domenica 6 maggio 2007

Il Foglio. "Le streghe cattive sono tornate, ma solo in bocca ai bambini"

I peluche della maestra, la casa con i cuoricini e l’uomo nero nero. E se quei pedofili di Rignano Flaminio non esistessero? Cronaca di una possibile tragedia culturale e di un paese che ha scoperto cosa significa aver paura

Squilla il telefono, sono le diciannove e quarantadue, è il quattro maggio, l’anno è il duemilasei, Clara è seduta sul divano, la mamma Teresa ha appena acceso la televisione, poggia il telecomando sul tavolo, risponde al telefono, saluta e poi riattacca; Teresa ha trentadue anni, orecchino al naso, tatuaggio sul polso, orologio Gucci, maglietta scollata, zeppe bianche, jeans un po’ strappati, occhi verdi, capelli neri, sciarpa nera, pelle chiara, qualche brufolo. Teresa si avvicina alla figlia, la guarda, sorride, sorride anche la bimba, su Rai Uno va la pubblicità, Clara guarda la mamma ma Clara non parla. La guarda ancora ma Clara non dice nulla. Si ferma un attimo, Clara inclina la testa come fanno tutti i bambini quando stanno per dirti qualcosa di importante. Clara era andata a scuola anche quel giorno, nella classe con i fiori sulla vetrata, con i banchi che alla fine della quinta ora erano sempre raccolti lì, al centro dell’aula, con le maestre Marisa, Patrizia, Silvana, la bidella Cristina e gli altri ventiquattro compagni della classe nella scuola materna Olga Rovere di Rignano Flaminio, trentanove chilometri da Roma. Clara aveva fatto anche quel giorno le sue quattro, quasi cinque ore di lezione, mancavano tre settimane all’estate, aveva iniziato a sfogliare qualche fiaba, quelle con Cappuccetto Rosso, quelle con il lupo cattivo, con le fatine, con le case strane e con i cuoricini sui muri. “Mamma – dice Clara – se ti puntano una pistola in testa che cosa succede?”. “Dipende – risponde Teresa – dipende cosa fai con quella pistola”. “Mamma – dice Clara – se ti puntano una pistola in testa e poi sparano che succede, mamma?”. Clara alza il braccio destro, distende le dita della mano, chiude il mignolo, chiude l’anulare, porta la mano sulla testa. “Amore, se ti sparano si muore”, dice Teresa. “Anche se sparano a te, mamma?”. “Sì tesoro, anche se sparano a me”. Passano cinque secondi. Teresa guarda Clara ma non capisce. Clara prende fiato. Piega ancora la testa. Cinque secondi possono essere molto lunghi. “Mamma – dice Clara – ma se ti racconto una cosa mi prometti che non ti fai sparare?”. Due mesi dopo arriva una denuncia, ne arriva un’altra, un’altra ancora, in tutto sono cinque, cinque genitori di cinque bambini di Rignano Flaminio.
La prima denuncia il nove luglio, pochi mesi dopo le altre, i genitori iniziano a incontrarsi, i carabinieri di Bracciano indagano, arrivano i Ris, arrivano le telecamere nella scuola, arrivano le intercettazioni, arrivano i controlli sulla rete e quelli sui conti correnti, le perquisizioni, le ordinanze, la psicologa, il pubblico ministero, arriva la televisione, arriva il primo articolo di un giornale (il tredici ottobre sul Corriere di Viterbo), arriva una nuova preside (a settembre), arriva un nuovo maresciallo dei carabinieri (a marzo) e arriva persino un curioso reportage di Vincenzo Cerami (per il Messaggero).
Nella scuola di Rignano Flaminio è ormai da qualche mese che si parla di orchi, di mostri, di pedofili e di violenza sessuale. Fino a marzo erano solo voci. Dal venticinque aprile di quest’anno le voci sono diventate arresti.
