lunedì 12 marzo 2007

Il Foglio. "Il romantico, lo scapigliato, Pulicio e la coppaitalianità del tifoso granata"

Destino, Agroppi, gemelli, Maratona, Radice, rimonte, sorpasso, arbitri, Vieri, favola, recuperi, buche, Ferrante, tifo, gloria, derby, vittorie, spareggi, finanze, ritorno e – naturalmente – rigori e pali. C’è solo una squadra e c’è un solo tipo di tifoso che può capire che cosa significhi perdere anche quando si vince, che può capire che cosa significhi perdere quando ormai tutto sembra vinto davvero, e che può capire che cosa significhi essere costretti a scannarsi su uno stadio (la polemica è tra il sindaco di Torino Chiamparino e il presidente del Torino Cairo: il sindaco se la prende con Cairo perché il nuovo presidente non ha progetti e il presidente se la prende col sindaco perché il Comune non fa nulla per il Toro) proprio nell’anno in cui tu sei ritornato in serie A, due anni dopo essere praticamente morto (“Il funerale avrà luogo non appena Cimminelli troverà i soldi per pagarlo. Si attende a minuti una fideiussione del pianeta Papilla: il presidente Romero rimane ottimista”, scrive Massimo Gramellini, vicedirettore della Stampa, nel libro “Granata da legare”, Priuli & Verlucca editore). Soltanto il tifoso dell’Inter può capire che cosa vuol dire arrivare a giocare un campionato dopo averlo praticamente già vinto sotto l’ombrellone, dopo aver sopportato davvero tutto, i Gilberto, i Centofanti, i Pistone, i Pancev, e dopo aver sopportato presidenti come Romero (non a caso sosia di Moratti) che non riusciva a dire il nome di Pulici senza aggiungere una “o” dopo la “c” e la “i” (l’effetto era Pulicio), vedendo fallire la società un anno prima di compiere i cent’anni e ritrovandosi, ora, con due allenatori in otto mesi, un presidente che litiga con un sindaco, un sindaco che litiga con una squadra e con una città che per la prima volta nella storia è solo granata, ma riesce a fare peggio di un’altra squadra a strisce che quest’anno non gioca neppure in serie A. Solo un tifoso interista può capire i recuperi, gli spareggi, i derby, le finanze, i sorpassi, i Ferrante, i rigori, i pali e i Vieri (Vieri e Ferrante tra l’altro dopo essere stati al Toro sono stati ovviamente anche all’Inter). Perché “tifare Toro è tifare per non dormire, per soffrire”, per sopportare i programmi sportivi che parlano solo di te e che non riescono neppure a essere troppo crudeli perché, figuriamoci, del tifoso dell’Inter e del Toro vorresti pure parlarne male? E soprattutto, se proprio ne devi parlare male, a quale tifoso ti riferisci davvero? Perché c’è il granata vittimista che poi è quello che non sopporta nulla, che si stava meglio quando si stava peggio e che pure quando si stava peggio effettivamente non è che si stesse poi così bene. Quello che comunque è convinto che la Juve ci sta mangiando, che la Fiat ci vuole fottere, che se Lentini se ne andrà bruceremo la città. Poi però ci sono i tifosi romantici, appunto come Gramellini, e quelli un po’ più scapigliati, come il suo collega Mattia Feltri. “La differenza è piuttosto semplice. Il tifoso romantico è il tifoso che ci tiene al primo bacio che lo vuole perfetto, che vede il Toro come un vero e proprio destino, che sa però che il pallone sul palo non finisce mai in rete e che però vuole vincere comunque sempre e che sogna, e lo sogna davvero, di portarsi a casa un derby con la Juventus per uno a zero con un tiro che finisce sul palo e poi va in porta, segnato al novantesimo e magari con un rigore che non c’era. E’ un tifoso alla Madame de Staël e solitamente non va da Michele Santoro”. Poi però c’è il tifoso scapigliato quello che solitamente scrive e lavora e frequenta il tifoso romantico, quello che vuole la partita ideale, ama Rosina, all’Inter amerebbe Recoba e non Zanetti, e non Cambiasso, e non Paul Ince, e non Patrick Vieira. Quello che il derby lo vuole vincere per sei a zero, che lo vuole in una serata perfetta, con la cena, l’aperitivo e poi alla fine non un bacio, non un rigore al novantesimo, ma una scopata perfetta. Uno che ovviamente se ne fotte delle coppe Italia (di cui il massimo esponente in quanto a coppaitalianità è, subito dopo il Toro, proprio Roberto Mancini che ne ha vinte parecchie da giocatore e parecchie da allenatore, tutte molto prestigiose ovviamente). Anche se poi il tifoso scapigliato, un po’ come il suo collega romantico, sa che “quelli come noi la spuntano soltanto nelle favole e per chi tifa Toro le favole sono finite da un pezzo”.
Claudio Cerasa
10/03/07

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