giovedì 1 novembre 2007

Il Foglio. "Il nuovo Bill Gates odia Bush"

Il nuovo Bill Gates si chiama Eric Schmidt, ha cinquant'anni (come Gates), è uno degli uomini più ricchi del mondo (un po' meno di Gates), è il capo di Google, capo di Apple, democratico, amico di Al Gore, amico di John Kerry, amico di Bill e Hillary Clinton e le prossime elezioni potrebbe deciderle lui.
Era il settembre del 2000 quando sul muro dell'ufficio al numero 1.600 di Amphitheatre Parkway, nella città di Mountain View (California), Sergei Brin e Larry Page, i due fondatori del motore di ricerca più importante del mondo (Google), iniziano a proiettare la biografia di Eric Schmidt. "This is your biography", gli dicono. Le luci erano spente, il proiettore accesso, Larry e Sergei erano seduti ai due lati del tavolo di cristallo e stavano cercando la terza persona per la direzione di Google. Avevano scelto Eric, ma lui ancora non lo sapeva. Il colloquio dura un paio d'ore, i due ragazzi (allora ventiseienni) passano tutto il tempo a criticare, provocatoriamente, le precedenti scelte fatte da Schmidt, nella sua vecchia azienda: la Novell. Eric capisce il gioco: resiste, parla, incassa e sorride. Poi esce dalla sala e ci pensa un attimo. La sua biografia, Eric, non l'aveva mai data a nessuno. Brin e Page l'avevano costruita da soli. L'avevano
trovata su Google.

Sei mesi dopo, Schmidt diventa capo di Google; assieme a Page e Brin. La direzione
di Google è un triumvirato, ogni tipo di decisione viene presa con una maggioranza di almeno due terzi. Arriva Schmidt, ma arrivano anche le prime malizie. Schmidt ha quasi la stessa età di quella che i due fondatori di Google hanno sommando le proprie. E c'era, quindi, qualcuno che vedeva il suo arrivo a Google soltanto come un tentativo per fortificare l'immagine della giovane azienda, appena quotata in Borsa. Ma le cose non stanno così. Google è entrata in Borsa e Schmidt l'ha fatta decollare. E non solo con la sua faccia. Nel 2001, subito dopo aver accettato l'incarico, i suoi ex colleghi dicono a Eric: "Ma scusa. Dove vai? Non lo sai che Internet è finito?".
L'undici settembre era passato da poco. Ma a giugno, Schmidt aveva già annunciato il suo primo trimestre positivo. Da quel giorno in poi, Google, di trimestri negativi non ne ha avuto neppure uno. E per questo Schmidt ora ha anche iniziato a comprare. Lo ha fatto pochi giorni fa, quando per acquistare You Tube ha speso 1,6 miliardi di dollari. Ma lo ha fatto anche qualche mese prima, comprando un grande ingegnere. Si chiama Kai-Fu Lee, era uno dei migliori talenti di Microsoft. Schmidt lo acquistò. Bill Gates e il suo manager più rappresentativo, Steve Ballmer, non la presero bene. Secondo una ricostruzione affidabile, Ballmer accolse la scelta di Kai-Fu Lee in questo modo: "Bastardo. Non dirmi che è lui. Non dirmi che è Schmidt. Oh, cazzo. Certo che è lui. Quel fottuto bastardo. Lo faccio a pezzi, lo faccio a pezzi. Cazzo. Lo faccio a pezzi". Ballmer, ovviamente,non conferma la ricostruzione. Il succo, però, resta quello.

L'ultimo acquisto di Google, You Tube, è stato il colpo più importante fatto da Google in tutta la sua storia. Ma anche il più costoso. You Tube è il più importante contenitore di video on line. Funziona così: chi vuole fa un video, lo scarica sul computer, lo invia a You Tube e You Tube lo mette in rete. Semplice. Google aveva già provato a lanciare un suo servizio di produzione e distribuzione video ed era diventata la terza azienda sulla rete anche in questo settore. Aveva il dieci per cento. Lo stesso aveva fatto Bill Gates, con Microsoft, e Rupert Murdoch (attraverso My Space). Ma a Schmidt non bastava. You Tube in 19 mesi aveva raggiunto risultati incredibili: 100 milioni di visite al giorno, il 45 per cento del traffico di video complessivo. E ora, subito dopo essere stata acquistata da Google, You Yube ha firmato un accordo per la diffusione e la vendita di musica con Universal e Bmg (che sono due tra le più importanti case discografiche del mondo). Con questo nuovo business, per i prossimi anni, sono previsti 400 milioni di dollari di fatturato, che finiranno proprio nelle tasche di Google.

