5 maggio 2003, Nanni recita la deposizione del Caimano in Tribunale. Ecco lo stenografico
Roma. Nell’ormai non più misterioso ma
pur sempre impenetrabile, inarrivabile,
pungente, provocatorio, criptico, segreto, imperscrutabile,
maniacale e inevitabilmente
geniale, capolavoro preelettorale di Nanni
Moretti, le tracce lasciate dallo Stanley di
Monteverde (“ma lui è molto più bello, Moretti
è proprio un figo”, ci confessa una comparsa)
arrivano su un nastro. Dopo le comparse
coalizzate, perché “non siamo mercenari”,
gli addetti del casting mobilitati, perché
“noi siamo professionisti e soprattutto
non siamo stupidi”, i costumisti infastiditi,
“perché vogliamo essere rispettati”, a svelare
i maniacali misteri del film di Nanni Moretti
su Silvio il Caimano sono delle intercettazioni
registrate direttamente da uomini
vicini all’entourage morettiano. Coalizzati,
curiosi ma inevitabilmente incazzati.
Il Caimano, Silvio Orlando, “salta sulla
preda e la inghiotte”, salta in politica “non
perché gliene sia venuto l’estro”, “codifica
stramberie utili alla fuga dai processi milanesi”.
Puro Cordero. Il Caimano parla di
Silvio Berlusconi e delle più importanti
tappe che nella vita lo hanno portato a passare,
“non perché gliene sia venuto l’estro”,
dall’imprenditoria alla politica. E ce lo ricorda
sedici giorni prima delle elezioni, come
il Foglio è in grado di documentare tra
virgolette.
“Perché non risponde
adesso? L’imputato vuole
continuare a sottrarsi al
processo”, si sente nella
registrazione. Parla un
magistrato. Moretti sperava
che il suo Silvio, il
suo Caimano, qualcosa
dicesse. Ma Moretti, che oresta
la sua voce a Silvio, non
parla. “Non rispondo, vado”.
Commenta. “Ora mi inquadrano”, dice il Moretti
regista. “Sono già in ritardo dal presidente
greco che mi aspetta per un importante
incontro istituzionale”, continua il Moretti-
attore-Silvio. Il magistrato è una donna.
Sembra Margherita Buy, innamorata del Caimano,
che in una scena del film uccide suo
marito in una stanza circondata da bandiere
rosse con falci e martello. L’imputato è Silvio
Berlusconi, la voce è di Nanni. Continua il
pm: “Ma io questa volta mi aspettavo che il
presidente del Consiglio…”. Moretti la interrompe.
E’ nervoso. Il passaggio recitato da
Mister M. nei panni di mister B. è quello del
5 maggio 2003, quando Silvio Berlusconi si
presentò spontaneamente ai “processi milanesi”
sulla Sme. E sui quali forse è anche
informato bene Antonio Ingroia, il pm palermitano,
uomo di punta dello staff di Giancarlo
Caselli, già protagonista dell’altrettanto
eccellente ma sfortunatamente non più
impenetrabile lungometraggio di Enrico
Deaglio, intercettato dal Foglio assieme al
regista, il 23 febbraio, in una cena nel ristorante
romano da Evangelista. Dopo aver superato
brillantemente due mesi di alta depressione
che avevano insospettito alcune
persone “dell’ambiente”, portandole a pensare
che lo stesso regista non volesse dire
nulla del film “semplicemente perché del
film non ci stava capendo nulla”, Moretti
aveva avvisato il suo compagno di tavola.
“Sarà un filmone elettorale”.
“Perché io faccio parte di una troika”
I girotondi, il comizio di piazza Navona,
gli appelli, i consigli a sinistra, i cortometraggi.
Lo volevano in politica ma lui la politica
voleva farla a suo modo. “Perché io faccio
parte di una troika, faccio parte di una
troika che regge il consiglio”, dice Moretti al
magistrato. Il consiglio è il Consiglio d’Europa
che il Cav. avrebbe presieduto fino al dicembre
2003. “L’imputato vuole continuare
a sottrarsi al processo. Eppure io leggo in
quest’aula: ‘la legge è uguale per tutti’”. Moretti
recita, ma sembra essere furioso. “Sì,
ma questo cittadino qui forse è un po’ più
uguale degli altri”. Si ferma. Riprende. “Visto
che la maggioranza degli italiani in libere
elezioni ha conferito il mandato per governare”.
Pause, silenzi, commenti. Ancora
Moretti. Ancora Silvio. Si blocca la scena.
Moretti fa il Cav., Silvio Orlando fa il Caimano.
Elio De Capitani fa il Berlusconi imprenditore.
Il Cav. è uno e trino. Ma la voce
del Cav. pensante è la voce del Moretti narratore:
“I miei alleati. Non erano nessuno.
Erano fascisti. Li ho portati al governo, li ho
fatti diventare ministri. Erano democristiani
e si flagellavano. Si battevano il petto in
mezzo alla strada. E io li ho rassicurati.
Quelli della Lega nord poi… Tutta l’Europa
mi diceva: stai attento. Stai attento, sono razzisti.
Stai attento. Li ho fatti ragionare. Ho
portato al governo anche loro nonostante
m’insultassero. Nonostante mi dicessero che
ero un mafioso. Tutti li ho portati. Tutti li ho
portati. Ce ne fosse uno che oggi mi ha telefonato.
Ce ne fosse uno”. Il magistrato della
“legge è uguale per tutti”, fuori campo,
commenta. “Sono passati cinque anni dalla
prima udienza preliminare. L’imputato non
ha fatto altro che sottrarsi dal processo. Non
si è presentato in aula quando si era impegnato
a farlo. Si è dato da fare in ogni modo
per fare approvare delle leggi il cui fine era
quello di impedire che si celebrasse e si
portasse a termine questo processo. Quello
che era in gioco a questo punto era la possibilità
stessa di celebrarlo”. Sottofondo di
violini, stile Kubrick. (Con le norme capestro
del giornalismo non si riesce a scrivere un articolo
decente, nemmeno quando c’è lo scoop).
Claudio Cerasa
16/3/06
giovedì 19 luglio 2007
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento