Il primo taxi nel primo giorno della liberalizzazione romana arriva contromano, dopo venti minuti, in ritardo e con le luci spente. Alle 23.06 di domenica primo ottobre Radio Taxi 3570 prega di rimanere in attesa. L’attesa, in realtà, dura già da un po’: da venti minuti. Alle 22.46 la prima telefonata: 06.4994, Radio Taxi la Capitale. Serve un taxi a Piazzale degli Eroi, a Roma. Piazzale degli Eroi si trova a pochi minuti da San Pietro, dentro le mura Aureliane. Le mura Aureliane, grosso modo, rappresentano il centro di Roma: da San Giovanni a piazzale degli Eroi. Le nuove tariffe del Comune di Roma sono attive proprio per tutte le corse che partono da dentro le mura e arrivano fino agli aeroporti. Sono quaranta euro per Fiumicino e trenta euro per Campino. E viceversa. Passano tre minuti, il taxi, precisiamo, è per Fiumicino. Radio Taxi la Capitale non ha nessun taxi, al momento. Secondo tentativo. Sono le 22.50. Proviamo con Radio Taxi Tevere. 06.4157. Anche qui, rimaniamo in attesa. Fortunatamente a Fiumicino non c’è nessuno aereo che ci aspetta, ma questo Radio Taxi Tevere e Capitale ovviamente non lo sanno. Passano cinque minuti. Radio Taxi Tevere non ha taxi, al momento. Proviamo ancora: 06.3570. Operatore 29, “Emma trenta in cinque minuti” arriva in sette minuti, contromano, con le luci spente. Dietro i due schienali dei sedili anteriori, le tariffe (che al buio non si leggono) sono quelle concordate con il Comune di Roma, ma nel 2001. Non quelle del 2006. Parte il taxi e parte anche il tassametro. Prima di arrivare oltre le mura Aureliane, cioè praticamente all’altezza del Raccordo anulare, il tassametro è già a tredici euro. In venticinque minuti siamo in aeroporto. Il tassametro segna trentasette euro. Ora, i problemi sono due. Il primo è che la tariffa fissa, di quaranta euro, non è stata applicata. Il secondo che la tariffa fissa, nel primo storico giorno di liberalizzazione romana, sarebbe stata più costosa della tariffa precedente. E viene un sospetto. Non è che il sindaco Walter Veltroni, per far passare la sua personalissima liberalizzazione, sia stato costretto ad aumentare pure le tariffe? Ma è solo un sospetto.
Mezzanotte e un minuto. E’ il due ottobre, quindi lunedì. Oltre alle tariffe fisse per gli aeroporti, da questo momento parte anche il servizio di potenziamento dei taxi romani. A Fiumicino, di notte, non esiste nessuna segnaletica che spieghi la portata del risultato storico. E se esiste è nascosta benissimo. Il primo taxi del primo giorno ufficiale di potenziamento delle corse romane lo prendiamo noi, da Fiumicino. Il taxi è fermo in testa alla corsia riservata alle auto bianche di fronte al Terminal B. E’ fermo da un po’, la Lancia Thema è vecchia. Una signora prova a caricare le sue valigie nel bagagliaio della Thema, ma il bagagliaio è troppo piccolo. Già di per sé quel taxi non è a norma. Nel dubbio, essendoci trentatré chilometri da passare da soli col tassista sul Raccordo, meglio non ricordarglielo. Parte il taxi, parte (anche questa volta) il tassametro. E parte anche la radio. Nella maggior parte dei taxi romani, prima, funzionava in questo modo. Arrivavi, salivi, partiva il tassametro e poi, dopo aver comunicato la destinazione, il tassista alzava il volume della radio e, tra le frequenze memorizzate, tu trovavi solo radio sportive. Nell’ordine: Rete Sport, Radio Radio, Radio Incontro. Al massimo, proprio al massimo, Radio Uno utilizzata quasi esclusivamente per seguire i posticipi della partite di Serie A. Sulla frequenza numero due della Pioneer installata sul taxi, Furio (il nome non è quello vero così come per gli altri tassisti) ha sintonizzato Radio Uno. Cambia canale e sul numero tre ha Radio 24. Sul numero sei Radio Radicale. Lo sport, dice Furio, ormai non ho più tempo di sentirlo. Sul sedile anteriore destro è poggiata una cartina. “Sono le mura Aureliane”, spiega il tassista. Il tassametro continua a girare. Sarà un caso, anche questo. Sono passate già ventiquattro ore dall’inizio delle tariffe fisse, se ne parla da mesi, il sindaco ha detto che tutto era pronto, quaranta euro doveva essere la tariffa fissa per gli aeroposti e quaranta euro sarà. E infatti è solo un caso. Il tassista spiega anche perché: “Devi capì che co sti tassametri non se poteva fa più de tanto. So vecchi, fijo mio. Hanno fatto un casino, però alla fine è tutto molto semplice”, dice