A cinquecento metri dal palazzo del Comune di Rignano si trova una caserma dei Carabinieri. La caserma è molto piccola, ha due piani, un citofono, un corridoio, una stanza sulla destra, pochi carabinieri, una sola volante. Ma qui, a Rignano non è mai arrivata alcuna denuncia. I genitori dei bambini che sarebbero stati abusati non sono mai entrati qui dentro e quando hanno capito che c’era una sola, un’unica spiegazione a quelle irritazioni, a quei diavoli nudi, a quelle streghe cattive, a quell’uomo nero, all’orco con le corna, a quelle strane parole, a quelle domande sulla pistola, sui peluche, sui video, sulle maestre, sulle braccia tagliate, sul pisellino irritato, sui baffi neri, sulla maestra con le tette mosce, sulla bidella Patrizia, su un Giovanni che in realtà si chiama Gianfranco, sull’uomo nero effettivamente un po’ nero, quando hanno capito cosa stava succedendo, i genitori dei bambini di Rignano hanno preso la Flaminia e sono arrivati alla Caserma di Bracciano. La caserma di riferimento era quella, e non quella di Rignano. Troppe persone conosciute, troppe voci, troppe chiacchiere e i genitori avevano bisogno di fidarsi. Qualcuno doveva spiegare cosa era successo e qualcuno doveva spiegare cosa avevano fatto ai nostri figli. Perché come fai a non credere ai tuoi figli, a quattro anni di età? Come fai a non capire che c’è solo una spiegazione se quei bambini non mangiano più tanto, non vogliono più andare a scuola, se quei bambini hanno paura del buio, se fanno tutti quei sogni strani strani, se parlano di un posto lontano lontano dove ci sono i cuoricini per finta, se si toccano il pisellino, se giocano con la patatina e se hanno persino detto “mamma, papà, questa sera posso dormire nel lettone con voi?”. Qualcuno doveva spiegare cosa stava succedendo, così non si poteva andare più avanti, serviva un gesto, una denuncia, un consiglio. Serviva, quanto meno, una caserma dei carabinieri. “Comandante, mia figlia è stata violentata. In quella scuola ci sono i pedofili”.
Il sedici settembre arrivano le telecamere, il ventuno agosto le prime cinque famiglie furono interrogate, il nove settembre era stata identificata la prima casa, il quindici ottobre il sindaco di Rignano, Ottavio Coletta, chiede spiegazioni alla procura (quella di Tivoli) da cui sono partite le indagini e il sedici novembre cinque persone vengono iscritte sul registro degli indagati (c’è anche il titolare di una carrozzeria, ma solo per qualche settimana). Si cercano gli orchi, i pedofili, i mostri della scuola materna Olga Rovere, duecentocinquanta bambini, quasi mille quadrati di grandezza, due piani, un giardino, molte aule comunicanti, molti vetri, due insegnanti per ogni classe e parecchie maestre di sostegno. In questa scuola le maestre non erano mai da sole nelle loro classi. Il sette luglio arrivano le prime sei denunce, poi ne arrivano dieci, e altre quattro e ancora altre sei. In tutto fanno ventisei denunce. E questo dopo otto mesi di indagine, dopo aver tenuto sotto controllo (per mesi) le linee telefoniche degli indagati, i loro conti bancari, dopo aver parlato con i genitori dei bambini, dopo aver ricevuto le perizie psichiatriche, dopo l’importante consulenza di Luigi Cancrini (famoso psicologo, senatore dei Comunisti Italiani, collaboratore dell’Unità, su cui faceva referti psichiatrici di Silvio Berlusconi, e particolarmente convinto che a Rignano quei dannati pedofili ci siano davvero), dopo tutto questo, dopo quasi un anno, improvvisamente alcune maestre vengono arrestate. Viene arrestata Patrizia Del Meglio, suo marito Gianfranco Scancarello, Marisa Pucci, Silvana Candida Magalotti, Cristina Lucerti e Kelum Weramuni De Silva. Tre maestre, un autore televisivo, una bidella, un benzinaio. Le accuse sono forti, da urlo: si parla di atti osceni in luogo pubblico, sottrazione di minore, sequestro di persona, violenza sessuale; e questo in un paese come Rignano Flaminio, dove tutti un po’ si conoscono davvero e dove già da un po’ alle insegnanti era stato vietato di accarezzare la testa dei bambini, di riabbottonare i pantaloni degli alunni, di riallacciare le camicie dei piccoli, di pulirgli la bocca, di cambiare i pannolini, di festeggiare il carnevale, di vestirsi in maschera, di parlare di orchi, di lupi cattivi e di far uscire i bambini – da soli – dalla scuola in piazza Carlo Stefanini. Con un paese che per mesi non si parlava d’altro e con un sindaco molto preoccupato che non sapendo bene come comportarsi aveva ordinato ai giornalisti di rimanere lontani dalle scuole per quindici giorni, proibendo tra l’altro anche qualsiasi tipo di manifestazione politica e senza sapere che decisioni e ordinanze di questo tipo possono essere però prese solo dal prefetto o dal questore. E il prefetto di Roma, Achille Serra, questo gliel’ha fatto notare; giusto qualche giorno fa.
