venerdì 23 marzo 2007

Il Foglio. "Alessia Filippi ai Mondiali con le scarpette in acqua"

Alessia è ferma lì sul bordo vasca. Si alza,
asciuga il mento, alza le braccia,
controlla la cuffia, controlla gli occhialetti,
controlla il costume, si morde le labbra, si
avvicina alla vasca, si avvicina all’acqua, si
asciuga il viso, a destra il suo allenatore,
Andrea Palloni, a sinistra gli spalti dello
stadio del Nuoto, dell’Aurelia Nuoto, della
Guardia di Finanza, degli assoluti di Livorno,
di quelli di Pesaro, degli autunnali, degli
estivi, degli invernali. Alessia Filippi
però non se ne accorge quasi mai. Ogni tre
mesi l’assoluto, ogni settimana la gara, ogni
giorno l’allenamento, ogni giorno Alessia
così: mento, braccia, cuffia, occhialetti, costume,
labbra, vasca, viso, Andrea. Ha fatto
così a Budapest, ha fatto così agli Europei,
ha fatto così agli assoluti, ha fatto così nelle
gare in vasca corta, ha fatto così quando ha
vinto a Shangai (Mondiali in vasca corta, un
argento), quando ha vinto a Budapest (Europei,
vasca lunga, un oro e un bronzo) e quando
a Helsinki proprio non la vedeva nessuno
(Europei vasca corta, oro). Alessia Filippi
non è un fenomeno come Novella Calligaris
(la prima donna italiana a vincere una
medaglia olimpica nel nuoto e che smise di
nuotare a ventuno anni), non è bella come
Federica Pellegrini (l’ultima italiana a vincere
una medaglia a un’Olimpiade, ad Atene,
ora anche lei ai Mondiali), non ha la
bracciata di Cristina Chiuso (la più forte italiana
nei cinquanta stile libero), non ha il
fiato di un fondista come Simone Ercoli,
non ha la classe di Filippo Magnini (il nuotatore
più veloce di tutti, campione del Mondo
nei cento stile libero ai Mondiali di due
anni fa e poi anche agli Europei dello scorso
anno), non è una di quelle atlete che nuota
sempre contro qualcuno, contro Schoeman,
contro Neethling, contro il biolimpionico
e primatista dei cento stile libero Pieter
Van den Hoogenband. Alessia non è così
perché Alessia Filippi è un fenomeno anche
se non è ancora una vera campionessa,
anche se ai Mondiali di Melbourne, Alessia,
poteva fare tutto e lei voleva fare davvero
tutto: voleva fare dorso, misto, rana, stile e
voleva davvero essere la stessa che aveva
chiuso il 2006 ai primi posti della classifica
mondiale, dopo che aveva vinto dappertutto,
aveva cambiato società ma era rimasta
con lo stesso allenatore, era rimasta a casa
con la madre a Roma a Tor Bella Monaca
(anche se ora ha una casa tutta sua), e quindi
a scuola la mattina, il pomeriggio agli allenamenti,
la sera a casa, la mattina a scuola,
e il pomeriggio ancora allenamenti; con
le gare vinte quando non riusciva a respirare
e con le bracciate che entravano anche
quando gli altri le dicevano: “Alessia, oggi è
meglio che lasci perdere”.
Alessia Filippi però non se ne accorge
mai. Quando vince, dice lei, non se ne accorge
proprio. Non se ne accorge quando arriva
e quando si ferma a bordo vasca e quindi
cuffia, occhialetti, costume, labbra, vasca
e via, e poi fa il record. Alessia Filippi attualmente
detiene dieci primati italiani tra
vasca lunga e vasca corta anche se poi Alessia
preferisce la vasca da cinquanta perché
in quella piccola non si diverte, ma le gare
poi le deve fare lo stesso perché nel nuoto
c’è una gara ogni settimana e non ne puoi
perdere una, non devi perdere l’allenamento,
non devi perdere la preparazione, non
devi perdere i punti perché alle Olimpiadi
non ci vai se fai sette gol all’Arzebaigian,
non ci vai se arrivi in semifinale a Wimbledon;
alle Olimpiadi, ai Mondiali, agli Europei
chi nuota ci va soltanto perché lo dicono
gli altri, perché lo dice il tuo fisico, perché
lo dice la tua classifica, le tue gare, i
millesimi e i centesimi di secondo ogni anno
in meno, perché tutto deve essere sempre
perfetto, perché non ti puoi permettere
nulla, non ti puoi permettere una febbre,
non ti puoi permettere di studiare, non ti
puoi permettere di andare a dormire dopo
mezzanotte, non ti puoi permettere di litigare
con Rolando Howell, non ti puoi permet-
tere di dire che oggi quest’allenamento non
lo faccio perché non ne ho bisogno e non ho
bisogno di allenarmi assieme ai bambini di
quattordici anni e non ho bisogno di una società
piccola, non ho bisogno di essere sempre
quella brava, bella, simpatica, intelligente
e che però non vince mai, quella che
cerca di dimostrare il suo talento, e quella
che cerca sempre di far vedere come sono
belle le sue braccia, le sue gambe e i suoi
occhiali con la montatura da 400 euro.
