sabato 24 marzo 2007

Il Foglio. "Ritratto in terra e in volo del viaggiatore low cost"

Easy, Ryan, Wind, Go, My, Wizz, Sterling,
Wing, Blue, Smart, Fly, Air,
Clik, Jet e poi cost ma very very low. Di
qua ci sono gli zaini, i biglietti senza posti
assegnati, gli aerei senza panini, con
il volo gratis (paghi solo le tasse), con gli
aeroporti piccolissimi (cioè quelli secondari),
senza metro, senza trenino,
senza la very vip lounge room, con i taxi
di Orio al Serio, i bagagli di Stansted, i
pullmini di Gatwick e con Ciampino
che diventa (nelle cartine) come se fosse
Roma, con Pisa che diventa Firenze,
Forlì che diventa Bologna, Bergamo
che diventa Milano, Brescia che diventa
Verona, Treviso che diventa Venezia,
Girona che diventa Barcellona, Bilbao
che diventa Santander, Charleoi che diventa
Bruxelles e Parigi Beauvais che
diventa Parigi e basta. Di qua il volo
low, di là il volo normal, con la valigia
rigida, il ventiquattro per cento di voli
in ritardo (quelli della British) e l’undici
per cento delle valigie che partono e
che poi non arrivano (quelle dell’Alitalia).
Di là il volo cost, che non è low, ma
non si può neanche chiamare high e
che a volte è un po’ più slow, cioè più
lento, anche dello stesso low, di qua il
volo che diventa parte dell’esperienza
del viaggio, con gli applausi all’atterraggio,
l’aereo giallo come i pulmini del
dopo scuola, senza acqua, con gli
stewart un po’ incazzati, con i posti davanti
e quelli dietro lasciati liberi perché
così ragazzi bilanciamo l’aereo, i
sedili schiacciati, il corridoio stretto e
con le tratte, ora, prese un po’ di mira
anche dal ministro Bersani che nella
sua ultima lenzuolata ha voluto liberalizzare
anche chi già, in realtà, un po’ liberalizzato
lo era (al punto quattro del
decreto legge del trentuno gennaio si
legge così: “Al fine di favorire la concorrenza
e la trasparenza delle tariffe
aeree, di garantire ai consumatori un
adeguato livello di conoscenza sugli effettivi
costi del servizio, nonché di facilitare
il confronto tra le offerte presenti
sul mercato, sono vietate le offerte e
i messaggi pubblicitari di voli aerei recanti
l’indicazione del prezzo al netto
di spese, tasse e altri oneri aggiuntivi,
ovvero riferite a una singola tratta di
andata e ritorno, a un numero limitato
di titoli di viaggio o a periodi di tempo
delimitati o a modalità di prenotazione,
se non chiaramente indicati nell’offerta”).
Di qua il viaggiatore low, di là
quello che dice che il volo low è in
realtà parecchio cost, perché sai le truffe
che ci saranno, sai che aerei che
avranno, sai che trucchi si inventeranno
e che quindi attenzione alle tariffe,
attenzione ai biglietti senza tasse, attenzione
al bagaglio supplementare, attenzione
alle offerte super scontate, attenzione
ai quattro punto cinquanta euro
del bagaglio a mano, agli otto euro
per ogni chilo in più, attenzione al cambio
prenotazione, alla sovrattassa con
carta di credito, al bagaglio aggiuntivo
nella stiva, alle tasse sui deltaplani, ai
surf e attenzione al windsurf che, effettivamente,
portarlo a bordo costa davvero
un po’ di più. Di qua il forzato del
last minute, il forzato del low cost, l’ex
viaggiatore da Inter-Rail, quello che
viaggia low per risparmiare, quello che
viaggia low solo per “non far arricchire
lo stato” e quello che dice che le bandiere
non ci sono più, non ci sono più
nel calcio e figuriamoci nelle compagnie
aeree. Di qua il viaggiatore low cost,
di là il viaggiatore con la valigia rigida,
quello che non ha mai comprato un
biglietto su Internet e che anche se glielo
regalassero non lo comprerebbe mai,
quello che vuole il posto largo, quello
che vuole sei sacchetti antivomito, la fila
ordinata, la fast lane e la corsia della
business class; quello che ha una
Sim card per ogni paese dove arriva,
che non dimentica mai di aggiornare il
fuso orario e che quando si mette in fila
non vede compagni di volo ma vede
solo pericolosissime persone che potrebbero
superarlo da un momento all’altro.
