venerdì 23 febbraio 2007

Il Foglio. Ecco perché non ci sarebbe nulla di strano ad andare subito alle urne

Roma. Si dirà che ora, dopo le dimissioni di Prodi, non è possibile andare alle elezioni perché non sarebbe una scelta saggia, perché, già in primavera, ci sono le amministrative, perché “trascinare il paese in una campagna elettorale di uno o due anni è da irresponsabili e perché le elezioni sarebbero una passeggiata per Silvio Berlusconi” (Rotondi, Udc), perché prima di qualsiasi elezione si dovrebbe pensare “a fare il Ponte di Messina” (Lombardo, Mpa), perché le elezioni in fondo le vogliono davvero “soltanto una minoranza di partiti” (Nicolais, Ds), perché, semmai, “va allargata la maggioranza” (Ferrero, Prc), e perché, comunque, “non se ne parla nemmeno” (Tabacci, Udc), perché venerdì, poi, inizia la Quaresima, perché poi arriva pure la Pasqua, perché, in caso, prima va fatta la legge elettorale, perché “andrebbe sviluppato il programma con il quale si sono vinte le elezioni” (Mantovani, Prc), perché i sondaggi dicono che “gli italiani le elezioni non le vogliono” e perché, siamo seri, “non bisogna dilapidare la fiducia degli italiani” (Angius, Ds). Quindi niente voto, la maggioranza adesso non c’è, ma state tranquilli che si troverà. Però le urne no, ora non hanno senso, ora proprio non si possono fare perché – come ha detto ieri Rocco Buttiglione – “non sarebbe nell’interesse del paese”. Ma indire nuove elezioni subito dopo le dimissioni di un presidente del Consiglio è una prassi tutt’altro che fuori dalla logica. Così ha recentemente fatto l’ex cancelliere tedesco Schröder (due anni fa) e così ha fatto, qualche mese fa, il premier giapponese Koizumi. Convocare un’elezione subito dopo le dimissioni di un premier non è altro che una delle possibilità che ha – in Italia – il presidente della Repubblica, subito dopo aver terminato le sue consultazioni.
Andiamo con ordine. Nel momento in cui la prima carica dello stato prende atto delle dimissioni del presidente del Consiglio e si riserva di decidere, dopo le consultazioni ha di fronte sei soluzioni. Il presidente della Repubblica può rinviare alle Camere il governo, può offrire nuovamente un mandato al presidente del Consiglio per la formazione di un nuovo esecutivo o, se lo ritiene opportuno, ha anche la possibilità di incaricare un nuovo esponente della coalizione di formare un gabinetto. Ma non solo. Una volta terminate le consultazioni (e cioè stasera), Giorgio Napolitano potrebbe decidere di nominare un “presidente istituzionale”, definizione da manuale, al quale andrebbero assegnati alcuni precisi compiti da portare avanti in vista di eventuali nuove elezioni (la fiducia al nuovo premier andrebbe comunque votata entro dieci giorni dalla nomina). Uno dei possibili “compiti specifici” potrebbe essere quello di approvare una nuova legge elettorale (e questa sembra essere la linea della Lega nord e in particolare di Roberto Calderoli). L’articolo 88 della Costituzione prevede, inoltre, sia la possibilità di sciogliere entrambe le Camere sia, eventualmente, anche solo una delle due (e in questo caso toccherebbe al Senato). Ma Napolitano potrebbe decidere di sciogliere le Camere anche senza dare la possibilità a un nuovo governo di verificare la fiducia in Parlamento, convocando quindi direttamente nuove elezioni. Costituzionalmente, Napolitano, potrebbe prendere questa decisione già questa sera, chiamando gli italiani alle urne non prima di quaranta giorni. Dunque non si capisce per quale ragione le eventuali elezioni non dovrebbero essere considerate come una delle soluzioni naturali (e probabilmente in questo caso anche la migliore) al sistema di alternanza di governo. “Fino al ’94 gli scioglimenti sono stati in realtà tutti autoscioglimenti decisi dalle forze politiche. Ci fu un’eccezione nel 1987, ma i veri scioglimenti presidenziali sono quelli del 1994 e nel 1996”, dice al Foglio il professor Augusto Barbera. Ma facendo un piccolo passo indietro, si scopre che gli stessi Ds, oggi attenti a non nominare la parola “elezioni”, non molti mesi fa la pensavano in maniera diversa. In un’intervista al Corriere della Sera, Piero Fassino, diceva: “E’ inconcepibile che questa maggioranza non prenda atto della crisi drammatica in cui è e che non abbia il coraggio di andare alle elezioni subito”. Si parlava di Silvio Berlusconi, era il 23 settembre 2005.
Claudio Cerasa
24/02/07

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