Ma se da un lato ci sono le maestre che non ci credono, quelle che si difendono, quelle che vanno a “Chi l’ha visto”, quelle che rilasciano le interviste, quelle che fanno le fiaccolate di fronte a Rebibbia, quelle che raccontano – e sono tante – che la colpa è soltanto delle famiglie, che tra quei genitori c’è chi ha seri problemi, con famiglie malamente divorziate, “storie di tossicodipendenze”, “madri in cura perché vedono il diavolo in casa” e con altri genitori – come si legge dalle perizie della psichiatra Marcella Fraschetti – con “problematiche familiari”, “indice di impulsività eccessivo”, “senso istericoforme”, “infanzia di violenza in famiglia” che portano al “suo vedere al microscopio anche le cose più terribili e nefande”, che “gli danno l’opportunità di elaborare il lutto affettivo orginario” ; se da un lato c’è tutto questo, dall’altro – a Rignano Flaminio – ci sono invece i genitori che hanno paura di non essere creduti, quelli che hanno paura che tutto questo sia successo davvero, quelli che sperano che non sia successo niente e che sanno che sarebbe terribile anche se a questo punto non fosse successo nulla. Perché i genitori sanno cosa è successo. Sanno che gli orchi sono le maestre, sanno che sono proprio le insegnanti che hanno cresciuto i loro figli ad aver infilato i vibratori nella patatina, ad aver fatto gocciolare la colla dentro il pisellino, ad aver fatto le iniezioni in testa e anche sulle braccia; sanno che non c’è altra spiegazione se quei bambini hanno il culetto irritato, se quei bambini vomitano, se si strusciano, se si masturbano, sanno che sono stati quei bastardi, il benzinaio, l’autore, la bidella, le maestre e se nessuno dice nulla in quella dannata scuola, se nessuno ricorda, se nessuno ha visto, vuol dire che sono tutti coinvolti, vuol dire che c’è una mafia, vuol dire che c’è quel sistema di cui parla nell’ordinanza di custodia cautelare il giudice per le indagini preliminari di Tivoli, Elvira Tamburelli. Perché a Rignano Flaminio c’è un intero paese che ha scoperto cosa significa aver paura, c’è un paesino intero che ora sa cosa significa quello che monsignor Angelo Amato chiama il “film perverso sul male che viene girato ogni giorno in ogni parte del mondo con sceneggiature sempre nuove e crudeli”. Perché qui a Rignano c’è chi improvvisamente ha scoperto che il male, che il diavolo, che una piccola ma grande apocalisse potrebbe essere proprio qui, a trentanove chilometri da Roma.