Perché di là c’è la fila tipo ufficio
postale, quella con il numeretto
scritto in nero, i passeggeri ordinati, a
volte annoiati, spesso in silenzio e quelli
con le stesse facce dei venerdì in cui
si ritirano le pensioni e che quando c’era
lui, altro che numeretti. Di qua la fila
low con i sacchettini e i sacchi a pelo,
di là, invece, il check-in rapidissimo,
con le valigie tutte uguali, tutte in serie
e poi i trolley, i borsoni in pelle di camoscio,
gli sci Rossignol e molte cravatte
rosa. Di qua “next passenger for
‘Orio al Serio’” (che a Ciampino viene
solitamente pronunciato come se fosse
un gioiello pregiato da utilizzare la sera:
cioè un Oro ar sero), di là “next passenger
for London, Heatrow”, “next
passenger for Rome, Fiumicino”, “next
passenger for Milan, Malpensa”. Di là
la valigia che forse arriva o forse no. Di
qua lo zaino che forse arriva o forse no,
e anche se poi non arriva, vuoi mettere,
almeno il volo era low. Di là il volo perfetto
ma non sempre preciso, di qua il
volo con gli zaini e con l’aereo che fa
parte del viaggio, con il viaggio che comincia
con il decollo dell’andata e finisce
con l’atterraggio del ritorno. Di qua
la low cost, di là la non low cost. Di qua
la Ryan Air, cioè la stessa compagnia
che nel millenovecentonovantasei a novantanove
sterline ha collegato per la
prima volta Dublino e Luton/London
(che è un po’ come dire Treviso/Venezia)
mentre di là la stessa tratta costava
ancora duecento sterline (ma in quel
caso la compagnia concorrente poco
prima che iniziasse la prima tratta low
cost in Europa, in un’ora, solo in un’ora
abbassò il suo biglietto a novantacinque
sterline dato “l’improvviso calo dei
prezzi benzina” e “data l’improvvisa riduzione
della sterlina”. Come no). Di là
quelli che nel duemilasei hanno perso
qualcosa come trecentottanta milioni
di euro, quelli che sugli aerei distribuiscono
molti cioccolatini, quelli che regalano
una rivista che si chiama Ulisse
e che ogni mese costa diecimila euro
solo per lo stipendio della direttrice,
quelli che pagano centosessantamila
euro per una pubblicità (quella con l’attrice
Marina Malfatti), quelli che ti fanno
scegliere tra il pasto diabetico, quello
ebraico, quello hindu, quello ipocalorico,
quello ipocolesterolo, quello
iposodico, quello musulmano, quello a
base di pesce, quello senza glutine,
quello senza lattosio, quello vegetariano,
quello asiatico, oppure semplicemente
quello a base di uno “snack” (ma
la mattina sull’aereo, si può scegliere
tutto, si può scegliere un pasto tibetano
o un pasto vietnamita, ma alla fine sempre
lo “snack” arriva). Di qua, invece, i
quindicimila voli in più negli ultimi tre
anni, l’undici virgola tre per cento in
più di tratte interne rispetto al luglio
del duemilatre, il novantadue per cento
di voli in orario e lo zero virgola cinque
per cento di bagagli smarriti. Di
qua la Ryan Air, di là l’Alitalia. Di là il
volo bello, pulito, elegante, con le valigie
perfette, le hostess parecchio fiche,
il pasto hindu e quello ipocalorico; di
qua il volo che da Roma a Londra in un
giorno qualsiasi (ad esempio il ventisette
giugno) costa ventitre euro e venticinque
centesimi, cento euro in meno
del volo standard dell’Alitalia e dieci
euro in meno di un taxi da San Pietro a
Ciampino. Di là gli aerei con i panini,
gli snack, la rivista Ulisse e i sacchetti
antivomito, di qua semplicemente il popolo
del low cost.
E’ il dieci marzo, sono le quattro e
ventisei minuti.