La siepe del Foro Italico
Alessia Filippi non è così. Perché nel
nuoto funziona che se tu trovi il campione
per un anno o per un Mondiale, ci punti
davvero, lo spremi ma non glielo dici, lo carichi
ma non glielo ricordi; e aspetti. Poi
però se un Rosolino non va, se un Brembilla
non trova la bracciata, se un Bossin sbaglia
il tempo, se un Marin non prende la medaglia,
succede che tu non esisti più e non
ci sono più le sfilate di moda, non ci sono
più le serate a Porta a Porta, non ci sono più
i divanetti di Scherzi a Parte e non c’è più
niente, non ci sono i millesimi di secondo e
non ci sono più braccia, cuffie e occhialetti;
non c’è più il ritmo: stile, dorso, stile, dorso,
misto, stile, dorso, delfino. Perché per bruciare
un nuotatore ci vuole un attimo, per
diventare un campione e diventare un fenomeno
è soltanto un po’ più complicato.
Alessia Filippi però non se ne accorge
mai. Non si accorge delle sue braccia, non
si accorge delle sue gare, non si accorge dei
duecento metri, dei trecento metri, di quando
in acqua sembra che stia correndo e
sembra sia lì con le scarpette, con gli occhi
chiusi, a destra una corsia, a sinistra l’altra,
e quindi una, due, tre bracciate, virata, stile,
poi dorso, poi delfino e a destra le panchine,
a sinistra l’allenatore che non parla
mai, con gli occhiali, la maglietta bianca,
che non sorride davvero mai perché lui non
è lì in vasca ma è come se ci fosse, anche se
è lì in piedi dietro la siepe del Foro Italico
(dove c’è una delle piscine più importanti
d’Italia), con il cronometro nero nella mano
destra e quindi uno-due, virata, tre-quattro,
virata, hop, hop, hop e poi subito via perché
ragazze, ora basta, dobbiamo liberare le
corsie, tempo scaduto, ci vediamo alla gara.
Perché nel nuoto non funziona come nel
tennis, non funziona come nel calcio, non
funziona come nel rugby e non funziona come
nel basket e nella pallavolo. Nel nuoto
sei tu, l’acqua, le braccia, le gambe, venti,
trenta, cinquanta, cento, duecento, quattrocento
metri e quattro minuti zero otto secondi
e cinquantasei millesimi nei quattro
cento stile libero e quattro minuti e trentacinque
secondi e ottanta millesimi nei quattrocento
misti, vasca da cinquanta metri,
primati italiani, i migliori risultati di Alessia.
Otto minuti e quattro minuti e in acqua
Alessia sembra che nuoti con le suole chiodate,
senza guardarsi mai attorno perché
poi il tempo che conta è quello tuo, anche
con le braccia pesanti e le gambe che diventano
rigide, il cronometro e hop, hop, hop.
L’avversario esiste solo prima ed esiste dopo
a fine gara, lì in mezzo però sei solo tu, e
te la godi. Ma Alessia, in acqua, degli altri
non se ne accorge proprio.