E a Rignano Flaminio poco importa delle contraddizioni che vengono fuori dalle indagini, del procuratore capo di Tivoli (Claudio D’Angelo) che è costretto a rilasciare interviste e dei piccoli pasticci dei magistrati; poco importa se la cucina di cui parlano i bambini non è rossa e nera, se le cucine non sono di legno, se il famoso passaggio sottoterra non esiste, se dei video che sarebbero stati girati nelle case delle maestre non è stata trovata traccia, se la piscina di cui parlano i piccoli è stata riconosciuta all’interno di un paesino a cinque chilometri da Rignano (si chiama Morolo) e però non è di nessuno degli indagati; poco importa se le prove schiaccianti di cui parla il pubblico ministero sono vestiti di carnevale, peluche, cuoricini e abiti da fata; poco importa che il pm abbia scritto che i sei arrestati erano tutti delinquenti abituali (mentre in realtà sono tutti incensurati); poco importa se le cinque famiglie dei cinque bimbi molestati andavano tutte in classi diverse da quelle delle maestre, se la maestra Marisa era una delle maestre più stimate del paese, se la maestra Patrizia aveva in classe con sé sempre un’altra maestra più un’insegnante di sostegno per un bambino handicappato; poco importa se la maestra Silvana non si è mai allontanata da scuola, se il marito della maestra Patrizia non si chiama Giovanni, se il super testimone delle indagini è la ex colf della famiglia Scancarello (la colf ricorda di un giorno in cui la maestra Patrizia era ritornata a casa con due bambine con il grembiulino e lo zainetto senza dire che forse quelle potevano anche essere le compagne di classe di una delle figlie della maestra); poco importa a Rignano se le due vigilesse che avrebbero visto qualche mese fa due bambini da soli, vicino alla scuola, hanno poi raccontato che i due bambini erano in realtà cinquanta e che la maestra che attendevano si chiamava sì Magalotti, ma come le quattro altre Magalotti che si trovano alla Olga Rovere; poco importa, infine, se dalle perizie mediche a nessuno dei cinque bambini sono stati riscontrati disturbi (l’unico ad avere qualche problema nella zona anale era un bambino che si chiama Matteo, ma la perizia ha poi spiegato che Matteo avrebbe avuto il culetto un po’ arrossato per via “della recente diarrea”); poco importa se i primi cinque genitori dei primi cinque bambini dicono tutti di non conoscersi mentre poi ti raccontano che “cinque di questi bambini frequentavano lo stesso corso di nuoto, che due sono cugini, che due abitano nello stesso palazzo, che due vivono sulla stessa via e che molti di loro si frequentavano anche dopo l’orario scolastico”, come è normale che accada in un paesino di ottomila abitanti; e poco importa che uno dei sei arrestati, l’uomo nero che avrebbe dovuto aspettare con la macchina i bambini sul retro della scuola, non ha neppure la patente (il benzinaio è stato riconosciuto come l’uomo nero di cui parlerebbero i bambini grazie a un bimbo che avrebbe detto “cattivo, cattivo, uomo nero” e che il benzinaio sarebbe stato incastrato grazie a una bambina che, secondo quanto riportato dal padre, avvicinandosi alla centralissima pompa di benzina dell’Agip di Rignano, notava che “la sua bambina salutava Maurizio con sorrisetti e occhiate da fidanzatina”. Il benzinaio, tra l’altro, non si chiama neppure Maurizio).
Ma se quei pedofili a Rignano Flaminio non esistessero? Se fosse una tragedia culturale? Se non dovesse uscir fuori nemmeno un video, nemmeno una foto, nemmeno una testimonianza forte, nemmeno un’intercettazione sospetta? Se ci fossero solo le parole dei bambini a inchiodare le tre maestre, la bidella, il marito di una maestra e l’uomo nero della pompa di benzina?
Rignano è proprio questo. Perché magari i pedofili a Rignano esisteranno davvero, ma il vero dramma è quello dei genitori che non capiscono come è possibile non credere a un bambino, come è possibile che quei racconti, quei colori, quei peluche, quei particolari, quelle incredibili violenze raccontate con i disegni, con le parole, con i gesti, e che quel dramma persino mimato dai bambini non sia sotto gli occhi di tutti? Se lo chiedono i genitori e se lo chiede il pubblico ministero e se lo chiede anche il Gip. Tutto ruota attorno ai racconti che i genitori hanno fatto dei racconti dei bambini; ci sono sei persone finite in carcere per qualche disegno, per qualche peluche (i peluche sono stati individuati dai bambini non all’interno delle case delle maestre, ma indicandoli sullo schermo di un computer dei carabinieri), sono finite in carcere per una piscina, per alcuni baffi, per alcuni sorrisetti e un’occhiata da fidanzatine. E il problema è che lo stesso copione della scuola di Rignano, delle maestre insospettabili, della paura di un paese intero, dei bambini a cui non è possibile non credere, dei genitori che improvvisamente capiscono che quei problemi sono tutti dovuti agli abusi, ecco, questo copione lo si ritrova in moltissimi altri casi. Lo si ritrova in una scuola di Brescia (nel 2001), lo si ritrova in Francia in un paesino di nome Outreau, dove un sacco di gente fu moralmente ammazzata per pura fobia sociale, e lo si ritrova in una scuola di Manhattan Beach, negli Stati Uniti (sulla cui psicosi di massa Oliver Stone ha prodotto un film che si chiama Indictment).