Il forzato del low cost. Pantaloni via
Sannio, pochissime valigie, sacchetto
rosso, molte cerniere, zaino che scoppia,
cappellino appeso alla cinta, felpa Adidas
con cappuccio, scarpe da ginnastica
con suola rinforzata, plantare, iPod, moschettone,
maglietta a righe celesti, a
Londra c’è già stato almeno sei o sette
volte, all’aeroporto di Ciampino arriva
la sera prima, il volo è alle sei e quaranta
minuti, potrebbe prendere il taxi, potrebbe
prendere la navetta, lui dorme
fuori dall’aeroporto, non perché fa più
fico, come dicono gli amici, semplicemente
perché è fico così. Sono le cinque
e trentaquattro, lui in testa ha già gli occhiali
da sole. Il forzato del low cost è il
primo a fare il check-in, poi resta in zona,
studia i suoi compagni di viaggio, li
studia bene e inizia a pensare all’operazione
“posto migliore a sedere”. La fila
si allunga, ci sono davvero molti zaini,
qualche trolley, borse da ginnastica, borsoni
Inter-Rail con cinte, ganci, sacco-a
pelo, asciugamani che un tempo probabilmente
dovevano essere bianchi, borsoni
scuola calcio (sotto le scarpe, sopra
l’accappatoio), qualche maglietta, molte
felpe con il cappuccio. Il forzato del low
cost, del last minute e del last second è
quello che legge molti giornali, quello
che se ci parli ti dice che legge la pagina
delle lettere, ti dice che adora Corrado
Augias, ti dice che adora Sergio Romano,
ti dice che li legge con attenzione
(anche se spesso non li capisce, ma lui li
legge proprio per questo), ti dice che sospetta
siano la stessa persona e ti dice
che durante lo sciopero delle firme di
Repubblica e Corriere è rimasto piuttosto
spiazzato quando ha scoperto che oltre
alle firme, Romano e Augias avevano
tolto anche le proprie foto. Il forzato del
low cost mangia solo low, riceve molte
newsletter, cerca sempre l’offerta, Londra
gratis, Parigi a metà prezzo, last minute
e last second; non sa usare bene Internet
ma compra su eBay, usa il bancoposta,
non ama le carte di credito, guarda
spesso Ballarò. Composizione dello
zainetto: guida Routard Londra anno
2001/2002, appunti, sconti per i locali (a
lui piace chiamarli “flyer”), offerta per
Steak House Piccadilly, ancora scontrini,
buoni pasto, giacca Marlboro Classic,
libri a tema con la città di destinazione:
“Londra. Mappe, storie, labirinti” (in
quota metropolitana), “Come trovare lavoro
a Londra e dintorni” (in quota con
quello che vale qui a Londra la sterlina),
“I segreti di New York” (in quota libro io
in America non c’andrei manco morto),
“I segreti di Parigi” (in quota libro perché
non facciamo anche un salto a Parigi),
“I segreti di Roma” (in quota libro a
Roma fosse per me non ci tornerei più ),
“Inchiesta su Gesù” (in quota viaggio mistico,
ma la religione non c’entra) e poi
“I segreti di Londra” (in quota magari
un giorno mi ricordo di metterci anche i
calzini nello zaino). Il forzato del low cost
ama molto Corrado Augias (i libri sono
quasi tutti suoi), ma in giro preferisce
non raccontarlo a nessuno. Il forzato del
low cost parte con pochi vestiti, molti li
comprerà a Camden Town (la domenica)
e poi a Portobello (il sabato).
Sono le cinque e cinquantadue minuti,
l’operazione posto a sedere comincia
proprio qui. Il forzato del low cost conosce
perfettamente i tempi di ogni aeroporto
low: conosce i tempi del check-in,
i tempi dell’acquisto del giornale, i tempi
dei collegamenti tra aeroporto-navetta-
aereoplano. Lui studia i compagni di
viaggio, sale sulla navetta e già vede in
lontananza l’aereo bianco, quello con la
striscia gialla. L’aereo è quello della
Ryan Air, è proprio lui. Il forzato del low
cost pensa di essere molto bello. Sulla
navetta che porta all’aereo si parla molto.
Lui abbassa lentamente il volume
dell’iPod, abbassa la visiera del cappellino,
mani in tasca, si allaccia le scarpe,
molti sorrisi, il forzato del low cost sa
perfettamente quello che gli altri non
sanno. Prende il biglietto, lo infila nel
passaporto, finge di controllare il suo
posto. Parla un po’ a voce alta, è da solo,
ma vuole farsi ascoltare. “Fila 06. Posto
13”. Si girano due ragazze, lui finge ancora
di ascoltare la musica, il volume è
però ormai molto basso e si avvicina a
poco a poco all’uscita della navetta. Il
forzato del low cost non ha mai capito
perché il pullmino si chiama navetta. La
navetta continua a camminare, è in movimento
da dieci minuti, è molto vicino
al Raccordo Anulare, voci incontrollate
lo danno proprio sul Raccordo Anulare.
