Il primo, Ira Newble, è un giocatore poco conosciuto, è cresciuto a Detroit, è diventato famoso a Miami, guadagna 15 milioni di dollari l’anno ed è arrivato a Cleveland (nel 2003) per giocare assieme a uno dei giocatori più famosi dell’Nba, the King LBJ. Il secondo, LeBron James, è uno dei giocatori di basket più famosi d’America, probabilmente uno dei più forti al mondo e ora, da qualche giorno, è anche uno dei professionisti più criticati degli Stati Uniti, per colpa del Darfur. LeBron James gioca in Nba, è la star dei Cleveland, ha 24 anni e ha una media assist davvero notevole per uno che, come lui, realizza fino a 30 canestri a partita (nell’ultimo anno, James ha totalizzato 6,6 assist a partita); LeBron è stato, tra l’altro, anche il giocatore più giovane della storia dell’Nba a ricevere il titolo di matricola dell’anno ed è stato anche quello più giovane ad aver ricevuto un premio molto importante come miglior giocatore delle All Star (la fase finale del più importante torneo di basket del mondo). Le Bron James, che ama farsi chiamare con le tre lettere da cui è composto il suo nome, LBJ, gioca in una squadra – i Cleveland, appunto – che si trova nella Eastern Conference dell’Nba, ossia nel girone di basket dell’est degli Stati Uniti. Proprio in questo girone il re dei cavalieri di Cleveland è stato il quarto giocatore della storia dell’Nba a mettere insieme nella stessa stagione qualcosa come 31 punti e sette rimbalzi di media. Oltre agli assist, come già detto. LeBron è anche riuscito a fare meglio di Micheal Jordan (LBJ ha lo stesso numero che Jordan aveva nei Bulls, il 23, e assieme ai Bulls i suoi Cleveland è arrivato alla quarta gara delle semifinali), con uno dei migliori debutti dell’Nba. Dire LeBron negli Stati Uniti equivale (o almeno, equivaleva) a dire Ronaldo e Inter. E un po’ come il fenomeno brasiliano, LeBron è un tipo piuttosto vivace, magari non ai livelli di Dennis Rodman, ma comunque nelle condizioni da non stupirsi più di tanto quando il suo nome finisce sulle prime pagine dei giornali, oltre che per i suoi canestri, per i suoi tatuaggi, per le sue notti in piscina, per le sue serate fuori dai night. Si sarebbe aspettato di tutto, the King, ma non di finire in una bufera per una lettera scritta da un suo compagno e firmata da tutti i cavalieri di Cleveland. Tranne lui, James, e il suo compagno, Damon Jones.
“Non sono abbastanza informato”
La storia è questa. Ira Newble ha preso carta e penna, ha scritto una lunga lettera e ha chiesto ai suoi compagni di firmare un appello che cominciava così: “La Cina non può essere legittimata a essere il paese che ospiterà le Olimpiadi, uno degli eventi sportivi più importanti del mondo, negli stessi anni in cui la stessa Cina è complice nella distruzione e nelle sofferenze del Darfur”. Ira Newble parla di Darfur, parla del genocidio e lo fa con un tono molto severo. Newble ha pensato di scrivere questa lettera poche settimane dopo aver letto un lungo articolo su Usa Today – uno dei giornali preferiti di Ira – molto preciso nel raccontare, oltre al genocidio, i grandi interessi della Cina nella regione del Darfur e il modo in cui, sempre la Cina, “riempisse di armi il governo sudanese”. Newble, considerato come una sorta di Pessotto dell’Nba, molto colto e grande lettore di libri e di giornali, non ci ha pensato su: scrive la lettera, la invia nel Massachusetts a un importante professore dello Smith College (esperto di Darfur) e assieme a lui conia un termine molto pesante che Newble utilizzerà poi all’interno del suo appello: “Genocide Olympics”, il Genocidio delle Olimpiadi. Newble è il primo atleta professionista che ha scelto di esporsi per la causa del Darfur, un po’ come fece il tennista Arthur Ashe per l’apartheid in Sudafrica e Muhammad Ali per la guerra in Vietnam. LeBron James, però, ha scelto di non firmare l’appello. E perché mai? Il team del fenomeno di Cleveland si giustifica dicendo di non conoscere sufficientemente le condizioni del Darfur e aggiunge poi di non voler confondere un evento sportivo come le Olimpiadi con la politica; probabilmente dimenticandosi di tutte le volte che le Olimpiadi si sono invece intrecciate con la politica: ad esempio quelle tedesche, e di Adolf Hitler, del 1936, ad esempio quelle di Monaco nel 1972, undici atleti israeliani uccisi, ad esempio quelle del 1980 di Mosca, quando gli Olympics Games furono boicottati oltre che dagli Stati Uniti proprio dalla Cina. Ma è la prima delle due giustificazioni ad aver cacciato LeBron in un piccolo terremoto. LeBron dice di non conoscere la situazione del Darfur, ma c’è chi giura che LeBron la situazione la conosca perfettamente. Lui, così come il suo sponsor ufficiale, la Nike, che ha recentemente firmato un contratto da 90 milioni di dollari con LBJ, che dopodomani lancerà negli Stati Uniti una nuova linea di abbigliamento sportivo per celebrare le Olimpiadi cinesi e che, soprattutto, come scrive il Christian Science Monitor, ha “huge business interests in China”, grandi interessi nel business cinese. In che senso? Nel senso che lo sponsor con il baffo di LeBron avrebbe potuto non gradire una firma di LeBron su un documento che condanna uno stato che organizza quelle Olimpiadi dove la Nike è l’azienda al mondo che più ha investito in pubblicità. E LeBron, in questo momento, non è uno qualsiasi. LeBron è uno dei testimonial sui quali maggiormente punta la stessa Nike. Proprio la Nike, nelle ultime settimane, aveva scelto giusto LBJ per lanciare una nuova campagna pubblicitaria: sfondo nero, baffo bianco, canestro, schiacciata di LeBron e sotto, in bianco: “We are all witness”, siamo tutti testimoni.
Claudio Cerasa
30/05/07
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