Ci sono sempre i bambini che non mentono mai, le maestre modello, la scuola materna, i bimbi che hanno strani sintomi e senza testimoni che abbiano visto qualcosa, senza video, senza fatti evidenti, senza telefonate. Nulla di schiacciante. Nessuna prova, solo gli occhi dei bambini che raccontano dell’orco cattivo, del cappuccio con le corna, dell’uomo nero, del tavolo, della cucina. E questo semplicemente perché le parole, nel momento in cui si trovano su una carta giudiziaria cambiano di valore e diventano prove schiaccianti. Come una normalissima telefonata intercettata e pubblicata diventa una sentenza. Ma una testimonianza di un bambino quanto conta davvero? “Se la testimonianza non viene registrata da una videocamera conta pochissimo – spiega uno psicologo romano che segue da ottobre la vicenda di Rignano ma che chiede di non comparire – E anche se le testimonianze dei bambini fossero state registrate, cosa che però incredibilmente non è avvenuta in questo caso, cambierebbe davvero poco. Nella storia dei processi di pedofilia non è mai successo che le sole parole dei bimbi siano state sufficienti per mandare qualcuno in galera o per dimostrare che un crimine sia vero oppure no. E questo si spiega con il fatto che tra i due e i quattro anni i bambini confondono spesso la realtà con la finzione, confondono spesso il reale con le favole, con gli altri racconti dei bambini e con le parole della televisione. Ma c’è un altro problema. Spesso il bambino si trova di fronte a una mamma o una psicologa che fa domande chiuse alle quali il bambino deve rispondere sì oppure no; e, come tutti sanno, un bambino di fronte a una domanda posta in uno stato di pressione tende a dare le risposte che il suo interlocutore si aspetta. Ed è per questo che ci sono moltissimi pubblici ministeri che in Italia iniziano indagini sulla pedofilia nelle scuole e poi finiscono per non portarle avanti perché capiscono che spesso si tratta di una grande suggestione o di una caccia alle streghe; perché se un bambino ha un disagio il problema non deve essere per forza quello percepito e raccontato dai genitori. Spesso il problema sono i genitori stessi. Ma attenzione. Qui viene sottovalutata una questione di grande importanza. Nel momento in cui da un processo si arriva a una sentenza, la verità giudiziaria non risolve nulla per il bambino. Verità giudiziaria non significa verità clinica. Il bambino si trova ormai in uno stato di grande confusione e il semplice fatto di vivere una situazione del genere non fa che creargli un trauma secondario. E’ per questo che ad anni di distanza da processi di assoluzione di presunti pedofili, ci sono bambini ormai grandi che presentano ancora moltissimi disturbi”. Senza dimenticare poi la questione dei video. Le uniche videoregistrazioni dei racconti dei bambini sono state girate nella prima settimana di agosto, quasi un mese dopo la prima denuncia arrivata alla caserma di Bracciano. Guardando i video si nota il modo piuttosto anomalo con cui questi video sono stati girati dai genitori delle presunte vittime degli abusi. Nelle registrazioni i bambini sono già nudi (in una scena in cui vengono ripresi due bimbi su un letto, i genitori sostengono che i bambini si stiano toccando in maniera tutt’altro che ingenua, ma dalle immagini non sembra davvero esserci nulla di più che una semplice curiosità tra bambini di quattro-cinque anni), i bambini non parlano esplicitamente dei presunti abusi, rispondono alle domande dei genitori muovendo la testa, dando del bugiardo a un padre, parlando con una bamboletta che chiamano fatina e non ricordano con precisione i nomi che i genitori spesso suggeriscono; e le tecniche con cui sono state documentate queste testimonianze sono quantomeno discutibili, dato che i bambini non parlano liberamente, ma sono costretti a rispondere con un “sì” o con un “no” a domande tipo queste: “Tesoro, chi ti ha fatto la bua?”.
