Roma. Succede tutto in dieci giorni. Tra il 14 luglio e il 24 luglio dello scorso anno, il viceministro dell’Economia Vincenzo Visco invia due lettere; tutte e due sono indirizzate a Milano, tutte e due arrivano sulla scrivania del generale della Guardia di finanza Roberto Speciale e tutte e due contengono un paio di frasi che Vincenzo Visco, ora, dovrebbe spiegare, prima che le due pesanti mozioni preparate dall’Italia dei valori e dalla Cdl si trasformino in un colpo fatale e in un voto di sfiducia; per Visco ma anche per il governo di Romano Prodi. Perché il punto è semplice e lo riassume il senatore dell’Udeur Mauro Fabris: “Qui, più che una discussione su Visco, si tratta di rispondere a una domanda semplice semplice: signori, ma quanto resiste ancora Romano Prodi? E soprattutto chi è che sta ancora con il presidente del Consiglio?”. Il punto del caso Visco è proprio questo. Visco dice di non aver fatto pressioni, dice che il trasferimento dei cinque e poi quattro ufficiali della Guardia di finanza lombarda facesse parte dell’ordinaria amministrazione e soprattutto, Visco, fino a qualche giorno fa era davvero sicuro di riuscire a convincere l’Unione di un fatto, e cioè che in questa storia a mentire fossero i finanzieri. E lo era così tanto, Visco, da aver fatto esporre, in maniera pesante, anche Prodi, che, da un anno, ripete le stesse parole: “Non è successo nulla di eccezionale, è tutta propaganda”. E’ proprio per questo che se davvero Visco avesse fatto qualcosa di scorretto e se la prossima settimana il governo dovesse essere messo in minoranza al Senato (l’Idv chiede nella sua mozione di ritirare le deleghe di Visco sulla Gdf e alla mozione aderiranno anche i senatori dell’Ulivo Willer Bordon, Natale D’Amico e Roberto Manzione), per Prodi, come dice il senatore Sergio De Gregorio (che voterà entrambe le mozioni) “potrebbero chiudersi le porte di Palazzo Chigi”.
La storia di Vincenzo Visco crea davvero molto imbarazzo nel centrosinistra e lo si capisce perché sono in tanti a infastidirsi e a non parlare dell’argomento. Non parla Luciano Violante (“Non ha altro da chiedermi?”), non parla Peppino Caldarola (“Mi scusi, la prossima domanda?”), non parla Sergio D’Antoni (“Le valutazioni devono essere colleggiali”), non parla Nicola Rossi (“Mi guardi bene, nota muscoli che si muovono?”), non parla nessuno dei Ds ma soprattutto non parla quasi nessuno della Margherita. Come mai? Perché Visco non viene difeso da tutta la maggioranza? Probabilmente perché la situazione, ormai, sembra essere sfuggita di mano. E soprattutto sembra essere davvero chiaro che Vincenzo Visco si sia messo nei pasticci con tutti e due i piedi. Perché qui non si tratta soltanto del fascicolo della procura di Milano, che si è affrettata a dire che non c’è reato, di quello appena aperto dalla procura di Roma e di quello minaccioso del Tribunale militare. Perché qui, come dice Diliberto, “è innegabile che ci sia qualcuno nella maggioranza che non vuole tanto bene a questo governo”.
E chissà allora che nel caso Visco e nelle votazioni al Senato della prossima settimana non sia magari la Margherita a giocare un brutto scherzo al governo, dato che – tra i dl – sono davvero tanti i deputati che, sorridendo, da un lato non nascondono che un Vincenzo Visco in meno non sarebbe poi un grande problema e dall’altro, per riassumere l’umore del partito, rispondono così: “Quando non puoi dire male di qualcuno meglio non parlare”.
(segue dalla prima pagina) Ma nella maggioranza c’è qualcuno, come Antonio Di Pietro, che da tempo ha deciso di insistere sul caso Visco. E se Di Pietro si espone così, se dice che Visco è incastrato, un motivo ovviamente ci sarà. “Avevo detto – dice il ministro delle Infrastrutture al Foglio – che ci sarebbe stato un bigliettino che avrebbe confermato le pressioni fatte da Visco alla Guardia di finanza. Ecco, il bigliettino, cioè la lettera, si trova sul Corriere della Sera di mercoledì. Stiamo attenti, qui la situazione è davvero delicata e in tutto questo non va sottovalutato, ovviamente, il caso Unipol. Perché Visco non ha spiegato la sostituzione degli ufficiali? Perché Visco ha scelto proprio quei finanzieri da sostituire? E poi, per favore, siamo seri. In un’indagine come quella sulle scalate dell’estate 2005, quando si sceglie di sostituire i vertici della finanza significa eliminare completamente il cervello dell’indagine, significa togliere la benzina dall’inchiesta e significa insabbiare le indagini che comprendevano anche Unipol; è anche per questo che allo stato attuale, il viceministro dovrebbe dimettersi”.
Nella lettera acquisita dalla procura di Roma e scritta da Visco a Speciale lo scorso 24 luglio, il viceministro, sostanzialmente, ammette di essere stato lui a chiedere quelle strane sostituzioni nell’organico della Gdf. Da quelle righe, come dai verbali pubblicati in questi giorni, sembra che delle pressioni sui finanzieri ci siano state. E la situazione, per Visco e per chi lo ha difeso finora, si complica sempre di più se si pensa al voto in Senato di mercoledì, quando i senatori in bilico questa volta non sarebbero i soliti due o tre, dato che ci sarebbero i quattro dell’Idv, i dodici (possibili) della Sinistra democratica e quelli, come dice De Gregorio, “praticamente certi di Francesco Cossiga, Fernando Rossi e Roberto Manzione”.
C’è poi un altro elemento utile per comprendere l’atmosfera surreale attorno a Visco. Se da un lato c’è chi, come Diliberto, dice “io di Visco mi fido ciecamente” qualcun altro invece non la pensa affatto così. Poche settimane fa, fu proprio il quotidiano della Margherita, Europa, a pubblicare un duro articolo dove si spiegava perché “nel governo prevale la filosofia (incarnata da Visco, uno convinto che possedere una casa sia un lusso) secondo la quale la vita degli italiani è tutta scritta nel modello unico”. E non può sorprendere, dunque, trovare deputati della maggioranza d’accordo con le parole di Russo Spena di Rifondazione (“Questo non è un processo a Visco”): più che a Visco mercoledì potrebbe esserci un processo direttamente a Romano Prodi.
Claudio Cerasa
31/05/07
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