Per fortuna non è così. Il pulmino, cioè
la navetta, si ferma e si fermano tutti. Il
forzato capisce che i forzati, in realtà, sono
tantissimi e capisce quindi che per
ogni biglietto c’è una tattica, capisce che
ormai è troppo tardi per le strategie e
capisce che non c’è tempo per fare nulla,
per la navetta, per il cappellino, per i
lacci, per l’iPod. Perché lui sa che chi arriva
prima sull’aereo si sceglie il posto e
si sceglie il compagno di banco. Lui lo
sa, ma non è il solo. Si ferma la navetta,
il forzato capisce che la tattica fila 06 posto
13 non funziona più perché è una tattica
vecchia e perché lo sanno tutti che
sul low cost non ci sono posti assegnati e
perché lo sanno tutti che 06 non è il posto
e che 13 non è la fila e che, in realtà,
è solo l’orario di imbarco. Ora però non
c’è più tempo, non c’è più tempo di fare
nulla. C’è solo una cosa da fare ora: c-or-
r-e-r-e. Sono tutti di fronte alla portiera,
si aprono le porte, si blocca la navetta,
scatta l’operazione posto a sedere, si
corre, si scappa, si cerca l’entrata giusta,
qualcuno cade, le hostess arretrano, sono
terrorizzate; la scaletta del low cost si
regge per miracolo, “benvenuti su
Ryan”, alle 6.03 l’aereo è già tutto pieno,
con cinque file vuote davanti e cinque file
vuote indietro. “Welcome”, e poi
“Thank you”. Sono le sei e zero cinque,
il forzato del low cost è già molto sudato,
s’infila l’iPod, alza la musica, ascolta i
Bluvertigo, aspetta il decollo, guarda il
finestrino, si slaccia la cinta, va dallo
stewart e poi – ci prova sempre – chiede:
“Quando se magna?”.

Il low cost per caso e parecchio terrorizzato.
Non ha mai viaggiato low, non è
mai andato a Ciampino, non è mai partito
alle sei e trenta, non sa dov’è
Gatwick, Luton o Stansted, non ha mai
capito perché i tempi per approvare il
decreto sulle intercettazioni sono sempre
piuttosto brevi, viaggia solitamente
con la valigia di plastica blu da duecento
euro, quando vola su Alitalia sceglie
l’opzione pasto “vegetariano”, non vuole
mangiare la carne, non vuole mangiare
il pane, in aereo compra sempre
tutto quello che costa di più, vino rosso,
spumante Ferrari trentacinque centilitri,
posto finestrino avanti non troppo
indietro mi scusi ma soffro l’aereo. Scopre
che sul low non ci sono posti assegnati,
inizia a fare molte domande, tira
fuori le e-mail con i codici stampati, il
sito della homepage, la prenotazione.
Ha molti fogli con sé. Li prende, li riordina,
li mette nel marsupio, ne tira fuori
altri, tira fuori soldi, rimette dentro i
soldi, tira fuori altri fogli. Non ci sta capendo
nulla. Il low cost gliel’hanno raccontato
gli amici del figlio ma i risultati
non sono stati buoni. Confonde ancora
il volo low con quello charter, legge il
Sole 24 Ore e legge Italia Oggi, quando
cade un charter dice al figlio: visto questi
low cost del cazzo? Non ha mai comprato
un biglietto, non ha mai pagato via
Internet, solo agenzie, prezzo pieno, business,
qualche volta economy. “Ma lo
danno il biglietto qui?”. Tecnicamente
lui si sente più che altro in borghese. Il
low cost per caso considera il volo low
cost esattamente come se fosse un centro
sociale, come se fosse la curva sud
dello stadio Olimpico, come se fosse
l’aula occupata dell’università. Ha paura,
non deve farlo capire, ha le mani vicino
alle due tasche che scorrono accanto
alla zona pubica, cerca di capire
l’ambiente, si avvicina alla vetrata dell’aeroporto
e inizia l’operazione identificazione
qualità aereomobile. Sono le
cinque, l’edicola è ancora chiusa, fuori
è buio, l’aereo si vede appena, lui però
non ha ancora imparato a pronunciare
con esattezza quelle lettere scritte in
blu su fondo giallo: Bryan Air, Arian
Ayr. Solitamente ha con sé una valigia
arancione, rigida, sessanta euro, quella
che ogni tanto usa anche la moglie e
quella che venerdì scorso ha deciso di
sostituire con una valigia blu comprata
al Tucano di Fontana di Trevi: molto
brutta ma perfettamente integrata con
l’ambiente (secondo lui). Dopo cinque
minuti le rotelline anteriori sono già
bloccate. Il low cost per caso inizia a essere
un po’ agitato. L’edicola apre, lui è
ancora al check-in, si guarda attorno, vede
poche valigie, zaini Invicta, rollerblade,
molte borsette, scarpe da ginna-
stica, al cinema non ha ancora visto Little
miss Sunshine, sui Dico è un po’ perplesso
soprattutto perché sa che un matrimonio
più un matrimonio sono due
matrimoni ma non riesce a declinare al
plurale la parola Dico (Dici, Dichi, Dicoi).