allontanando entrambe le mani dalla guida del volante. “Fino alle mura Aureliane sono quaranta euro, fissi. Poi appena arriviamo alle mura Aureliane azzeriamo il tassametro e aggiungiamo la nuova tariffa. Sa, co sti casini hanno dovuto aumentare le tariffe”. Non è uno scherzo. Le tariffe, lo dice il tassista, sono aumentate. Non avendo la minima idea di dove comincino la mura Aureliane ci fidiamo del tassista. Superato l’ipermercato Panorama, quindi subito dopo il raccordo, il tassista dice: “Ecco le mura”. In realtà le mura, scopriamo successivamente, cominciano un paio di chilometri dopo. Sul tassametro sono segnati 35 euro. “Ecco – spiega – fin qui sono 40 euro. Ora parte il tassametro”. Il tassametro, azzerato, riparte. Ma non da zero, da cinque euro. E fino a piazzale degli Eroi sono 49 euro, nove euro in più della tariffa fissa. E questo solo perché di sera il traffico non è eccessivo. Di giorno, però, non è affatto così. Le mura Aureliane delimitano la zona che ha più traffico in città. E, non a caso, l’unica zona che è stata davvero potenziata dal Comune è stata proprio quella delle mura Aureliane. In periferia, invece, non è cambiato praticamente nulla. “E meno male. Volevano mandarci per strada?”, dice un tassista lungo il tragitto che collega piazza Gioacchino Belli a Piazzale Ungheria (13 euro, 14.30 del pomeriggio, 23 minuti) ricordando che “Io a casa ho sei fucili da caccia. So comunista con la C maiuscola, io. Ma al governo c’è chi vole fa il comunista con le spalle degli altri”.
Ma per capire in che modo è nata la presunta liberalizzazione romana occorre fare un passo indietro. E’ il 24 luglio. Veltroni ha appena finito una riunione di undici ore con i tassisti. Il sindaco di Roma esce dal Campidoglio, sorride, si asciuga il sudore, guarda l’assessore alla Mobilità Mauro Calamante e con la stessa convinzione con cui Massimo D’Alema cerca di convincere (soprattutto se stesso) che questa Finanziaria è un miracolo, si affaccia dalla sala e fa: “Questo è un risultato storico”. Senza voler essere troppo rigidi su come il sindaco di Roma proprio non riesce a non vedere storicità intorno a se stesso (In pochi mesi ha detto: “il piano regolatore è un risultato storico”, “Piazza di Spagna pedonale è un risultato storico”, “la pedonalizzazione del Tridente è un risultato storico”, “la Roma ha raggiunto un risultato storico”, “i numeri della Notte Bianca sono un risultato storico”), quello con i taxi è oggettivamente un accordo incredibile.
Pier Luigi Bersani aveva proposto il suo pacchetto per le liberalizzazioni alla fine di giugno. Liberalizzare significa produrre più concorrenza nel mercato. Nel settore taxi, in particolare, significa aumentare le licenze (permettendone quindi il cumulo), significa dare la possibilità a ogni tassista di decidere come gestire il proprio turno di servizio. A Roma, invece, non è stato liberalizzato proprio nulla. E i tassisti hanno battuto con una certa facilità Pier Luigi Bersani. Anche grazie alla mediazione di Walter Veltroni.
Subito dopo la chiusura delle trattative tra tassisti, governo e Comune di Roma, Veltroni dice precisamente così: “Attraverso la rimodulazione dei turni e il prolungamento dell’orario di servizio, grazie ai collaboratori familiari e ai dipendenti, come prevede il decreto Bersani, avremo in strada mille taxi in più la mattina; mille il pomeriggio; e cinquecento la notte”. E in più ci sono anche le tariffe fisse. Quaranta euro per Fiumicino, trenta per Campino. Un trionfo, dice Veltroni. Il suo discorso fila: più taxi, più auto, più turni, più corse, più ore di servizio, più lavoratori, più dipendenti. E poi, dice, entro dicembre ecco 450 nuove licenze in arrivo. Il Comune di Roma, è riuscito a mettere d’accordo tutti. Tassisti, governo e Comune. Una grande mediazione. E non a caso, il 18 settembre, il nome del sindaco di Roma viene suggerito (nello stesso giorno) sia per la presidenza della lega basket (sulla Gazzetta dello Sport), sia come intermediatore di pace tra tutte le religioni del mondo (con diretta su al Jazeera). Ma fino al primo ottobre a Roma, almeno con i taxi, non era ancora cambiato praticamente nulla. Già dal quindici settembre ci sarebbero dovute essere 2.500 vetture disponibili in più. Già dal quindici settembre ci sarebbero dovute essere le licenze in vendita. Già dal quindici settembre ci sarebbero dovuti essere i turni in più.