C’è però un altro episodio da raccontare. Lo racconta una maestra che fino a qualche anno fa si trovava alla scuola materna Olga Rovere. Anche la maestra chiede di non comparire, spiegando che a Rignano c’è grande paura, che girano minacce, che vengono tagliate le gomme delle auto, che vengono fatte telefonate anonime e che meno si parla e meglio è. La maestra ricorda che fino a qualche tempo fa nella scuola materna di Rignano (premiata nel 1999 come migliore scuola materna del Lazio) per spiegare i colori si raccontava una fiaba. Per il rosso si raccontava la storia di Cappuccetto Rosso. Per il blù si raccontava la favola di Barbablù; e nella scuola di Rignano gira un libro dove tra i racconti di Barbablù c’è un’immagine che ricorda uno dei disegni di cui si parla l’ordinanza del gip di Tivoli. In una di queste pagine c’è l’episodio in cui Barbablù uccide la moglie tagliandogli la gola. Nell’ordinanza non si parla di pistole, ma si parla delle maestre che avrebbero tagliato le braccia ai bambini. Due giorni dopo la favola di Barbablù un bambino si avvicina alla maestra. La ferma e le dice: “Maestra, sa che papà ha tagliato la gola a mamma?”.
Ma a Rignano succedono anche alcune cose un po’ strane. Succedono ottocento metri sopra piazza Carlo Stefanini, pochi metri a nord-est rispetto alla scuola materna Olga Rovere, vicino all’altra scuola di Rignano, che si chiama anche questa Olga Rovere e sulla quale Vincenzo Cerami ha scritto pagine di memorabile inesattezza per il Messaggero (Cerami parlava di tristissime seggioline che guardano verso il nulla, senza accorgersi che le malinconiche seggioline della scuola degli orrori di cui parlava erano quelle della scuola elementare: la scuola materna si trova invece, milleottocento metri più a sud); succedono cose strane non lontano dalla chiesa (un po’ bruttina) dove il parroco Don Henry – in una chiesa piena di giornalisti mimetizzati tra gli esausti rignanesi peggio soltanto dei carabinieri in borghese, gli unici con gli occhiali da sole durante la messa – domenica scorsa ha parlato di azzeccagarbugli, di violazioni del segreto professionale, di preti come lui che avrebbero potuto fare carriera e che invece sono rimasti a Rignano, dei preti che sono sempre presenti, qui in paese, trecentosessantacinque giorni all’anno e dei preti che sono quindi come i carabinieri e con i carabinieri in borghese che però non sembravano sentirsi granché parroci. Vicino a tutto questo si trova una via molto lunga che si chiama via Giotto, dove una signora con i capelli rossi racconta che a Rignano c’è un’atmosfera strana, racconta di essere stata picchiata, racconta di aver subito ultimamente delle estorsioni (in un rapporto del duemilacinque l’antimafia segnalava la zona di Rignano come una di quelle più a rischio tra 129.870 usurai nel Lazio) e racconta che in quella via si vedono tre gattine i cui piccoli quando nascono spariscono nel nulla. La signora racconta anche di alcuni cassonetti bruciati da alcuni ragazzi vestiti di nero, di uomini con alcune maschere; ricorda che da Rignano un anno fa partì (il venti gennaio, per l’esattezza) un misterioso camioncino nero all’interno del quale i carabinieri trovarono un signore di cinquantasei anni che trasportava con sé tre bare con alcune ossa umane. E tutto questo perché a Rignano c’è chi crede alla storia del satanismo, c’è chi come i genitori dei bambini che sarebbero stati violentati crede davvero alla storia un po’ fiaba e un po’ sabba, in cui i bambini dopo essere stati presi di nascosto dalle scuole, caricati sulla macchina con l’uomo nero (che però non aveva la patente), dopo essere stati narcotizzati, dopo essere stati ripresi con una telecamera, dopo essere stati violentati con il ditino, credono davvero che lì si trovano i cappucci, i diavoli, gli animali bruciati, il Gesù buono e il Gesù cattivo. Te lo racconta anche Teresa (Teresa e Clara non sono ovviamente nomi veri), ti racconta di Clara che dopo avergli parlato della pistola grazie alla quale Teresa aveva capito che c’era qualcosa che non andava, gli aveva parlato anche di un Gesù buono e un Gesù cattivo. E le mamme credono al satanismo. Ci credono a tal punto che qualcuna di loro distribuisce ai giornalisti un ritaglio tratto dalla pagina trentaquattro della cronaca romana del Giornale. Il numero è del 21 agosto duemilasei, l’articolo è titolato così: “Piaga satanismo: nel Lazio dodicimila i fedeli di Belzebù”.
