venerdì 4 luglio 2008

Il Foglio. "Solo chi mette il Lambrusco in lattina può sperare di scalare Bnl"

Il partigiano Walter Sacchetti (papà di Ivano) riuscì a dare all’american dream la forma di falce e martello

Reggio nell’Emilia. Il punto è stato sempre lo stesso e la storia dei due manager che volevano dar vita a una grande banca delle cooperative comincia così: comincia con una provocazione, con un sogno americano e con un piccolo compromesso storico. Comincia prima della fallita scalata alla Banca nazionale del lavoro. Comincia prima del 2005. Comincia prima di Ivano Sacchetti e Giovanni Consorte. Comincia quando a Reggio iniziarono ad arrivare le prime Skoda colorate di rosso, quando i voti per il Partito comunista sfioravano il 70 per cento dei consensi e quando, a poco a poco, i supermercati dell’Emilia si riempivano di persone convinte che acquistare una salsiccia sui banconi di una Coop fosse un modo come un altro per finanziare compagni e soviet della vecchia Russia. Non è possibile comprendere il senso della scalata di tre estati fa senza conoscere la persona che prima di tutti riuscì a scrivere nel codice genetico del movimento cooperativo il grande salto di qualità e che riuscì a mettere insieme, senza alcuna contraddizione, quello che a quei tempi sembrava impossibile far accettare ai vecchi militanti. Soldi e comunismo. Mercato e socialismo. Cooperazione e investimento. Per questo, la storia di Ivano Sacchetti – ex vicepresidente di Unipol, indagato per la scalata su Bnl di tre anni fa – è una storia che non può essere raccontata senza partire da qui. Senza partire dalla persona che diede un senso al rivoluzionario discorso che il segretario del Partito comunista, Palmiro Togliatti, venne a fare quasi cinquant’anni fa proprio a Reggio nell’Emilia. Era il 23 settembre del 1946 e la famiglia di Sacchetti stava per entrare nella storia con un signore di nome Walter. “Compagni. Qui da voi c’è l’occasione storica di dimostrare che il socialismo si può fare pacificamente con un largo fronte democratico in cui le ragioni del lavoro e quelle del capitale possono collaborare per far vedere al blocco reazionario che i comunisti sono capaci di fare star bene il popolo”. E Walter Sacchetti – che fu partigiano, senatore, deputato, amico di Giorgio Napolitano e papà di Ivano – fece così. Riuscì a fare una cosa che in quegli anni non era riuscita a nessun altro. Riuscì a dare all’american dream la forma di una falce e di un martello.
C’è un momento preciso nella storia di questa parte dell’Emilia in cui comunismo e socialismo diventano il “capitalismo fatto da noi” e in cui le cooperative si trasformano in un mondo pronto a entrare davvero nella competizione e nei mercati interni e internazionali. Un mondo pronto, se necessario, anche a conquistare una banca. Tutto però comincia con Walter Sacchetti. Sacchetti era il papà di Ivano e fu lui a consigliare al figlio di entrare in Unipol e di andare a Bologna in via Stalingrado. Sacchetti era il partigiano più famoso dell’Emilia. Lo divenne dopo essersi iscritto al Partito comunista (nel 1928), dopo essere stato prigioniero per sei anni nelle carceri fasciste, dopo essere tornato a Reggio con il nome di battaglia “Spartaco” e dopo essere entrato nella resistenza come ufficiale di collegamento fra le città e le montagne. Era il 1943. Cinque anni dopo Sacchetti diventò onorevole e in seguito senatore. In tutto per tre legislature. Poi entrò nella Cgil, diventò amico di Giuseppe Di Vittorio, fu presidente delle Cantine riunite e segretario delle Camere del lavoro. Da migliorista, militò nel Pci fino al 1989 e fu uno degli uomini di riferimento al nord per la componente napoletana del vecchio Pci di Giorgio Napolitano e Giorgio Amendola (il presidente della Repubblica fu il primo politico che inviò una lettera a Reggio, a casa Sacchetti, quando Walter morì un anno e mezzo fa). Sacchetti fece quello che nessun altro era riuscito a fare. “Portò la rivolussione in America!”, racconta un vecchio amico di Sacchetti. Ci riuscì in due modi, Walter. Ci riuscì ripetendo quelle parole che il figlio Ivano ripeteva spesso prima della scalata alla Bnl del 2005 (“Non si può essere impresa in un territorio se non si dà qualcosa in quel territorio”) e in piccolo, Sacchetti, riuscì a fare quello che cinquant’anni dopo provò a fare il figlio Ivano con le assicurazioni, le banche e i cooperatori. Fu l’esempio perfetto e la dimostrazione ideale di come la dimensione imprenditoriale non poteva che essere legata all’esperienza cooperativa. Sacchetti lo dimostrò e fu una rivoluzione. Tutto cominciò quando da presidente delle Cantine riunite mise il Lambrusco in una lattina, lo portò negli Stati Uniti e lo trasformò nel prodotto coop più esportato in America. (Per chi non avesse mai superato il raccordo anulare, portare il Lambrusco a New York ha lo stesso valore simbolico che potrebbe avere il tentativo di insegnare a un americano a mangiare la porchetta invece che il Big Mac). Sacchetti però fece anche dell’altro. Mise insieme le coop e il basket. Mise insieme cooperatori e calcio. Acquistò la squadra di Reggio di pallacanestro e dopo due stagioni, nel 1984, la portò in serie A. Comprò la squadra di calcio di Reggio – quella fantastica di Ravanelli, di Futre, di Silenzi e di Paganin – e nel 1994 fu la sua Reggiana a portare diecimila tifosi a San Siro e a salvarsi battendo all’ultima giornata il Milan del Cav. E quarant’anni dopo il punto è sempre lo stesso. Soldi e comunismo. Mercato e socialismo. Il papà di Ivano ci riuscì. Riuscì a rimanere dentro il limite del possibile. Il figlio Ivano, invece, scoprì con Unipol e Bnl che più in là, anche se si poteva, forse non si doveva andare. Lo scoprì a Reggio. Lo scoprì quando i compagni cominciarono a dirgli di sentirsi un po’ traditi. Lo scoprì quando i sindacati, anche la Cgil, cominciarono a parlare di “deriva culturale”. Lo scoprì, raccontano a Reggio, quando Sacchetti si accorse che nella sua Emilia i compagni cominciavano a temere che il mondo delle coop fosse diventato simile al mondo immaginario cantato da Francesco Guccini nella “Voce del padrone”. Quel mondo dove in fondo “sol due cose hanno importanza e sono il conto in banca e l’eleganza”. Si dice così per via dei 40 milioni di euro divisi tra Consorte e Sacchetti che meritano una storia a sé. Si dice così anche per via della Lega, che nella città un tempo del Pci è arrivata al 9 per cento. E’ anche per questo che oggi a Reggio, per spiegare l’evoluzione del mondo coop, ci sono due cooperatori che hanno una gran voglia di parlare.
Claudio Cerasa
04/07/08
(2. continua. La prima puntata è stata pubblicata mercoledì 2 luglio)

1 commento:

Unknown ha detto...

ahi ahi, non si scherza con Guccini. "La Voce del padrone" è un album di Battiato, la canzone che citi (Il sociale e l'antisociale) è sì di Guccini, ma è in "Folk Beat N. 1". Ahi ahi, non si scherza con Guccini (ripeto a mo' di epanalessi, figura che, lo dico simpaticamente, sfrutti un po' troppo) ché in Emilia lo conosciamo troppo bene.