Per capire il tipo di impatto che You Tube ha negli Stati Uniti è sufficiente riportare un esempio. Il testimonial per la prossima campagna delle Nazioni Unite si chiama Lee Rose. E' un'attrice neozelandese diventata famosa in tutto il mondo con un video in cui faceva finta di essere rinchiusa in casa, seduta sul suo letto davanti a una webcam. Con la webcam, Lee Rose registrava dei filmati in cui faceva finta di raccontare la sua vita. I video venivano messi su You Tube. Pochi giorni fa si scopre che Lee Rose era, appunto, un'attrice e che aveva utilizzato You Tube soltanto per promuovere un nuovo format per un programma televisivo. Ma su You Tube ormai milioni di utenti l'avevano già vista. Tra questi anche qualcuno dell'Onu.

La scelta di acquistare You Tube rientra in una doppia strategia. Eric Schmidt non fa proprio nulla per nascondere il suo interesse per la televisione. Quindi, anche per il video. Perché se è vero che il futuro di Google è nella tv, il futuro della televisione sarà certamente su Internet, non sulla vecchia tv. Ed è per questo che il re della tv, Murdoch, ha investito sulla rete (con My Space). E' per questo che Google prima ha firmato un contratto con la nuova televisione realizzata dall'ex vicepresidente degli Stati Uniti Al Gore (la Current tv) e poi ha acquistato anche You Tube. Ed è per la stessa ragione che anche Apple, ora, punta sulla tv. Grazie a Steve Jobs (amministratore delegato di Apple), ma soprattutto grazie ancora a Eric Schmidt, che dallo scorso 28 settembre è entrato a far parte del consiglio di amministrazione di Apple; dove ha trovato, come membro del comitato direttivo, proprio Al Gore (consulente, tra l'altro, anche di Google). Da quando Schmidt è arrivato, Apple ha iniziato a puntare proprio sulla televisione on line (la iTv). Con un suo nuovo programma presentato la prima settimana di settembre, Apple dovrebbe
iniziare a distribuire video e musica e vendere film su un piccolo dispositivo
portatile.

Ma Eric Schmidt non è soltanto un grande manager. Schmidt, a differenza di Bill Gates, è anche un'incredibile pedina nella politica americana. Per due ragioni. Primo: per le amicizie con i politici (democratici) americani e per il controllo delle notizie che Schmidt esercita con la rete. Con Google (attraverso un programma che si chiama Google News in grado di selezionare in tempo reale le notizie considerate più importanti e più attuali) e ora anche con You Tube. Nel 2004, con Google, Schmidt aveva versato il 98 per cento dei finanziamenti elettorali (circa 200 mila dollari)ai compagni democratici, raggiungendo il massimo delle donazioni possibili sia per John Kerry sia per Howard Dean. Quattro anni prima, insieme a sua moglie – anche lei grande finanziatrice dei democratici – aveva organizzato una delle
più importanti serate di raccolta fondi per Al Gore. Proprio nella casa dei coniugi Schmidt. Raccolsero diecimila dollari a persona, era il 2000. Ora Google è una delle cinque aziende che sono finanziate dal "Blue fund", un fondo azionario che investe soltanto ed esclusivamente in aziende i cui manager siano grandi finanziatori dei "Blues", dei democratici americani. Quindi Google, Starbucks, Gab, Costco e naturalmente anche Apple.


Ma la politica di Schmidt non si articola solo con i finanziamenti. Google fa politica anche con Google. E con la censura. Nel giro di pochi mesi tra le pagine
di Google sono stati cancellati alcuni siti conservatori (come New Media Journal,
Mich News, PHX News, Jawa Report), sono stati censurati molti blog antislamici, sono stati rifiutati annunci a pagamento per la sponsorizzazione di libri o saggi anti Clinton e non sono state accettate inserzioni (a pagamento, anche queste) di un sito conservatore (Right-March.com), critico nei confronti della democratica californiana Nancy Pelosi. Non solo. Schmidt ha recentemente versato un milione di dollari per finanziare il sito di estrema sinistra MoveOn.org.
Ed è anche per questo che Amnesty International ha già accusato Google di "complicità con le nazioni che vogliono impedire ai propri cittadini l'accesso alle informazioni on line". La ragione è molto semplice. Google gioca con due
parole inglesi con cui sta cercando sempre più di controllare cosa sia giusto far
apparire sulla rete e cosa invece no: gioca con le "hate speech". Hate speech significa discorsi di odio, parole non giuste, forme di espressione sbagliate che
da sole possono giustificare l'eliminazione delle pagine (e dei siti sgraditi) da
Google. Se una notizia o una pagina non si trova significa che non esiste. Ma l'oggettività degli hate speech, in realtà, non c'è. E' un'oggettività analizzata con una lente di ingrandimento che ha la forma della D dei democratici.

