lunedì 28 luglio 2008

Il Foglio. "Fototessere rai"

Il veltroniano, il berlusconiano, il dipietrista. Ogni cronista lottizzato fa la cronaca (e pure i nomi) della lottizzazione che verrà. Consiglieri, direttori e redattori. Tutti aspettano la rivoluzione di settembre

La Rai: perché è come uno specchio, perché è come il resto, perché è come il paese e perché a settembre sarà la prima volta per W. e la terza per il Cav. La Rai: perché ci sono i nomi, ci sono i luoghi, ci sono i segnali, ci sono i giorni e perché, finalmente, tra due mesi tutto si saprà. Le nomine, i consiglieri, i direttori e i nuovi dirigenti. La Rai: perché non c’è solo il caso Saccà, non c’è solo il caso Cappon, non c’è solo il caso cda, ma c’è qualcosa di più. La Rai: perché si può dire tutto ciò che si vuole, si può pensare tutto ciò che si crede ma perché, alla fine, vale sempre quello che Orson Welles scriveva qualche anno fa. La odio. La odio come le noccioline. Non riesco a smettere di mangiare noccioline. Era il 1956. Si parlava di tv, sembrava si parlasse di Rai.
Bisogna esserci in questi giorni in Rai. Bisogna entrare dal numero quattordici di Viale Mazzini, bisogna salire al secondo piano del palazzone con cavallo di bronzo e portone di vetro e bisogna parlare con i dirigenti, i consiglieri e i giornalisti per capire il senso di ciò che è accaduto negli ultimi mesi. Per capire cosa è successo, per capire cosa accadrà, per capire chi ci sarà e per capire cosa c’è dietro a tutte quelle parole, dietro tutti quei segnali e dietro a tutti quei titoli. La Rai alla paralisi. La Rai nella bufera. La Rai sotto accusa. La Rai spaccata. Ecco. Non è un periodo come gli altri, in Rai. Perché dopo sei anni, dopo le ultime nomine arrivate nell’autunno del 2002, c’è parecchio che non è cambiato e c’è qualcosa che adesso cambierà. Le direzioni di rete e quelle dei tg. La scelta dei consiglieri e la nomina dei presidenti. Un po’ a me e un po’ a te, e senza che ci sia nulla di male. Ma in questi giorni c’è qualcosa di più. C’è la prima volta del Cav. e W., che per assegnare i posti che gli spetteranno tra Viale Mazzini e Saxa Rubra – che si voglia o no – dovranno ricominciare a dialogare. E ancora. C’è la nomina del presidente della Vigilanza (29 e 31 luglio), c’è la candidatura di Leoluca Orlando, c’è il veto – su Orlando – di una parte della maggioranza, c’è l’ultimo accordo tra dalemiani e veltroniani e c’è l’ultima intesa tra rutelliani e popolari. Poi ci sono i consiglieri che a settembre verranno rinnovati, ci sono i compiti dei redattori che verranno rivoluzionati e ci sono, già oggi, i sintomi che qualcosa si sta muovendo e che qualcuno si sta riposizionando. E ci sono modi precisi per scoprire come vanno le cose, per scoprire come funzionano le mosse, per scoprire quali sono i profili e per scoprire come si fa a capire quando il giornalista che sta di qua prova a fare un passetto per andare di là. Per questo, due mesi dopo le elezioni e due mesi prima del giorno in cui tutto cambierà, abbiamo fatto un giro in Rai e abbiamo parlato con un cronista veltroniano, uno berlusconiano e uno dipietrista.

