giovedì 22 febbraio 2007

Il Foglio. "Dove vanno a parare tutti questi matti"

Puoi essere Zoff, puoi essere Buffon, puoi essere Yashin ma se pensi a un portiere non pensi a una parata, pensi al portiere, pensi all’esultanza, al massimo la papera, al massimo il colpo di testa di Rampulla, il gol di Taibi o quello di Amelia. Le tue parate restano lì, complimenti, che volo, che classe. Poi basta. “Cazzo, è morto, è morto”. Il francese Janvion aveva cominciato a urlare, Battiston era ancora a terra, Schumacher lo aveva colpito con un calcio in mezzo allo stomaco, Battiston non si alzava, non era morto ma aveva gli spasmi. Schumacher era pronto al rinvio, Battiston poteva pure morire, lui doveva rinviare, ma Battiston non era morto, la partita riprende è il 6 luglio 1982, Schumacher era considerato più crudele di Hitler, da quel giorno fu per tutti “il barbiere”. Ma lui, diceva così, era solo un portiere. Dicono tutti così. Lo diceva anche Raad Hammoudi Salman, uno degli ultimi eroi sportivi dell’Iraq anti Saddam ma nel libro “Un manicomio tra i pali” (edizione Limina, 14 euro) di Luigi Guelpa, ci sono Rojas, Campos, Barthez, Lettieri e Jongbloed. O come Burgos, cioè El Mono, cioé la scimmietta, lo stesso portiere che chiacchiera coi pali della porta, lo stesso che, almeno così dice lui, parla col Papa, lo stesso che si fece infilare da 65 metri dall’altro portiere Chilavert. Burgos in porta c’è finito perché è andata così, Chilavart perché invece doveva essere proprio così. Lo aveva deciso lui quando a piedi scalzi portava a pascole le mucche di papà Catalino, ma di Chivalert ci si ricordano le parate o i gol?
Claudio Cerasa
22/02/07

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