mercoledì 9 aprile 2008

Il Foglio. "Veltroni “Bearzot” aspetta Obama e si difende con i WalterPop"

Roma. L’irresistibile nuova stagione che Walter Veltroni aveva disegnato a giugno sul palchetto rosso del Lingotto di Torino rischia di arrivare al prossimo weekend elettorale con un leader costretto a declinare la propria vocazione maggioritaria sulle spalle di una corrente personale più che di un partito tutto suo. Un partito che negli ultimi mesi è sembrato molto silenzioso e un po’ troppo pasticcione e che oggi si ritrova di fatto con pochissimi effettivi pronti a remare insieme con il proprio candidato premier. Risultato? A sei mesi dalle ultime primarie democratiche, sulla scialuppa di W gran parte degli ex diessini oggi si nascondono; e accanto ai veltroniani spiccano sempre di più gli ex popolari (e qualcuno al loft ha cominciato a chiamarli “WalterPop”). Rischio per certi versi calcolato da W, dato che era stato lo stesso Veltroni a circoscrivere il problema al Lingotto di Torino. Era il giugno del 2007: “Non si comincia un nuovo viaggio con un equipaggio dilaniato da vecchi rancori e preoccupato di gettare dalla nave chi a essa si affaccia per la prima volta. Qui bisogna incrociare le storie e aprirsi. Bisogna arrivare a una ‘indistinguibilità’ organizzativa di ciascuno. Per questo, il Partito democratico non sarà mai un partito di ex. Sarà, finalmente, la casa dei democratici”. Solo che a pochi giorni dalle prossime elezioni, in quel Pd paragonato ieri da W alla formidabile Nazionale di calcio che trionfò al Mundial del 1982, gli eredi politici di Rossi, Conti, Tardelli e Zoff, se ci sono, si nascondono benissimo, rilasciano pochissime interviste, evitano con cura le seconde serate e quando parlano mettono spesso il loft davvero in imbarazzo. Non è un mistero, infatti, che le ultime truppe rimaste a custodire il fortino sotto assedio del segretario del Pd – truppe che non hanno i baffi e che non parlano piacentino – sono proprio le stesse che per prime, a giugno, avevano investito sul nome dell’ex sindaco di Roma (il primo a dire: “Se Veltroni si candida, io lo voto” fu Franceschini, il 20 giugno) e sono le stesse che oggi difendono il segretario del Partito democratico. Massimo D’Alema si fa scappare che lo slogan del Pd è un po’ moscietto? Pierluigi Bersani si fa scappare che il Pd deve cambiare passo? Nicola La Torre chiede un congresso dopo il voto? Goffredo Bettini fa un’innocente gaffe spiegando, pubblicamente, che il Pd deve raggiungere il 35 per cento? Bene: a D’Alema allora risponde il vice di W Dario Franceschini; a Bersani risponde l’ex ministro Fioroni (anche se in una delle pause dell’ultima puntata di Ballarò, l’ex ministro ds, per il titolo un po’ forzato nella sua intervista alla Stampa, ha sgridato Federico Geremicca, vicedirettore del quotidiano torinese e autore del programma di Giovanni Floris); e, soprattutto, a Bettini e a La Torre risponde il presidente del Senato Franco Marini, così: “Uno che capisce un po’ di politica, di queste cose non dovrebbe parlare, soprattutto in campagna elettorale”; “Credo sia privo di senso ma molto autolesionista discutere ora della leadership del partito”; “Mi chiedo come sia possibile mettere in discussione la leadership di Veltroni”.
Sarà anche per questo, dunque, che studiando gli ultimi generosi sondaggi arrivati al loft in questi giorni (sondaggi Swg e Ipsos), i veltroniani hanno scoperto che nella corsa elettorale tra Pd e Pdl e tra W e Cav, il Pd registra un deficit piuttosto grave non tanto nel testa a testa tra i due leader quanto nella percezione di scarsa solidità che gli elettori hanno del Partito democratico. Un dato letto con preoccupazione da molti veltroniani, convinti che le prossime elezioni rischiano di trascinare il Pd nella stessa clamorosa crisi post Mundial che ebbe la Nazionale di Bearzot dopo il 1982 (Bearzot però il Mundial lo vinse) e certi, inoltre, che per evitare il commissariamento post elettorale del Loft e per permettere a W una sconfitta quantomeno onorevole, prima del prossimo weekend, oltre che scrivere lettere al Cav., oltre che invitare sul palco di Bologna il sindaco di Parigi Bertrand Delanoë, serve qualcosina in più. Serve almeno un colpo di scena. Per esempio venerdì a Roma, per esempio un messaggio di Barack Obama. W e Franceschini ci stanno lavorando. E a Roma, in video, Obama ci dovrebbe proprio essere.
Claudio Cerasa
10/04/08

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