Roma La strana storia che riguarda il viceministro all’Economia, Vincenzo Visco, il comandante generale della Guardia di finanza, Roberto Speciale, la procura di Milano, Prodi e gli stessi vertici della Guardia di finanza della Lombardia che nell’estate del 2005 hanno indagato sulla scalata dell’Unipol di Giovanni Consorte sulla Bnl, ha sei giorni chiave e due o tre misteri da chiarire. Le date da ricordare sono il 26 giugno, il 13 luglio, il 14 luglio, il 15 luglio, il 17 luglio e il 26 luglio. Nell’arco di questi trenta giorni, Vincenzo Visco, da poco insiedatosi al ministero, riceve il generale Speciale per discutere del possibile trasferimento di alcuni dirigenti della Gdf di Milano (è il 26 giugno), decide di offrire allo stesso generale una lista di ufficiali da “sostituire immediatamente” (è il 13 luglio), spiega a Speciale che per questi avvicendamenti non ci sarebbe stato bisogno di avvertire nessuna autorità giudiziaria e quindi, dopo aver colto la preoccupazione sulla vicenda del procuratore di Milano, Manlio Minale, ribadisce al generale Speciale che “i trasferimenti vanno eseguiti immediatamente” (il 14 luglio), trova sulla scrivania una minacciosa agenzia (“Unipol, azzerati i vertici della Guardia di finanza della Lombardia”, è il 15 luglio) e quindi ricorda al generale Speciale che “se non avesse ottemperato alle direttive ci sarebbero state conseguenze”. Ma sul caso Visco e sul terremoto nella Gdf milanese, ci sono alcuni aspetti da spiegare e da non sottovalutare. Specie dopo quello che il premier Romano Prodi disse quasi un anno fa in Parlamento. Era il 27 luglio, l’anno era il 2006.
Secondo quanto detto alla Camera da Prodi, gli avvicendamenti proposti da Visco “sono nella prassi” e “non presentano alcuna eccezionalità”. Ma gli aspetti eccezionali nella vicenda ci sono eccome. Prodi e Visco dovrebbero sapere che i trasferimenti degli ufficiali della Gdf sono disposti esclusivamente dal comandante generale due volte l’anno (a gennaio e prima dell’estate) e dovrebbero sapere che i trasferimenti straordinari vanno spiegati, documentati, comunicati all’autorità giudiziaria e non possono essere delegati a nessun altro; nemmeno a due importanti generali come Italo Pappa e Sergio Favaro (non è un caso che il procuratore militare di Roma, Antonino Intelisano, abbia aperto un fascicolo sul presunto “impedimento all’esecuzione del comando”). Ma c’è di più. Secondo i verbali pubblicati ieri dal Giornale, sia Favaro che Pappa confermano ciò che Speciale disse all’avvocatura di stato il 17 luglio 2006, e cioè che fu proprio Visco a chiedere loro l’azzeramento dell’intera gerarchia della Gdf in Lombardia. Ora, se da un lato è difficile credere sia solo un caso che i generali e i colonnelli della Gdf che Visco avrebbe voluto sostituire facessero parte della catena di comando che si occupava della scalata Unipol su Bnl (il colonnello Lorusso dipendeva dal generale Forchetti, il colonnello Pomponi dipendeva da Lorusso, e il colonnello Tomei dipendeva da Pompei), dall’altro lato ci potrebbe però essere sia il maldestro tentativo di Visco di piazzare qualche suo uomo di fiducia, sia l’ambizione dei due generali Pappa e Favaro (scelti da Visco per discutere della sostituzione dei finanzieri). Secondo una fonte autorevole del Foglio, Pappa e Favaro, proprio in quei mesi avevano l’intenzione di acquistare più potere nel corpo militare e se ci fossero riusciti anche grazie alle attenzioni di Visco, questo per loro non sarebbe evidentemente stato un problema. Se non che i due finanzieri, interrogati il 6 dicembre dall’avvocatura di stato, iniziano a capire che quella storia si mette un po’ male e raccontano tutto agli avvocati. Sul caso Visco qualcosa in più si dovrebbe sapere nei prossimi giorni anche grazie ai contenuti delle lettere tra il viceministro e Roberto Speciale. Oltre a questo è poi interessante notare l’atteggiamento nei confronti di Visco di quella parte della maggioranza che aveva identificato da tempo il viceministro come uno dei principali problemi del governo Prodi. Se da un lato c’è il rumoroso silenzio dei vertici della Margherita e il ministro Arturo Parisi che non considera chiuso il caso, c’è chi come Antonio Di Pietro continua a essere duro con Visco, e maliziosamente ritiene che “togliere gli autori investigativi dal fascicolo significa fermare l’azione giudiziaria”.
Claudio Cerasa
25/05/07
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