In fila davanti a lui tre ragazzi sono
seduti per terra; stanno appallottolando
mutande, camicie e magliette. Sono tutte
in un sacchetto perché – dicono – una
valigia in meno è sempre meglio che
una valigia in più. Il low cost per caso
adesso è spaventato, perché lui ama la
fila da guardaroba, per favore fatemi
passare ho molta fretta. Il low cost per
caso non ama la fila da consumazione,
dove non si aspetta ma si attende, dove
si chiacchiera e si sta anche delle ore
fermi senza capire da che lato inizi
quella diavolo di fila. Dove si attende
con calma, dove si beve un bayles e dove
si finisce una capiroska semplicemente
per rimettersi in coda e per provare
a conoscere qualcun altro, lì in fila.
Il low cost per caso aspetta, è molto
nervoso, vuole arrivare subito, non parla
con nessuno, guarda il biglietto completamente
bianco, confonde l’orario di
partenza con il posto a sedere, nella navetta
(che lui chiama bus) è l’ultimo a
scendere, trova posto sull’ala, è terrorizzato,
chiede informazioni allo
stewart, lo stewart si chiama David, 24
anni, studente di Scienze della comunicazione,
laurea breve in Marketing, due
anni di specializzazione in strategie della
comunicazione, capelli corti, occhiali
spessi, è al secondo mese di lavoro,
parla l’inglese un po’ male. Il low cost
per caso si siede sull’ala, lentamente si
gira verso l’oblò, accanto ha un uomo un
po’ grasso che a lui fa molto schifo. Dall’altra
parte c’è Mara, cinquantacinque
anni, che inizia a parlare dei suoi viaggi
low a Bangkok e delle sue escursioni
al Cairo; legge la Stampa, il low cost per
caso è ormai davvero disperato, ma a
pagina trentatre legge la parola “Alitalia”
e si sente un po’ meglio. Ma è solo
un attimo. Mara parla anche della Thailandia,
dice che gli aerei sono sempre
buoni, che finora non ha mai visto nessun
low cost cadere, il low cost disperato
si dispera ancora, ma per fortuna ha
le mani in tasca e tutte e due sono ancora
lì, molto vicine alla zona pubica:
“Questi charter del cazzo”, dice. Il signore
grassoccio, a sinistra, copre due
oblò per intero, il terzo è libero e lui, il
low cost disperato, deve vedere a tutti i
costi com’è fatta l’ala, se c’è qualcosa
che non va, qualche bullone sospetto,
qualche crepa pericolosa. Si sporge un
po’ in avanti, ma molto lentamente perché
il vicino di banco dopo sette minuti
già russa. Finalmente riesce a vedere
l’ala, l’ala è completamente bianca, ci
sono molti bulloni, non aveva mai visto
un’ala prima perché in business l’ala è
sempre dietro e le hostess ti sorridono,
puoi scegliere cibi di ogni tipo e all’ala,
lì davanti, non ci pensi proprio. In quel
momento tira fuori i giornali. Ci aveva
pensato tutta la notte a cosa comprare
in edicola. Perché, su quell’aereo, non
poteva non leggere, ma non doveva e
non voleva dare troppo nell’occhio. Aveva
comprato il Sole, e poi – in quota low
cost – anche la Gazzetta, Chi e Gente.