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Op-po-si-zio-ne du-ra! E sen-za pa-u-ra! Il veltroniano, aridatece er Caimano, è un berlusconiano perfetto solo con i capelli un po’ più a caschetto. Anche in Rai, come al Loft e come nel Pd, il veltroniano vede il dalemiano in ogni dove. Lo riconosce in ogni avverbio, lo inchioda a ogni “onestamente” sfuggito e a ogni “francamente” percepito. Il dalemiano, secondo il dalemiano, esiste solo nella testa dei non dalemiani. Il veltroniano – soprattutto quello della Rai – lo vede invece ovunque ed è una ossessione. Lo vede a mensa, lo vede in diretta e, ultimamente, lo vede anche tra i signori che passeggiano con il Caimano. Il veltroniano, aridatece-er-Caimano, sarà lottizzato per la prima volta a settembre e in questi giorni, in vista dell’evento, si prepara ad affrontare l’incarico di responsabilità; si prepara ad articolare pensieri importanti e già si esercita su concetti fulminanti. “La trasparenza è un elemento di novità e progresso”. “La destra non ci trascinerà nella giungla”. “E’ necessaria un’operazione di crescente legittimazione”. “Bisogna superare il duopolio”. “Bisogna portare la banda larga in tutta Italia”. “Bisogna mettersi tutti attorno a un tavolo per risolvere con determinazione i problemi”. “Non è stato garantito il pluralismo”. “E’ stato violato il rispetto istituzionale”. “La destra si esercita in annunci improvvisati”. “Le contraddizioni interne alla maggioranza ci impediscono di sottoporre un progetto credibile”. E così via. E poi, il veltroniano – che dice che la destra nasconde la verità, che vede nani e ballerine in ogni redazione, che dice che Cappon il suo lavoro lo fa, che dice che Saccà va condannato ma non ha capito bene perché – non vorrebbe essere “vittima della lottizzazione”. Dice che non ha mai parlato con il conduttore Giorgino, dice che non ha mai sbirciato il Grande Fratello e dice che un giorno ha temuto che “Uno due tre stalla” fosse un programma di Rai Uno. Per quanto lo riguarda, inoltre, lui non accetta quella descrizione. Quella classica, quella del veltroniano che in Rai ha il gessatino, la cravatta alla Mourinho, il giornale stropicciato, il capello un po’ schiacciato, gli occhiali alla Sassoli, il sorriso alla Mannoni e lo stile alla Dandini. E ancora, il veltroniano non capisce che cosa c’entri con la Rai Follini, non capisce perché alla Rai non ci va Bettini e, infine, vedendo ancora insieme Tremonti e Letta, Veltroni e Berlusconi, non capisce in che senso da qualche parte ci sarebbe una “nuova stagione”. Il veltroniano, aridatece er Caimano, ha letto – anche se non può dirlo – tutti gli ultimi distensivi libri di Travaglio – “ll bavaglio”, “Regime”, “Mani Sporche”, “Inciucio”, e un’altra dozzina di utilissime sentenze rilegate. Il veltroniano, però, a volte è atipico e a volte è anche un po’ disorientato. Perché il veltroniano è anche l’eterno candidato che diventa eternamente inadeguato. Il veltroniano è anche quello che non è mai stato comunista e che in Rai dice che gli conviene dire di essere un semplice socialista. Il veltroniano è anche quello che dopo la prima caduta del governo Berlusconi ha festeggiato, ma poi c’ha ripensato. Perché sperava che con l’arrivo dei nostri arrivasse la svolta e invece la svolta non è arrivata e lui è finito come sempre e con il suo programma che la sera finisce ancora un po’ prima di mezzanotte. E poi, ancora, è quello che ha intervistato una volta Prodi – e l’ha fatto per primo, l’ha fatto al Tg1 – ed è anche quello che poi, in gran segreto, quando il Prof. ha perso, ha scritto a tutti i colleghi un famoso messaggino con tre paroline e tre punti esclamativi. Libertà! Libertà! Libertà! Ma il giornalista veltroniano, in