martedì 29 aprile 2008

Il Foglio. "Sul palco della sconfitta. Rutelli e Bettini. Così la sinistra ha scoperto di aver perso 100 mila voti nella nuova pancia di Roma"

Roma. Il resto è tutto un dettaglio: Zingaretti che vince negli stessi collegi che Rutelli invece ha perso; la sinistra della capitale che sceglie di togliere lo scettro del potere romano a chi l’aveva custodito negli ultimi quindici anni; il voto utile che nel suo volto locale si trasforma in un boomerang impossibile da evitare; e il Partito democratico che si chiude silenzioso nel suo fortino oggi ancora più assediato di due giorni fa. Il senso della sconfitta di Francesco Rutelli è però tutto lì: è tutto in quell’immagine alla fine del pomeriggio e in quegli occhi che si incrociano sul tappeto blu della sala stampa rutelliana. Francesco Rutelli, il modello Roma, i sette punti di distacco e l’abbraccio che si legge in uno sguardo con gli occhi affaticati di Goffredo Bettini. Tutti sul palco, a Roma stavolta si perde insieme. Rutelli esce frastornato dalle sue stanze alle diciotto e dieci minuti; stringe un paio di mani, ascolta qualche applauso, attraversa in un soffio un lungo cordone fatto di elettori, curiosi e giornalisti; e portando con sé lo staff che nelle ultime settimane aveva provato con lui a preservare l’ultimo serbatoio forte del Partito democratico, eccolo lì, salire sul palco seguito un istante dopo dall’inventore del modello Roma. Arrivano le prime proiezioni, arrivano i primi seggi scrutinati, le poltroncine del comitato sono ancora un po’ vuote ma già dal primo pomeriggio, pochi minuti dopo gli ultimi dati sui voti della provincia, era ormai chiaro che la dolce sconfitta di Rutelli era un po’ meno dolce di come il Partito democratico aveva provato a immaginarla qualche ora prima. L’ex sindaco di Roma fino a ieri aveva cinque punti in più di Alemanno e alle sedici e trenta di ieri ne aveva invece quasi sette in meno. Lo ammette subito, Rutelli; dice che il suo dovere lui comunque l’ha fatto; dice che la sconfitta oggi è più amara che mai; dice di credere ancora nelle energie importanti che il Partito democratico riuscirà a mettere in campo; dice che il Pd a Roma sarà in grado di guardare a poco a poco al proprio futuro e in quel momento, con un po’ di fiatone, con un po’ di ritardo accanto a Rutelli, Paolo Gentiloni, Roberto Giachetti, Renzo Lusetti decide di condividere lo schiaffo elettorale anche l’uomo che più degli altri aveva creduto in Rutelli, Bettini. E così, due settimane dopo essersi stretto accanto al candidato premier Veltroni, l’architetto del modello Roma era lì ad abbracciare il candidato sindaco: sconfitto proprio in quella capitale che per quindici anni aveva indossato l’abito risorgimentale dell’inventore degli ultimi anni di politica romana. Tutti sul palco, oggi più che due settimane fa. Perché nel giorno in cui la pancia elettorale della capitale ha dato a Rutelli sette punti di distacco nell’immagine di questa sconfitta c’è tutto: Veltroni, Bettini, Roma, Prodi, il Pd. Si perde, si va sotto di sette punti, il cuore rosso di Roma finisce nelle mani di Gianni Alemanno, Rutelli perde 97 mila voti rispetto alle elezioni di due settimane fa. Ma se si perde si perde insieme stavolta. E forse aveva ragione Ermete Realacci quando, pronosticando i possibili esiti di una disfatta, diceva, qualche giorno fa, che un’eventuale sconfitta di Rutelli “spargerebbe altro sale sulle ferite, senza cambiare i fondamentali del voto alle politiche”. Fatto sta che la Roma un po’ repubblicana e un po’ risorgimentale si sveglia oggi schiaffeggiata dal voto più popolare e di pancia che Roma abbia mai avuto negli ultimi anni. Certo, Rutelli era amreggiato, non aveva l’animo di citare il preferito di Bettini, Woody Allen (“Sono stato picchiato, ma mi sono difeso bene. A uno di quelli gli ho rotto la mano: mi ci è voluta tutta la faccia, ma ce l’ho fatta”). Ma ora che Roma è rimasta senza il suo modello chissà che l’unico modo per eleborare la sconfitta questa volta sia quello di capire davvero il senso del successo altrui.
(segue dalla prima pagina) E’ vero: a Roma si sorride pure al comitato elettorale: perché i cronisti fanno presto a innamorarsi di un sindaco nuovo e fanno presto a dire che in fondo Alemanno sarà un sindaco migliore perché almeno i portavoce rispondono ogni tanto al telefono. Perché, certo, si sorride e si ironizza sulla sfortunata collocazione del comitato elettorale (tra sede della croce rossa e famosa agenzia di viaggio) e qualcuno sbuffa pensando a chi recentemente aveva profetizzato, da sinistra, una marea nera e una serie di interminabili weekend elettorali per il Pd. Yes, weekend. Ma nelle stanzette del comitato di Rutelli si soffre tantissimo, c’è una ragazza con gli occhi azzurri che piange, un giovane dalemiano che ironizza sugli ottimi risultati ottenuti dal Pd a Nettuno, un piccolo rutelliano convinto che dieci anni fa l’elettore che non si presentava al ballottaggio era di destra e oggi invece è di sinistra. C’è chi è convinto che sarà difficile per W. ripetere a Roma quello che aveva detto due giorni dopo la prima sconfitta della nuova stagione (“Ha pesato il giudizio sul governo”). Nella sconfitta romana basta guardarsi intorno però per capire che c’è un po’ di Prodi, un po’ di Rutelli, un po’ di Veltroni, un po’ di modello Roma. La candidata vice sindaco Patrizia Sentinelli dice che se a Roma la sinistra ha perso il sindaco uscente qualche responsabilità ce l’ha. Nel giorno in cui il modello Roma perde la sua città, per la prima volta la sinistra, più che comprendere le sfumature di una sconfitta, chiede disperatamente tempo per capire le ragioni di una vittoria nemica che arriva dal popolo, dalla pancia della città.
Claudio Cerasa
29/04/08

1 commento:

alpat ha detto...

Non si può governare una città per quindici anni e intrattenersi esclusivamente con le conventicole palazzinare, cultural-musical-teatral-cinematografare e vaticane e fingere che la città vera, quella che suda e lavora e impazzisce nel traffico, tra i rifiuti e i balordi e il mutuo troppo alto e l'affitto troppo rincarato – al centro come a Trastevere come nelle periferie dei palazzoni e in quelle delle borgate – non esista. Funziona una, due, tre, perfino quattro volte. Ma alla fine stanca, non avere un sindaco ma solo un impresario.