Prima ancora che scoprisse l’Alba, prima ancora che scoprisse (anche se per poco) l’Africa e prima ancora che Walter Veltroni iniziasse a spiegare che cosa in realtà voleva dire Kennedy e che cosa in realtà voleva dire Charlie Chaplin e che cosa in realtà voleva dire Martin Luther King, c’è qualcuno che ha scoperto come – e per di più soltanto dieci anni fa – il futuro sindaco di Roma, parlando già con una certa abilità di Kennedy, Chaplin e Luther King, a voler essere molto pignoli qualche erroruccio forse potrebbe pure averlo commesso. Nel suo libro “Dieci anni di Pignolerie” (Edizioni Ares, 14 euro), tra un Vittorio Zucconi che parla delle “campagne elettorali di Ford” (peccato che Ford non abbia mai fatto campagne elettorali), tra un Enrico Mentana che celebra “Il ritratto di Dorian Gray” come il romanzo più famoso di Oscar Wilde (probabilmente anche perché è l’unico che Wilde scrisse), Mauro della Porta Raffo ricorda un paio di cosucce che – giusto dieci anni fa – sfuggirono a Walter. Ricorda come, ad esempio, commentando lo stesso “Grande dittatore” con il quale Walter è solito cominciare i monologhi della sua tourné in giro per i teatri italiani, Veltroni spiegava: “Vinta la guerra, Chaplin dovette fare i conti con i suoi amici in casa. Quelli che lo sospettarono di attività antiamericane”. Errore, errore, errore. “Chaplin – ricorda il Pignolo – era inglese e non americano e quindi quel ‘in casa sua’ riferito agli Stati Uniti fa pensare che il noto critico (Walter, ndr) non conosca la reale nazionalità del grandissimo Charlot”. Sarà un caso. O forse no, dato che prima di questa seppur trascurabile svista, il 29 luglio 1999 Veltroni nel corso di un’intervista rilasciata alla Stampa, spiega perché John Kennedy “risolse i problemi collegati all’integrazione razziale ‘con le leggi relative’”. Ovvero, il Civil Right Act. Ahi, ahi. Errore. Il Civil Right Act, come Veltroni ora saprà perfettamente, fu firmato nel 1964 da Lyndon Johnson. E, purtroppo per Walter, Kennedy era morto ormai quasi da un anno. Pur non volendo certo polemizzare con il “grande critico cinematografico”, il Gran Pignolo, con eleganza, si riserva di ricordare all’ex ministro dei Beni culturali che attribuire il Civil Right Act a John Kennedy vuol dire anche dimenticare che proprio l’amministrazione Kennedy fu accusata da Martin Luther King “di essersi accontentata di un progresso fittizio nelle questioni razziali”. Ma tra gli appunti che da dieci anni segnalano su questo giornale gli scivoloni di firme come Biagi, Scalfari, Franchi o Carretto, si trovano anche molte sviste di politica estera. Sviste che diventano clamorose se a farle, poi, è un futuro ministro degli Esteri come Massimo D’Alema, il quale soltanto quattro anni fa sosteneva che “Bush è riuscito a strappar la vittoria ad Al Gore con un blitz della Corte suprema”. Forse però un ex premier dovrebbe sapere che “il voto popolare negli Stati Uniti – scrive sdegnato il Pignolo – vale stato per stato e quindi fare riferimento al maggior numero di voti ricevuti da Al Gore è un affermazione completamente priva di senso”. Ma senza voler nulla togliere ai pur rilevanti errori di firme come Mereghetti, Mieli, Ottone e Riotta, c’è una svista – o forse un lapsus – molto utile per capire perché quando politici come Goffredo Bettini parlano di “facce nuove” o di figure giovanili per il futuro della politica italiana, non possono proprio non pensare a un giovanotto come Walter. Siamo nel 1998 e in un libro pubblicato per Sperling & Kupfer, Veltroni, dopo aver raccontato la sua passione per “Il ragazzo Elwood” del film “Harvey” (peccato che il “ragazzo” abbia già quarantadue anni), confessa che una delle pellicole più importanti della sua adolescenza sia stata “L’uomo dei sogni”, film girato nel 1989, anno in cui l’adolescente Walter di anni però ne aveva già trentaquattro.
Claudio Cerasa
1 Febbraio 2007
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