alcuni casi clamorosi, può essere ancora più atipico. Perché – e in Rai ce ne sono in molti – è anche quello che era veltroniano ancora prima che arrivasse il veltronismo e che quindi, ora che è deluso per non dire rassegnato, ci ha messo un attimo a diventare dalemiano. Poi c’è quello non atipico, quello che la W. la sente fino al midollo, quello che dice di non essere sfiduciato, quello che dice che aspetterà ancora il suo turno, quello che dice di essere motivato, quello che dice di pensare a una tv senza tessere, a una Rai liquida, a una televisione leggera. E’ lui quello che ti parla solo di piani industriali, è lui che ti descrive scenari fatti di infinite reti digitali. Il veltroniano perfetto – che ha i capelli bianchi e il taglio un po’ a caschetto – considera la Rai un “grande strumento a sostegno della modernizzazione”. Dice di non aver mai scritto una fiction, dice di non essere riuscito ad aggiornare il suo blog, dice che sulla Repubblica vorrebbe leggere Fortebraccio, dice che non ha capito se le elezioni le hanno vinte gli altri o siamo noi quelli a cui hanno fatto il culo. Dice che non ha capito in che senso ci servono cinque milioni di firme, non dice mai di aver scritto più libri di quanti ne ha letti e poi dice di non aver capito da che parte sta Giorgino. Dice che vorrebbe essere valorizzato – e non, dunque, lottizzato – dice che alla Rai servirebbe una riforma, dice che il cda andrebbe cambiato, dice che il consiglio andrebbe azzerato, dice che qui ci vuole un nuovo presidente, dice che qui ci vuole una nuova vigilanza epperò – per quanto sia necessaria una opposizione dura! E senza paura – non ha ancora capito in che senso Orlando c’entrerebbe con i valori.

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Il redattore-ebbasta co’ sta storia del Caimano è silenzioso, è prudente, è misurato e ha letto la maggior parte dei libri che lui stesso risulta aver firmato. Non ama la lottizzazione e non la chiama mai per nome. Ti dice che in Rai il problema non è mai politico ma che, piuttosto, si tratta solo di una questione “industriale”. Vede comunisti in ogni dove e li vede alla Rai, all’Usigrai, alle mense e in redazione. Dovunque, tranne che tra i colleghi del Pd. Il redattore-ebbasta co’ sta storia del Caimano, riconosce il veltroniano nei corridoi perché è quello che cammina con la mazzetta, è quello che passeggia con i giornali stropicciati, è quello che lo senti parlare a mensa di “supremazie antropologiche”, è quello che ogni tanto ti confessa che Veltroni si incazza con Riotta – ché il leader del Pd non sopporta un audio senza volto o un servizio con una singola foto. Il cronista che non ha paura di essere considerato berlusconiano è quello smaliziato che ti racconta tutto quello che succedeva nei giorni prima e quello che succedeva nei giorni dopo. Tra un’elezione nazionale e un ballottaggio locale. E’ quello che ricorda, a pochi giorni dalle elezioni, le lunghe file di fronte agli uffici del direttore e di fronte alle stanze del caporedattore. E’ quello che ricorda tutti quei colleghi di fede contraria che improvvisamente provarono a far di tutto per passare di qua. E i passaggi di fede, per non dire di proprietà, si vedono quando sei in fila dal direttore. Si vedono nelle mense fuori dalla redazione. Si vedono la mattina prima e dopo una trasmissione. Si vedono con il cronista conduttore che in tempi prossimi alla lottizzazione sta molto attento alle parole e parla poco di nuova stagione – preferisce chiamarla semplicemente “una nuova situazione” – e ti confessa che lui non aveva dubbi, che Napoli non è mai stata così bella e che oggi serviva proprio un gran comunicatore.
“Io so’ sempre stato dei vostri, diretto’!”.