Schmidt, essendo anche il più anziano del triumvirato di Google, gioca molto con l'equivoco della soggettività oggettiva. Poche settimane fa, siamo ai primi di ottobre, Schmidt è stato ospite della convention dei conservatori inglesi.
Era a Londra, ha incontrato anche Tony Blair. Schmidt diceva così: "Uno dei miei messaggi ai politici è di pensare di avere ognuno dei propri elettori costantemente on line, che avviano un controllo vero o falso. Noi a Google potremmo essere in grado di offrire un'opportunità per averla a portata di mano". Tradotto: Internet è uno strumento pervasivo, passivo; ci sono tante informazioni, ce ne sono tante sbagliate e tante non giuste. La società cambia, noi cambiamo assieme alla società. Voi non potete seguirci a questi ritmi e quindi, tranquilli, ci pensiamo noi. Ve le diamo noi le informazioni giuste.

Ma la verità di Google è una verità viziata. Chi si collega sa (o almeno inconsciamente pensa) che Internet è democratico e quindi crede che ciò che si trova
su Google non abbia filtri. Non è così. E lo stesso discorso vale per You Tube, che da alcuni mesi ha iniziato a calibrare la sua censura su alcune precise tipologie di video politici. L'episodio più grave arriva il 4 ottobre. La giornalista onservatrice
Michelle Malkin aveva girato un video chiamato: "First, they came" ispirato ai cartoni animati su Maometto. Lo mette su You Tube. Nel video la giornalista mostra anche alcune vittime del fondamentalismo islamico. Alle 2.27 del 28 ottobre, la Malkin riceve una e-mail. E' il servizio di You tube. Il video è stato bloccato, a causa "contenuti inappropriati", come si legge nel testo della email ricevuta dalla giornalista.
La stessa cosa succede con un altro video ("It is in the Koran"), mentre un altro
caso di censura politica è stato registrato su un filmato (del regista David
Zucker) che prendeva in giro Bill Clinton per il modo in cui l'ex presidente degli
Stati Uniti non fece granché per fermare l'armamento atomico nordcoreano.
L'ultimo caso di censura è, però, del giorno successivo all'acquisto di Google.
E' il 12 ottobre. Su You Tube viene messo un video in cui Harry Reid, democratico del Nevada, prendeva per il collo un reporter dell'Associated Press. Il video, anche questo, è stato censurato.

Ma per capire cosa è davvero l'influenza di Internet (e di Google) nella diffusione delle informazioni, è sufficiente dare un'occhiata a qualche dato: Internet, soprattutto per gli under 26, negli Stati Uniti è la seconda via d'accesso a ogni tipo di news. Rispetto alle ultime elezioni di mid-term (quelle del 2002), gli americani che oggi si informano quotidianamente su Internet sono diventati 26 milioni. Il doppio rispetto a quattro anni fa. Cioè, quasi un quinto di
tutti gli americani che si collegano ogni giorno sulla rete. La metà di queste ricerche viene fatta su Google. Le grandi aziende se ne sono accorte. Internet stavolta non è più una bolla. Tira, ma non si sgonfia. Il risultato è che dei 283 miliardi di dollari investiti in pubblicità ogni anno, 29 miliardi finiscono su Internet e quasi 300 milioni arrivano nelle tasche di Eric Schmidt.

Il dipendente numero uno di Google si chiamava Craig Silverstein. Nel 1999 (sono passati soltanto sette anni), subito dopo la creazione del più importante motore di ricerca del mondo, diceva così: "Vorrei vedere i motori di ricerca diventare come i computer di Star Trek. Tu parli con loro e loro capiscono quello che vuoi".

