male a quei figli e magari pure creare una gran confusione nelle indagini. Ha ragione il professor Bollea.
Claudio Cerasa
31/07/07
martedì 31 luglio 2007
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