giovedì 15 novembre 2007

Il Foglio. Cinquemila tifosi e un funerale. C’erano quasi tutte le curve d’Italia ieri a Roma per l’addio a Gabriele Sandri.Con un chiaro linguaggio,

C’erano quasi tutte le curve d’Italia ieri a Roma per l’addio a Gabriele Sandri. Senza sirene né disordini, con i poliziotti in borghese, ma con un chiaro linguaggio, un’enigmatica pax e una nuova cultura ultras

Roma. Dentro. La voce della mamma, il fiore della polizia, la corona del sindaco, le lacrime della Lazio, gli occhi di Francesco Totti, la voce di Di Pietro, l’abbraccio del sindaco, lo sguardo del prefetto, la telecamera del tifoso, il microfono del fratello, le note della Nannini, le parole del parroco (“cosa avesse fatto per non vivere ancora non si è capito”) e poi le sciarpe bianco e azzurre, giallo e rosse, nero e azzurre, rosso e nere poggiate qui, sopra la bara del ventottenne Gabriele Sandri, il dj romano tifoso della Lazio ucciso domenica mattina in un autogrill, a pochi chilometri da Arezzo, con un proiettile partito dalla pistola di un poliziotto. Dentro, Gabriele. Fuori, invece, la piazza, la divisa, lo striscione, le scarpe New Balance, il bomberino nero, i jeans stretti alla caviglia, il cappellino con l’aquila biancoceleste, i fischi a chi oggi urla contro la polizia e poi la veglia, gli sguardi, il tifo, gli applausi, le bandiere, le bandane, i cori, i colori, il saluto romano e una strada con la sua cultura che batte le mani come mai aveva fatto prima; e non (solo) per ricordare il colore della maglia di un tifoso ma perché, in quell’autogrill, in quella macchina, in quella strada e in quella trasferta al posto di Gabriele Sandri ci sarebbe potuta essere una qualsiasi delle cinquemila persone arrivate ieri nella piazza di fronte alla chiesa San Pio X, a Roma, a Monte Mario, in zona Balduina. E non c’è stato nessuno scontro, nessuna sirena, nessuna macchina della polizia, ieri: solo un centinaio di agenti in borghese, qualche telecamera nascosta tra le finestre, i tifosi della Lazio arrivati prestissimo, un paio di ragazzi con minacciosi caschi da sommossa schierati dietro l’angolo e poi via via tutti gli altri, tutte le altre tifoserie che l’ultima volta che si erano incontrate così, tutte quante, lo avevano fatto nel 1995; quando un tifoso del Milan ne aveva accoltellato uno del Genoa (“Spagna”) e quando, dopo quel pomeriggio, gli ultras si erano segretamente incontrati e avevano firmato, tra loro, una breve ma osservata pax.
Solo che ieri è successo qualcos’altro, perché la cultura della strada, la cultura – a volte un po’ catacombale – dell’ultras la si capisce, in certi casi, anche quando parla sottovoce. Ecco, non era mai successo che ci fossero qui, in pubblico e in piazza tutti insieme, i tifosi del Genoa, della Fiorentina, del Torino, della Reggina, del Cagliari, del Bologna, dell’Avellino, del Catanzaro, del Catania e naturalmente della Roma; non era mai successo che così, davanti a tutti, interisti e milanisti arrivassero simbolicamente a Roma con gli stessi treni; non era mai successo che i tifosi di Bergamo – dell’Atalanta – dopo aver fatto interrompere domenica una gara di campionato, per rispetto verso la storica tifoseria nemica della Lazio, arrivassero solidali a Roma, insieme con i tifosi della Ternana e della Fiorentina. Ma soprattutto non era mai successo che di fronte a tutte le altre tifoserie nemiche a Roma si presentassero con le sciarpe azzurre quei tifosi a cui le forze dell’ordine hanno recentemente proibito l’ingresso negli stadi di Roma e di Palermo e che invece si sono presentati, improvvisamente, ieri mattina dietro piazza della Balduina: mettendo in silenzioso allarme il servizio d’ordine della tifoseria laziale (e il suo uomo forte, detto “Tonno”) arrivando, come da protocollo, in un robusto gruppo da trenta, portando con sé i colori del Napoli, offrendo una corona di fiori al tifoso ucciso e dando il via a un coro che nel linguaggio un po’ da strada e un po’ da ultras è stato ben recepito: “Ga-bri-e-le-u-no-di-no-i”. E non ha nulla a che vedere con quel “codice di violenza locale del posto pieno di lupi dove nessuno può imporci le logiche da lupo”, di cui parlava Francesco Merlo la scorsa settimana su Repubblica. “Questa è una santa alleanza tra ultras, significa zero scontri tra curve, significa meno scontri tra noi, significa alleanze contro le forze dell’ordine. In una parola? Banda contro banda”, diceva ieri chi ben conosce il codice e la cultura ultras, poche ore prima che a Roma i tifosi sfilassero per strada, che il procuratore di Arezzo definisse il comportamento dell’agente omicida “imperdonabile” e che il gip di Roma confermasse l’accusa di terrorismo per due dei fermati dopo gli scontri di domenica a Roma. “Terrorismo”, ripetevano ieri i tifosi in quella piazza a forma di curva, abituati a essere l’uomo in più, il dodicesimo in campo, e raccolti ora per il loro uomo in meno e per la loro possibile nuova pax. E sia pace davvero.
Claudio Cerasa
15/11/07

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