Il cronista, ebbasta co’ sta storia del Caimano, è anche quello che negli anni ha imparato a conoscere il profilo del candidato che già da oggi, in Rai, è sostanzialmente un mezzo trombato. Lo riconosce subito. E’ quello che parla e poi non piglia. E’ quello che promette e non mantiene. E’ quello che ti si avvicina e ti dice “Dotto’! Mo’ tocca a me!”, e che in tempi di spoils system ci mette poco a non demonizzare il gran lottizzatore e ci mette poco a dire che, Lui, è sempre stato in fondo un gran comunicatore. “Il Parlamento – ti spiega – non mi spaventa che sia azionista di riferimento della televisione pubblica”. Evviva! Evviva la lottizzazione! E poi, il berlusconiano – che crede ancora nella cordata, che non ha mai amato Moretti, che non ha mai letto un’intercettazione, che non ha mai sbirciato su Dagospia e che l’ha sempre detto che quel Brunetta lì… – ti spiega esattamente come funziona il processo dell’allontanamento. O meglio. Del riposizionamento. Ti dice che c’è un esempio e ti dice che è un esempio biondino, che ha il cognome che sembra un diminutivo e che ieri stava con noi e che oggi sta invece un po’ più al centro. E il passaggio si formalizza con una dichiarazione. Magari con un’allusione. Certe volte basta una specifica posizione. Perché basta arrivare alla mensa e sedersi in un altro tavolino. Basta cominciare a bere il caffè dove sai che i compagni non ti starebbero vicino (un esempio, in Viale Mazzini, è il bar e quelle mattonelle vicino al balconcino). E spesso basta scegliere di fumare una sigaretta accendendola non nel cortile – che è più democrat che Cav. – ma di fronte a quell’ingresso con il cavallino. Di là ci sono i compagni, di qua invece no. Ma il cronista – ebbasta co’ sta storia der Caimano! – ragiona ormai solo con logica bipolare. Vede solo maggioranza e opposizione, vede solo Pd e Pdl e, prima delle elezioni e prima dei consigli di amministrazione, sa che ci sarà sempre un politico che ti chiamerà perché nei servizi vuole che il suo audio sia accompagnato dal video, vuole che nel pastone la sua voce sia prima di un altro e chiede – se proprio deve essere rispettata la par condicio – di scegliere le voci più incazzose tra quelle dell’opposizione.
“E ricorda: quelli che litigano devono essere sempre gli altri!”. Inoltre, il cronista che non ha paura di essere chiamato berlusconiano e che a pranzo preferisce accontentarsi di una semplice coppa di gelato, si chiede come mai i comunisti sono rimasti solo in Rai e come mai solo in Rai ci sono ancora giornalisti che possono fare campagna elettorale, che possono andare in piazza, che possono presentare il proprio candidato premier e che possono considerarsi imparziali anche quando, con il microfono in mano, un giorno – davanti al pubblico – dicono “signori qui dobbiamo disinfestare la piazza che fino a ieri c’è stato il nano!”. Mentre poi, zitti zitti, il giorno dopo si mettono in fila dal direttore e dal caporedattore. “Io so’ sempre stato dei vostri, diretto’!”.

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Il tintinnante condottiero dei valori, in Rai, è un comunista un po’ più accigliato ed è un lottatore che sognava la falce e il martello e che adesso si ritrova invece con una trebbia di governo. Non vuole inciuci e non vuole regimi. Fosse per lui, all’Onu vorrebbe Marco Travaglio, alla Caritas Di Pietro, all’Intelligence Giulietto Chiesa e alla Rai tutti i tre della famiglia Guzzanti. Dice che avrebbe letto volentieri i romanzi di Camilleri ma non ha mai superato la sindrome “deficit da Travaglio”, ché, sommando le ultime opere scritte dal grande giornalista dei valori, il cronista dipietrista si ritrova spesso a leggere più o meno seimila pagine di libri tintinnanti. Epperò quanto è bravo sto’ Camilleri, signo’! Il condottiero dei valori – che ti dice che in fondo lui è la vera anima dell’azienda – è poi anche quello che dice di avere le conoscenze giuste. E’ anche quello che, se serve una carta, sa dove cercare e dove trovarla ed è anche quello che – pur non apprezzando la lottizzazione – a lottizzare dice che ci penserà da sé. E allora evviva la revolución! Evviva il compagno Leolucà!
