Reggio nell’Emilia. La tessera e la banca. La coop e il sindacato. Il cooperatore e il partito. Possono servire anche sessant’anni per una telefonata e con Ivano Sacchetti, con Giovanni Consorte, con Unipol, con le coop e con quel vecchio sogno di conquistare una banca è andata proprio così. Bisogna partire da qui per capire il senso di una frase e bisogna partire da qui per capire il senso di una scalata che per Sacchetti aveva un significato diverso rispetto a quello che poteva avere per Consorte. Bisogna partire da un piccolo paese in provincia di Bologna, bisogna partire dai seimila abitanti di Sant’Agata e bisogna poi arrivare un po’ più in là, al di là della ferrovia di Reggio nell’Emilia, in quella strada stretta stretta dove ogni sera Sacchetti tornava a casa prima che il filo del suo mondo si spezzasse a metà. Le coop, il partito, il Pci, i Ds, la Cgil e oggi la Lega.
Il sogno di una grande banca che doveva mettere insieme operai, comunisti, cooperatori e sindacati non nasce nel 2005, quando Consorte e Sacchetti tentarono di conquistare la Banca nazionale del lavoro. Non nasce neppure nel 2004, quando Pierluigi Bersani e Piero Fassino salirono al secondo piano di Palazzo Koch per fare un “giro di orizzonte” e per parlare di banche con l’ex governatore Antonio Fazio. Nasce prima e nasce con tre piccoli maiali in una piazza dell’Emilia. Nasce con l’idea stessa di Unipol. Nasce quando le coop sbocciavano negli scantinati degli operai comunisti. Nasce quando i militanti di partito cominciarono a confondere la tessera di Unipol con quella del Pci; quando anche la Coltivatori diretti aveva una sua delegazione nella Dc; e quando un insulto contro i cooperatori sui muri di Reggio era impossibile, era come leggere un insulto contro la Roma nello spogliatoio di Francesco Totti. Ma nasce, soprattutto, quando il mondo delle cooperative era un mondo che metteva insieme tutto quello che Ivano Sacchetti era riuscito a trasformare in un sogno unico. La sinistra. Il sindacato. L’operaio. L’artigiano. Il partito. La banca. Nasce tutto qui. Quando uno dei maestri di Sacchetti – Cinzio Zambelli, fondatore di Unipol, ex partigiano come il papà di Ivano, Walter – raccontò ai cooperatori quell’idea che avrebbe trasformato un progetto in un tentativo di scalata. Perché l’idea di una banca della cooperazione è un’idea nata nell’estate di sessantatré anni fa, quando a Sant’Agata di Bologna – dove i maialini cominciarono a essere tagliati in piazza per essere distribuiti a “prezzi equi” – nacque la prima coop in grado di assegnare prestiti ai propri soci. Il primo banco di credito. E’ anche per questo che oggi ci possono essere sfumature molto diverse per spiegare il significato di quella frase scappata dalla bocca a Piero Fassino tre anni fa: “Siamo padroni di una banca”. Perché si possono alludere cose più o meno corrette, si possono fare collegamenti più o meno legittimi, si possono intendere cose più o meno querelabili. Ma il sogno di una banca è un sogno che Sacchetti conosceva meglio di Consorte. Perché per lui quello non era un possibile successo personale. Era altro. Era il desiderio di un riscatto. Erano le parole dei padri degli assicuratori che diventavano realtà. Era quello che Cinzio Zambelli aveva spiegato qualche anno prima anche allo stesso Ivano. Perché, come diceva Zambelli, “quella di avere una banca propria è sempre stata tra le aspirazioni più forti dei cooperatori. Si trattava di rendersi autonomi nei confronti di un contesto finanziario e creditizio tutto sommato ostile”. Perché non doveva essere dimenticato “l’antagonismo che ha animato a lungo la cooperazione nei confronti dei ceti di governo e quindi l’ostilità politica contro di essa”. Poi però cosa è successo. E’ successo che oggi non esistono più le feste dell’Unità con gli striscioni verdi e con la U scontornata dell’Unipol sotto i banchetti delle sottoscrizioni. E’ successo che oggi non esiste più quello che Beniamino Andreatta – inventore dell’Ulivo – definì un “reticolo asfissiante di consenso universale”. La tessera e la banca. Il cooperatore e il partito. E’ successo che la tessera del partito e la tessera della coop non sono più lati identici della stessa medaglia. E’ successo, lo dice al Foglio anche il reggiano Pierluigi Castagnetti, che oggi “ogni ragione sociale delle cooperative purtroppo è stata rimossa”. E’ successo, come racconta un ex dirigente coop, “che molto è cambiato e la gente, per fortuna, si è accorta di tutto. Perché non si erano mai visti cooperatori con i segretari personali. Con le macchine con autista. Con i premi di ventimila euro l’anno. Non si erano mai visti presidenti con tripli e doppi e quadrupli incarichi. Perché un tempo le cooperative erano la cinghia di trasmissione del partito. Oggi no. Hanno perso quello che da queste parti si chiama ancora ‘spirito mutualistico’. I cooperatori ora devono fare impresa. Devono ottimizzare. Devono essere competitivi. E invece sono diventati irriconoscibili. Sono un’altra cosa. Non più quelli che ci dicevano: ‘Vi diamo il servizio migliore al minor costo possibile’. E qui c’è qualcuno che ha cominciato ad accorgersene sulla propria pelle. L’Emilia è diventata un’altra cosa. E’ diventata la regione dei democristiani che si sono fatti furbi. La terra rossa è ora la terra dei dossettiani. E’ cambiato tutto. E’ come se si fosse aperta una ferita profonda. Qui un tempo, prima delle elezioni, le cooperative convocavano le assemblee per dare indicazioni di voto. Da due anni, invece, questo non succede più. Ecco. Sacchetti è l’immagine perfetta di tutto questo. E’ l’immagine del cooperatore vero che fa cambiare un mondo che poi gli sfugge di mano. E qui, oggi, si vota un po’ meno a sinistra anche perché la sinistra è un po’ meno rappresentata da quello che significò il mondo coop. Chiedetevi se c’entra qualcosa, tutto questo, con la Lega che ha preso il triplo dei voti rispetto a due anni fa. Chiedetevi perché il presidente della Lega cooperative nomina come vice non più un comunista, ma un bravo leghista. Chiedetevi che cosa significa quando da queste parti scopri che la coop, l’Unipol e il partito sono diventate cose che non ti rappresentano più”.
E’ anche per questo che Sacchetti era quello a sinistra. Era il partito. Era la tessera. Era il sindacato. Era lo specchio e l’evoluzione di quel “consenso universale”. Era quello che parlava con la base, e non con i giornalisti. Era quello che parlava più con Pierluigi Bersani che con Massimo D’Alema. Era quello che stava al mondo di sinistra come il Lambrusco sta a Reggio. Come Vasco sta all’Emilia. Come la Ferrari sta alla Romagna. Poi però è cambiato tutto ed è cambiato tutto anche per colpa di due conti in banca che con quel pezzo dell’Emilia sono in molti a dire che non c’entravano nulla. Il conto numero 046.1039.38 e il conto numero 046.1038.37. La storia dei 40 milioni comincia più o meno così.
(3. continua. La prima puntata è stata pubblicata mercoledì 2 luglio, la seconda venerdì 4 luglio)
Claudio Cerasa
11/07/08
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