martedì 3 aprile 2007

Il Foglio. Ecco perché Telecom potrebbe fare l’interesse nazionale senza dover essere un campione nazionale

Prima di tutto l’interesse nazionale. Quando due grandi aziende americane (come AT&T e American Movil) propongono di comprare il sessantasei per cento di una holding (Olimpia, che ha in pancia il diciotto per cento di Telecom) a un prezzo per di più superiore a quello fornito dalle quotazioni di Borsa (gli americani offrono 2.82 euro per azione, le quotazioni di Borsa sono di 2.13), quello che importa considerare – spiega il commissario Antitrust e già commissario dell’Agcom, Antonio Pilati – è la salvaguardia dei piani di investimento di un’azienda. E, in questo caso, l’interesse nazionale non ha nulla a che vedere con parole come “campioni nazionali”, “compagnie di bandiera” e “controllo italiano”. Spiega al Foglio Pilati che “dal millenovecentonovantasette a oggi la storia è sempre la stessa. Dalla privatizzazione Telecom, le liberalizzazioni e le privatizzazioni si sono intrecciate, incrociate e susseguite. Ma se, da una parte, è innegabile che anche grazie al ruolo delle autorità indipendenti, molti monopoli sono stati rotti, se è vero che il mercato si è arricchito di nuovi importanti operatori, se è vero che i servizi sono aumentati e che, in certi casi, i prezzi degli stessi servizi sono anche migliorati, non c’è dubbio che ancora oggi quando si parla di acquisizioni dall’estero ci sia ancora molta diffidenza e ci sia ancora molta difficoltà a cogliere le vere opportunità offerte dal mercato”.

Slim, Internet e i rapporti con l’America
Pilati continua quindi il suo ragionamento: “Nel caso delle telecomunicazioni, dove i progressi tecnologici incalzano e dove si richiedono ingenti investimenti per mantenere le reti competitive, ciò che conta davvero è avere aziende in grado di rischiare, aziende in grado di investire e aziende in grado di crescere. A differenza delle grandi società di telecomunicazioni degli altri paesi, società che il più delle voltet hanno debiti derivanti da acquisizioni strapagate o da scelte industriali sbagliate, Telecom è frenata dal debito collocato nella sua società di controllo e derivante da quel prezzo di acquisto del duemilauno evidentemente troppo alto”. Pilati è poi convinto che se uno tra i primi operatori americani e uno degli operatori latinoamericani più potenti del mondo sono disposti a investire in un’azienda strategica come Telecom, non ci si dovrebbe né preoccupare (sono parole di Gentiloni) né sconcertare (sono parole di Bersani). “At & T – continua Pilati – è la seconda azienda di telecomunicazioni del mondo e ha una capitalizzazione di circa centotrenta miliardi di dollari. E’ dunque un’azienda che può fare grandi investimenti, che può finanziare una nuova generazione di reti in Italia, cioè la Next Generation Network, e che può dare svilppo alla televisione in protocollo Internet. E per questo è molto difficile pensare che At & T e l’America Movil di Carlos Slim possano arrivare in Italia per fare un’operazione mordi e fuggi”. Una tipologia di investitore che, fa capire Pilati, se dovesse arrivare in un’asta come quella di Alitalia sarebbe più che auspicabile. Pilati è poi convinto che “chiunque avrebbe voglia di trovarsi in un’economia tale in cui si sia nelle condizioni di comprare piuttosto che essere comprati e in cui il cervello di una grande azienda rimanga in Italia. Ma per potersi trovare in una situazione del genere, l’Italia dovrebbe avere un sistema industriale molto più forte di quello che ha attualmente. E non dimentichiamo, poi, che un campione nazionale nelle telecomunicazoni può fare l’interesse del paese senza dover essere per forza una grande azienda di bandiera”. E chissà poi che con l’intervento nel mercato italiano di aziende americane di questo calibro (come At & T con Telecom e come Texas Pacific Group in Alitalia) possano in prospettiva anche migliorare i rapporti tra il governo italiano e quello americano. “Ad occhio – dice Pilati – potrebbe essere proprio così”.
Claudio Cerasa
4/04/07

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