Dopo i giornali il bar, un cornetto un euro,
un cappuccino un euro, un’acqua
due euro e cinquanta. E’ in quel momento
che decide: prende il biglietto, lo
mette nella tasca della camicia. Doveva
sembrare molto giovane, ragazzi sono
uno dei vostri, ma tutti gli altri il biglietto
lo tengono nella tasca dei pantaloni
semplicemente perché nessuno,
praticamente nessuno, ha con sé una camicia.
Lui se ne accorge, entra nel panico,
è disperato, sa che ormai lo avranno
riconosciuto, sa che non leggerà nulla,
sa che qualcuno potrebbe rivolgergli
la parola, ma soprattutto sa che non
guadagnerà neanche un punto millemiglia.
Arriva in aereo, poggia i giornali, la
tasca davanti a lui è completamente
vuota, non c’è nulla, non ci sono riviste
e non ci sono istruzioni per l’emergenza.
Il low cost per caso sta molto male.
Mara – la sua vicina di posto – parla ancora
di aerei che non cadono mai, l’ala
sembra a posto, lui non tanto. Il low cost
per caso a quel punto si gratta. Quando
finisce cerca ancora davanti a sé,
cerca nel taschino sotto il tavolino, nel
sedile anteriore. Cerca ancora, inizia a
sudare e poi scopre che quassù, su questi
charter, non c’è nemmeno un sacchetto
per vomitare.

Il low cost con sacco a pelo. Confonde
Ventotene con Ventimiglia (e da Ventotene,
se devi andare in Francia, effettivamente
non è semplicissimo arrivarci
con il treno), a Londra non compra nulla
perché moltiplica ancora la sterlina
per tre, rimane nella City al massimo tre
giorni, ha l’ostello prenotato, passa da
Camden Town, Portobello Road, Liverpool
Street, H & M, ha ventisette anni,
l’Inter Rail (il viaggio in giro per l’Europa
a basso prezzo) ora costa troppo, lui
però viaggia solo low e ha cambiato
spesso la propria carta d’identità. Ha
uno zaino nero, uno zaino piccolissimo
che però sembra piuttosto grande; sullo
zaino ha appeso una padella, un asciugamano,
due sacchi a pelo. E’ abituato ai
treni, conosce bene Internet, ha quattro
caselle di posta elettronica, crede di essere
uno dei casi – di cui parla spesso
Repubblica – da “attenzione parziale
continua”, sul telefonino scrive messaggi
senza guardare la tastiera, ha viaggiato
molto con i treni, in Inter Rail preferisce
la zona due e la zona tre, quella da
centodue euro. E’ già stato a Nizza, Cannes,
Barcellona, Valencia, Tarifa, Lisbona,
Amsterdam. Bellissimo ma non ne
può più. Ora preferisce volare con volo
più hotel più auto; scende dall’aereo e si
rifiuta di cambiare il fuso orario del telefono,
conosce parecchi no fly, quelli
che l’aeroporto inquina (anche se in
realtà, per esempio a Ciampino, il traffico
aereo produce solo il due per cento
delle emissioni di anidride carbonica),
quelli che gli aerei fanno schifo, quelli
che i rumori non li vogliamo (anche se in
realtà negli aeroporti low cost, come
Ciampino dalle 23 alle 6.30 i voli sono
vietati), quelli che i low sono troppo low
per tutti e anche per chi ci lavora, quelli
che non vogliamo le aziende di stato e
non vogliamo neanche le aziende non di
stato, quelli che “dagli incontri emerge
la gravità della situazione” e quelli che
questa è una “situazione di fortissimo
impatto ambientale”, quelli che accusano
Ryan Air di tenere sotto scacco e sotto
schiavitù una città, quelli che hanno
scoperto la Ryan Air proprio in Inghilterra,
quelli che però amano le low cost
perché le low cost (tipo la Ryan) per un
po’ regalavano biglietti a chiunque avesse
voluto scrivere e-mail (di protesta) a
Gordon Brown (Brown, ministro delle
Finanze inglese, ha alzato tasse ai low
cost, la Ryan non ha gradito le tasse,
Brown non ha gradito le e-mail) e poi
quelli che proprio in Inghilterra avevano
scoperto che una delle prime campagne
pubblicitarie della Ryan era quella
con un Principe Carlo molto soddisfatto
per la sua scelta così good e così economy
(e per questo ai tempi erano in
molti a essere un po’ preoccupati). Il low
cost con sacco a pelo ha letto Massimo
Gaggi (“La fine del ceto medio”), ha letto
Franco Riva (“Filosofia del viaggio”),
ha letto Kerouac (“On the Road”), non
ha mai sentito nominare Bayrou, al ritorno
dal viaggio ha sempre lo stesso zaino
ma con quattro buste di plastica
bianche in più (e due sono rotte). In aeroporto
compra tutto quello che può,
ama le “tax free” e lui continua a comprare
e a riempire sacchetti, soprattutto
lì in aeroporto. Niente valigie, al massimo
un altro zaino. Poi va in bagno e legge
ancora tax free. Qui dentro però si
vendono solo pacchettini dove ai lati c’è
scritto condom.

