Ricapitoliamo. Prima le fusioni bancarie (e quindi Intesa e San Paolo), i paletti su Alitalia, gli interventi su Autostrade (e Abertis), e poi le operazioni Telecom con Murdoch (bocciate), quelle con Telefonica (non gradite), il fax di Rovati, il Fondo F2i e ora, ancora una volta, Telecom, gli stranieri e la sovranità nazionale. Il presidente della commissione Attività produttive della Camera, Daniele Capezzone, dice di essere sconcertato e confuso per “le incredibili reazioni degli ultimi due giorni su Telecom, At&t e American Movil”. Dice che se le stesse cose fossero state dette dal governo Berlusconi “avremmo avuto in piazza cinque milioni di manifestanti infuriati” e ricorda che per molto meno “ai tempi dei capitani coraggiosi e ai tempi di Massimo D’Alema a Palazzo Chigi si parlava di merchant bank”. In sintesi. Capezzone dice che “il governo sbaglia” e dice che, proprio per questo, lui è molto preoccupato. E soprattutto, ciò che lo preoccupa è “la deriva dirigista e interventista dei ministri che intervengono a tamburi battenti su Telecom senza capire che in momenti come questi in Italia servirebbe soltanto una cosa: tenere giù le mani dal mercato”. Dice al Foglio Capezzone che “le tesi dei miei colleghi sono piuttosto strane. Si parla di sovranità nazionale, di sconcerto, di italianità, di vere regole di mercato, di Unione preoccupata. Ma tutto ciò è fuori da ogni logica; come se tutti i problemi che Telecom ha avuto negli ultimi anni non siano già arrivati con protagonisti italiani. E poi, per favore, spiegatemi. Prima si dice che l’Italia non riesce ad attirare gli investimenti stranieri e poi si dice che Telecom, cioè l’Italia, deve rifiutare quattro miliardi di investimenti stranieri? Ma stiamo scherzando? Vogliamo dirlo o non vogliamo dirlo che quelli che si sconcertano per l’invasione dello straniero sono gli stessi che si eccitano se l’Enel conclude i suoi accordi, da straniera, con Endesa in Spagna. Chiariamo. Un conto è dire che in prospettiva l’operazione più credibile era quella con Telefonica perché Telefonica è una società, diciamo, complementare a Telecom. Un conto, invece, è la tendenza di Palazzo Chigi al neointerventismo in economia. E proprio per questo, anche da destra, è necessario che i politici la smettano di sventolare tutte quelle fastidiose bandierine tricolori. Non vorranno certo dirci che le bandierine sventolate oggi sono diverse da quelle sbandierate – e difese – da Fazio ai tempi dei furbetti?”.
Sono le dodici e zerotre quando Capezzone accende il computer, apre le agenzie e scopre che il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Enrico Micheli, “legge sempre, e con molta attenzione, le dichiarazioni del deputato Capezzone”, che Micheli inviterebbe volentieri Capezzone “ad aumentare il ritmo delle sue esternazioni perché ormai non potrei più rinunciarvi” e perché, dice Micheli, “in assenza di notizie e commenti da parte di Capezzone rischierei una vera crisi di astinenza”. Capezzone, prendendo con una mano il telefono, collegandosi con l’altra mano alle agenzie e digitando con l’altra ancora sulla tastiera, dice di essere contento perché vede “che Micheli, dopo tanto silenzio ma anche dopo tante, tante opere, parla”, dice che “la gallina che canta ha fatto l’uovo” e spera, ora, che “Micheli parli sempre di più, e ci racconti tante cose sull’Iri del passato e sulla cultura Iri del presente”. Già, l’Iri. Capezzone riparte: “Qui non c’è da scherzare. Se il centrosinistra fino all’anno scorso rimproverava a Berlusconi di aver imposto alla politica – virgolette – il vizio di un mercato protetto, Prodi ha ora la responsabilità di un altro vizio altrettanto pericoloso e cioè l’intervento dello stato in economia che si traduce in quell’atmosfera irizzante vissuta in Italia negli ultimi dieci mesi e che dà ancora spazio ai tanti nostalgici del piano Rovati e a tutti quegli esponenti politici che sono alla continua ricerca del cavaliere bianco e del campione – o meglio, del campioncino – da inserire in questa e in quella partita. Vorrei ricordare a Prodi come con questi interventi il suo governo non ha certo compiuto atti ostili contro Bazoli e come questo distorto intreccio tra banche e imprese non è necessariamente una buona notizia per il capitalismo. Anzi, non lo è affatto. Per questo non possiamo escludere nulla, dobbiamo tenere gli occhi aperti, portare avanti iniziative come quelle dei volenterosi e poi chissà, non è neanche escluso che non scenderemo in piazza”. Capezzone, poi, ricostruisce “l’incredibile nottata di domenica”. Ricorda che alle ventidue e quarantacinque aveva letto la notizia delle offerte di At&t e America Movil e che dopo quindici minuti, nell’ordine, aveva visto arrivare la replica di Gentiloni e poi Bersani e poi Di Pietro. “Non so in quale altro paese al mondo in soli trenta minuti intervengono tre ministri per stroncare un’offerta appena comunicata e non so in quale altro paese ci sono gli stessi ministri che continuano il festival della stroncatura appoggiando parole come quelle del segretario ds Fassino, che, lunedì, chiedeva al governo – virgolette – di usare i suoi poteri. Forse confondendo l’offerta a Telecom con una conferenza di pace con i Talebani”. Continua Capezzone: “E’ vero che tutti abbiamo apprezzato le parole di Sircana, ma il ritardo con cui il portavoce del governo ha inviato la sua nota ha dato a noi la stessa sensazione che abbiamo avuto leggendo la lettera scritta da Sircana una settimana dopo quelle famose fotografie: troppo tardi, caro Silvio”. Capezzone spiega anche che l’intervento dei volentorosi – insieme con Tabacci e Messa – e l’appello pubblicato già ieri sul Foglio, sono stati utili “per continuare a svolgere una buona marcatura a uomo sul governo e per respingere l’offensiva di Palazzo Chigi al libero mercato”. Ma oltre alla marcatura, all’appello e a non escludere la piazza, Capezzone dice che prima della assemblea Telecom del sedici aprile “un paio di parlamentari – virgolette – liberi e volenterosi di centrosinistra e centrodestra prepareranno una bella sorpresina in Parlamento”.
Claudio Cerasa
4/04/07
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