E se gli chiedi, al compagno dei valori, chi è il più veltroniano dei veltroniani lui ti parla degli occhialetti di Sassoli. E se gli chiedi chi è il più berlusconiano dei berlusconiani lui ti parla della vicedirezione di Maurizio Ciarnò. E se gli chiedi di D’Alema lui ti dice che in Rai il dalemismo è “un dato trasversale”. Un po’ di qua e un po’ di là. E se gli chiedi come finirà lui ti dice che tutto sarà in un inciucio, che non ci sarà alcun candidato dei valori, che alla Vigilanza finirà a schifio e che non ci sono le prove ma i fatti ci sono eccome. Per questo, la presidenza Rai andrà a un veltroniano – al massimo a un rutelliano – e la vigilanza – ahilui! – sarà terreno fertile per un bravo dalemiano. Poi, il dipietrista giornalista dei valori, prende e ti fa la mappa del potere. Ti dice che sono sei anni che in Rai cambia poco o nulla, che a Rai Uno il nome giusto potrebbe essere quello di Minoli e che dipendesse dai berlusconiani – che i condottieri dei valori conoscono meglio dei veltroniani – oggi ci sarebbero due nomi che valgono più degli altri. Quello di Lorenza Lei, una cattolica che piace anche a Casini. Quello di Gianfranco Comanducci, vicedirettore della Divisione uno. Quello di Giuliana Del Bufalo, che non dispiace al ministro Tremonti. E poi, ti spiegano, per il Tg1 ci sono i nomi di Pierluigi Battista e di Maurizio Belpietro. Al Tg2 ancora quello di Mauro Mazza (o al massimo Pasquale D’Alessandro). Al Gr – e forse al tgr – finirà la Lega. Il Tg3 rimarrà rosso, non rimarrà a Paolo Ruffini e forse arriverà Francesco Pinto (direttore del centro Rai di Napoli). Poi, ti spiegano ancora, alla presidenza bisogna stare attenti, perché Stefano Parisi – l’amministratore delegato di Fastweb per il quale Goffredo Bettini e Gianni Letta avrebbero già trovato un accordo – non è un uomo di cui il Cav. si fida del tutto. Perché dipendesse da lui, al posto di Claudio Petruccioli, ci vedrebbe bene il dottor Guido Resca (*1). Poi, il dipietrista – che ha una storia complicata, che è stato comunista, che è stato pidiessino, che ha militato nella Rete e che però ci tiene a dire che non è mai stato dei Ds – ti fa il suo ragionamento. Ti dice che il bipolarismo è la rovina della lottizzazione. Ti dice che al voto utile corrisponde il giornalista utile, che al voto non utile corrisponde il giornalista non indispensabile, che non capisce cosa c’entri Giorgino con Casini e che non capisce lo strano caso del cronista con la targhetta Udc. Che è all’opposizione, che in Sicilia si sente di governo, che nel Lazio è in confusione e che a Bologna, ormai smarrito, crede ancora Follini sia tra i nostri. Ma il condottiero tintinnante dei valori – che sa come andrà a finire, che sa che né il 29 né il 31 verrà eletto nessuno alla Vigilanza – sa che c’è qualche dipietrista che ha pronte le carte giuste, che promette che se Orlando non avrà la Vigilanza all’improvviso, giù in Sicilia, c’è chi è pronto a combinare pasticci, e c’è chi è pronto a dimostrare che – in certi casi – i valori giusti fanno sempre quel rumorino lì. Anche se in fondo si tratta di Rai. E’ proprio come le noccioline. Non riesci a smettere. Tin-tin.
Claudio Cerasa
26/7/08

*1 (In realtà Resca alla fine potrebbe andare non alla presidenza ma alla direzione generale)

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