Il liberale dodici virgola due. Ama la
low cost, ama gli aerei che non vanno in
perdita, quelli che costano poco, quelli
che non sono statalizzati, dice che “bisogna
far pagare tutto ciò che è superfluo”,
parla di sindacati, riunioni a porte chiuse,
non ha capito (tecnicamente) come
vengono liberalizzate le parrucchiere,
dice che l’Alitalia non ha un futuro, parla
anche di miopia politica, di vettori nazionali,
del bisogno di far cassa, della
sensibilità dei contribuenti, di libere decisioni,
dice che il capitalismo riesce a
produrre quello che il comunismo sogna,
parla di consumatori sfruttati, del
low cost che finalmente dà ai poveri le
stesse opportunità dei ricchi, poi parla
di quattrini nelle casse dello stato, vuole
liberalizzare gli slot, si appella alla
“continuità territoriale”, ai biglietti non
cartacei, allo sviluppo economico, alle
“ricadute positive su costi biglietti”, cita
l’Economist (che nel 2005 ha scritto che
la Ryan Air ha fatto più di qualsiasi diplomatico
o ministro del mondo per integrare
l’Europa), dice che negli ultimi
dieci anni la Ryan Air ha registrato un
solo trimestre di perdita e che lui non
vuole compagnie di bandiera e sulla low
cost ci va anche quando la low costa più
della non low. Il viaggiatore liberale prima
di partire ha fatto ogni verifica, ha
controllato tutto, peso, biglietto, asciugamano,
computer e poi in fila, parecchio
orgoglioso, chiede: “Scusa ma la tua
valigia quanto pesa?”. Prima di partire
ha controllato ogni sito, ha visto Alitalia,
ha visto Ryan, ha visto British, ha visto
Air One, ha visto Lufthansa, ha visto anche
Air France, lui però sceglie low perché
i pagamenti non sono rimborsabili
(mi dispiace cara, il lavoro), perché sa
che i nomi dei passeggeri possono essere
modificati dietro pagamento delle tariffe
applicabili (mi dispiace cara, il lavoro)
e sa che ogni bagaglio in più sono
otto euro (mi dispiace cara, le borsette a
Londra erano finite); veste con un gilet,
è sposato da poco, fuma la pipa, non
ama viaggiare in coppia, conosce a memoria
le percentuali di bagagli smarriti
da Ryan Air (zero punto cinque per cento),
Air France (dodici virgola due per
cento), Lufthansa (quattordici virgola
due per cento), Austrian (quindici virgola
due per cento), Alitalia (undici virgola
uno per cento), Iberia (dieci virgola
cinque per cento) e British Airways
(quindici virgola sei per cento).
Sono le sette e zero venti, domenica
undici marzo, ventiquattro ore dopo il
low di una dei tanti Easy, Ryan, Wind,
Go, My, Wizz, Sterling, Wing, Blue,
Smart. Volo Alitalia, pasti ebraici, vegetali,
ipocalorici, poltrone larghe, sacchetti
antivomito, tariffe business, tariffe
low, aereo un po’ vuoto, posti assegnati,
stewart eleganti, nessuno zainetto,
molte valigie rigide, buste Prada,
Harrods, TopShop, nessuna Routard,
qualche computer, molti walkmen, parecchie
cuffiette, volo soft, aranciata,
panino con il formaggio, Repubblica,
Sole 24 Ore, Corriere, volo normal, standard,
senza Forlì, senza Ciampino, senza
Treviso/Venezia, senza Oro ar Sero,
con la very vip lounge room, con i taxi di
Fiumicino e con un volo non low ma alla
fine anche un po’ slow. Di là c’è Ryan,
di qua Alitalia. Sono le sette e quaranta,
il volo arriva a Roma con dieci minuti
di ritardo.
Claudio Cerasa
24/03/07

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