Ora Alessia è a Melbourne, scenderà in
vasca la prossima settimana, si diverte molto
a dire cose come “il finale lo dobbiamo
scrivere”, che è vero che la federazione ha
fatto un lavoro incredibile, che starebbe lì
sempre a studiare la Laurie Manaudou, che
le mie colleghe sono anche amiche, che le
mie amiche sono tutte delle bravissime ragazze,
che non è vero che la mia rivale Federica
Pellegrini è una mia rivale anche se
poi lo è davvero, ma Alessia non può dirlo e
non può dirlo soprattutto ora dato che a
questi Mondiali voleva fare tutto ma poi era
rimasta un mese senza nulla, senza allenamenti,
senza piscina, senza gare e quindi
ora, anche se gareggerà nei duecento dorso,
nei quattrocento stile, nei quattrocento misti
nella staffetta quattro per cento stile libero
e in quella mista, Alessia punterà sui
quattrocento misti e sui duecento dorso della
prossima settimana. E poi magari li vincerà
pure. Alessia Filippi è arrivata due anni
fa alle Fiamme Gialle dopo aver passato
quindici anni all’Aurelia Nuoto e cioè in
una delle società più piccole ma più famose
e importanti di Roma. Ma quando arrivi
in un posto come sono le Fiamme Gialle, così
come quando arrivi all’Aeronautica, al
Corpo forestale, alla Polizia, ai Carabinieri,
nello sport cambia tutto perché diventi uno
sportivo vero, inizi a prendere qualche soldo,
inizi a fare sport per passione ma anche
per professione e perché senza Fiamme
Gialle, poi, Alessia sarebbe continuata a essere
un fenomeno ma non si sarebbe mai
messa nelle condizioni di poter diventare
davvero una campionessa.
Le tipologie Aldo Montano
Perché poi, nel nuoto, ci sono quattro tipi
di nuotatori. Ci sono i campioni che lo sono
sempre stati quelli che lo saranno sempre e
che non possono che esserlo e che proprio
per questo spesso sbagliano, spesso dimenticano
di controllare l’avversario in corsia,
spesso fanno la gara sugli altri, spesso arrivano
e sanno di aver vinto e non si accorgono
invece di aver perso. Perché poi c’è la tipologia
Aldo Montano o Francesco Coco, ci
sono i nuotatori quelli così così, quelli che
vincono nel momento giusto ma che poi non
vincono più, quelli che azzeccano un Mondiale,
un’Olimpiade, un Europeo o una vasca
corta e che poi si fermano lì e non gliene
frega più nulla se non vincono un campionato
italiano, se la bracciata inizia a non
essere più quella giusta, se gli allenamenti
non sono più divertenti come lo erano prima
e che iniziano ad andare sulle isole, o
cominciano a chiedere di entrare nelle fattorie.
Ci sono i nuotatori veri, quelli che nascono
in piscina, vivono in piscina, sono i
gregari del nuoto, quelli che ci provano
sempre e non saltano una gara, mattina, sera,
pomeriggio, mattina, pomeriggio, sera
sempre lì, sempre in acqua, sempre quarti,
quinti, al massimo terzi, quelli che non vincono
mai e quando vincono foto, premiazione,
pacca sulla spalla e poi si ricomincia e
non esisti più. Poi ci sono quelli come Alessia
Filippi, quelli che fanno un millesimo di
secondo al mese in meno, che ogni giorno
non pensano agli altri, che pensano alla
bracciata, alla gara, alla corsia, non guardano
a destra e non guardano a sinistra, unodue,
hop, quelli che ascoltano sempre l’allenatore,
quelli che non fanno nulla per far sì
che ogni gara diventi una favola, quelli che
aspettano il Mondiale, aspettano l’Olimpiade
e sanno di essere i più forti, sanno che
non c’è nulla da raccontare, non c’è nessuna
favola, nessun problema, nessun romanzo,
solo millimitri, millesimi, assoluti, Rimini,
Pesaro, Helsinki, Budapest, Melbourne.
E sono quelli che dicono: non me ne frega
nulla di partecipare, io devo vincere. Anche
se poi spesso i record da battere sono quelli
propri, anche se poi c’è qualcuno che pensa
che i Mondiali non contano perché quello
che conta sono solo le Olimpiadi quelli
che a Melbourne in questi giorni leggono
sui giornali “Fast lane to Beijing”, e quelli
che quindi davvero credono che i Mondiali
sono solo la corsia preferenziale per i cinque
cerchi, per la vera gloria, per essere i
nuotatori da copertina e quindi click.
Alessia ai Mondiali però ci tiene davvero.
Due anni fa a Montreal due quinti posti (duecento
dorso e quattro per cento mista), ora è
in Australia ma tra due anni, dopo Melbourne,
dopo il Beijing e dopo le Olimpiadi, i
prossimi Mondiali Alessia lì avrà a Roma, a
settecento metri dagli occhialetti di casa sua.
Claudio Cerasa
22/03/07

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