Forse a Rignano c’è un pedofilo, magari due (ma dalle attuale indagini, in concreto viene fuori davvero poco, l’ordinanza – passata comunque senza problemi al vaglio del Gip che ha poi rigettato le istanze di arresti domiciliari – appare un po’ debole e il pubblico ministero punta tutto sulla ricerca di un fotogramma, di un video, di una traccia lasciata su Internet, delle analisi del Dna di alcuni capelli trovati nelle macchine delle maestre, le testimonianze dei bambini sono state finora utilizzate come carte utili per poter mettere in carcere gli indagati, anche se il tribunale del riesame già la prossima settimana potrebbe concedere gli arresti domiciliari), ma chiunque vada a Rignano capisce che c’è chi crede che qualcosa è successo, c’è chi crede alle maschere dei diavoli, ai conigli con le corna, agli stupri, ai riti satanici (in paese c’è anche chi racconta che a Sant’Oreste, a pochi chilometri da Rignano, lo scorso anno sono state rubate alcune ostie dal tabernacolo), c’è chi si sente davvero come l’Everyman di Philip Roth, quello che attraversava la spiaggia ed è terrorizzato dall’idea di inciampare in qualsiasi momento in un cadavere; perché c’è anche chi cita Voltaire e dice che, attenzione, le streghe hanno smesso di esistere quando noi abbiamo smesso di bruciarle, e i pedofili smetteranno di esistere quando noi smetteremo di accusarli, ma c’è davvero chi crede che Rignano sia diventato il paese delle streghe, degli orchi, c’è davvero chi crede agli incredibili racconti dei bambini di quel paese dove le maestre cattive – comunque sia – rimarranno per sempre le maestre e dove – comunque sia – c’è una scuola con i cuoricini e con i libri di cappuccetto rosso, che dalla prossima estate potrebbe già non esistere più.
Claudio Cerasa
5/5/07

2 commenti:

acca ha detto...

E se fosse tutto vero?

durchbrechen ha detto...

tutto iniziò con alcune bambine che hanno comportamenti strani. Bestemmie, apparenti stati di trance, e dicono di essere state tagliate con coltelli. La voce incominciò a spargersi per il paese, insieme all'interpretazione demoniaca del fenomeno, e altre bambine incominciarono a comportarsi nello stesso modo.
Si incominciano a interrogarle, e fra racconti di accompiamenti con il demonio e altre stregonerie, vengono estorti i nomi. I bambini che nomi possono dare quando chi li interroga vuole i nomi ? I nomi di coloro che conoscono. In pratica tutti quelli i bambini conoscevano nel piccolo villaggio.
La prima vittima fu Bridget Bishop, un'anziana donna accusata di mandare in giro il proprio fantasma per tormentare le persone e di potersi trasformare in un gatto: Bridget fu impiccata il 10 giugno 1692.
Seguì un'impiccagione di cinque donne il 19 luglio, tra cui una pia donna, tale Rebecca Nurse, in un primo momento assolta, ma successivamente condannata a causa d'indegne pressioni da parte dei giudici sulla giuria.
E non solo donne vennero condannate a morte: persero la vita sia John Proctor, un taverniere intransigente contro la stregoneria (la sua vicenda ispirò il drammaturgo Arthur Miller nella sua opera The Crucible), che l'ex pastore del villaggio, George Burroughs, che si difese strenuamente, protestandosi innocente fino all'ultimo e dimostrando il 19 agosto, davanti alla forca, di conoscere il Padre Nostro perfettamente (si supponeva che le streghe non fossero in grado di recitarlo): solo l'intervento dell'implacabile inquisitore Cotton, giunto appositamente, il quale affermò che spesso il Diavolo poteva trasformarsi in un Angelo di Luce, fece proseguire l'esecuzione capitale.
Una sola vittima non fu impiccata, ma la sorte riservatale fu anche peggio: si trattava dell'ottantenne Giles Corey, il quale si rifiutò di farsi processare. La pena in questo caso fu tremenda: fu fatto schiacciare da pesanti lastre di pietra, mentre, tre giorni dopo, la moglie e altre otto presunte streghe furono impiccate. Furono le ultime vittime di questo attacco di isteria collettiva: in tutto furono uccise 20 persone e altre 4 morirono in carcere.

E se fosse stato tutto vero ?