Tutte le manovre realizzate da Schmidt sono in linea sia con queste parole sia con quelle di un documentario (da molti considerato profetico) girato da Robin Sloan e Matt Thompson qualche mese fa. Il documentario si chiama Epic e spiega in che modo, nel giro di otto anni, i giornali e le televisioni verranno sostituiti da una struttura informativa dal nome "Googlezon", frutto di un'ipotetica fusione tra Google e il più importante sito di vendite on line di libri: Amazon.
Google – spiegano i due studiosi – in questo modo sarà insieme giornale, televisione
e anche editore. Scoprirà quali sono gli interessi e le abitudini di consumo dei suoi utenti semplicemente grazie alle informazioni personali disseminate sulla rete. Studiando le biografie dei consumatori, esattamente come Page e Brin hanno studiato, cinque anni fa, la biografia di Schmidt, senza che nessuno gliel'avesse mai fornita direttamente.

Ma il successo di Eric Schmidt (attualmente centoventinovesimo uomo più ricco del mondo) è stato anche il primo vero successo in ambito informatico di una delle università più importanti degli Stati Uniti, Berkeley. Schmidt si è laureato qui, ma la maggior parte degli ingegneri delle più importanti aziende informatiche americane
si è laureata a Stanford. Ed è per questo che uno studente laureato a Stanford spesso arriva a ricoprire incarichi molto più importanti rispetto ai laureati di Berkeley. Almeno per quanto riguarda l'ambito informatico. Fino a sei anni fa tra le aule delle due università girava questa battuta: se un alunno di Berkeley si rivolge a un collega di Stanford non lo chiama "collega", lo chiama "capo". Ora, però, uno
dei capi più importanti del mondo è a Google e si chiama Eric Schmidt. A Berkeley non gli pare vero. E proprio per questo sta provando a far di tutto per valorizzare l'azienda in mano al primo studente di Berkeley che non deve chiamare capo uno studente di Stanford. E infatti, pochi giorni fa, per la prima volta un'importante università americana ha deciso di mettere in rete i contenuti video delle proprie lezioni su Google: Berkeley, naturalmente.

Ma c'è un altro dato da segnalare. Google sta collezionando una quantità incredibile di dati e di informazioni personali. Nei primi mesi del 2006 Schmidt ha fatto spendere alla sua azienda 345 milioni di dollari per ampliare proprio la capacità di archiviare informazioni. Schmidt lo aveva detto circa un anno fa: "Non sappiamo più dove mettere i dati". Perché tutti questi dati? La risposta è semplice: basti pensare, più che a quello che si può fare con Google, a quello che con Google non si può fare. Praticamente nulla. Mancavano i video e li hanno comprati. Mancava il mercato di vendita di prodotti on line e Schmidt si è accordato con eBay.

E proprio con eBay e quindi con Skype (che fa parte di eBay), Schmidt punta a conquistare un altro settore. Skype è il più importante servizio di telefonia
on line (il Voip). Con Skype, Schmidt potrebbe portare avanti un progetto incredibile. Partendo da San Francisco, Google, è arrivata a ricoprire Philadelphia e Chicago con una rete metropolitana di wi-fi molto lunga. Il wi-fi è un tipo di connessione che permette ai computer di collegarsi a Internet senza fili. Il progetto Schmidt lo ha portato avanti assieme a uno dei più importanti fornitori di collegamenti Internet americani, Earthlink. Google e Skype ci hanno già investito 21,7 milioni di dollari. L'obiettivo è creare un milione di punti di accesso wi-fi entro il 2010. In tutto il mondo. Questo che cosa significa? Significa che tra pochi anni potremmo avere un computer-iPod con funzioni da telefonino (costruito da Apple) che riceve le trasmissioni fatte su You Tube, che si collega alla rete attraverso una connessione fornita da Google, che per chiamare utilizza la tecnologia della telefonia del Voip (quindi di Skype) e che riceve notizie in tempo reale con il servizio di news del più grande motore di ricerca al mondo: Google. Notizie filtrate, censurate e spesso anche deviate. Come? Basta un ultimo esempio. Provate a scrivere su Google la parola "failure", fallimento. Primo risultato? Il sito della
Casa Bianca, con George W. Bush. Secondo esempio. Provate a scrivere (con la modalità di "mi sento fortunato"), la parola "fallimento" in italiano. E poi la
parola "basso di statura". Sempre su Google. Il risultato è lo stesso: il sito del presidente del Consiglio italiano, fino a sei mesi fa di proprietà di Silvio Berlusconi ma che ora, purtroppo per Google, è diventato proprio quello di Romano Prodi.
Claudio Cerasa
30/10/06

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