Ma dal primo ottobre, la storia arriva davvero. Domenica era, appunto, primo ottobre: il primo (storico) giorno ufficiale di sperimentazione delle nuove tariffe fisse romane. Tu dici: e i taxi non funzionano, e i tassisti rubano, e le strade sono sporche e i bar dei rumeni vanno a fuoco e le strade sono piene di venditori ambulanti e a Fiumicino ci sono gli abusivi e gli autobus non passano, e i taxi non passano. Però sulle tariffe no, pensi. E’ impossibile, come si fa a sbagliare? E invece, purtroppo, si sbaglia.
“Il problema è che i tassisti sono tuttora convinti che la domanda di taxi possa aumentare soltanto nel momento in cui cala l’offerta di vetture”, dice Gianluca Quadrana, consigliere comunale della Rosa nel Pugno a Roma. Cioè: la gente che prende il taxi non cambia, il mercato è quello e non può aumentare. Quindi: più licenze significherebbe, inevitabilmente, meno lavoro. Ma non è così. Secondo alcuni dati del rapporto Sta 2001, il trenta per cento di domanda non soddisfatta di taxi viene dalla periferia. E in periferia, invece, sui taxi non è stato fatto nessun intervento specifico. In via Flavio Stilicone, zona Cinecittà, per averne uno, ci vogliono ancora quattordici minuti. La stazione dei taxi è a 800 metri. Ma nelle stazioni dei taxi non risponde quasi mai nessuno. Su 47 stazioni taxi contattate, l’esperimento l’ha fatto Repubblica, rispondono in media soltanto due. Il risultato sono quattordici minuti di attesa, (cooperativa Samarcanda, 06.6645) e quando il taxi arriva il tassametro segna già 6 euro.
Da inizio settembre, escluse le cronache locali, i principali giornali italiani hanno però parlato del sindaco e dei suoi tassisti romani, con un certo rilievo, solo in un’occasione: è il 27 settembre, un tassista trova un collier di diamanti sulla sua macchina, lo prende, lo restituisce al Comune, e Veltroni lo premia. Dopo di che, praticamente nulla. Ma quando Pier Luigi Bersani aveva incaricato i sindaci di sviluppare il suo progetto di liberalizzazione, il ministro delle Attività produttive voleva che ci fossero alcuni punti fondamentali da rispettare: una maggiore offerta, un impulso all’occupazione, una maggiore tutela ambientale e un aumento della qualità del servizio offerto. Di questi punti non è stato concretizzato praticamente nessuno. E tutto quanto quello realizzato dal Comune di Roma Veltroni lo avrebbe potuto fare anche senza la legge Bersani.
Primo punto. I taxi in più non saranno taxi nuovi. Saranno gli stessi di prima che, a rotazione, aumenteranno i propri turni. Il provvedimento sui turni non è una liberalizzazione anche perché l’aumento dei turni viene stabilito con un’ordinanza dello stesso Comune. Non con una legge. Non solo. La legge Bersani, come confermano al Foglio anche voci interne all’ex staff del sindaco, sarebbe stata davvero messa in pratica solo se fossero stati aggiunti turni nuovi, non nel caso di piccole aggiunte ai turni già esistenti. Il Comune dice inoltre che le vetture che circoleranno in più saranno 2.500. Qualcuno parlava anche di 3.000 auto in più. In realtà, come ricorda Daniele Capezzone, “secondo gli ultimi dati sarebbero solo 1.250 perché i turni aumenteranno non del doppio, ma solo di quattro ore e non di otto”. Milleduecentocinquanta taxi non sono nulla per una città come Roma che ha una media di 2,1 taxi ogni mille abitanti (a Barcellona, per dire, ce ne sono nove, a Londra otto). E i posti di lavoro? Rimarranno sempre gli stessi perché a guidare i taxi, nel corso dei turni aggiuntivi, saranno sempre gli stessi tassisti. “Dottò, più turni di servizio vuol dire che le machine durano anche di meno. E poi, per quattro ore di lavoro in più dobbiamo pure prendere un impiegato e pagargli i contributi? Ma che c’hanno presi pe scemi?”, ci dice un tassista lungo il percorso che porta da piazza Trilussa a via della Camilluccia (13 euro, nessuna corsia preferenziale). E questo mentre gli iscritti al ruolo conducenti (quindi idonei a poter acquistare una licenza) presso la Camera di commercio provinciale, già nel 2004, erano 17.000.
Poi, ci sarebbero le licenze. Il Comune ha detto che ce ne saranno 450 nuove. Ma questa non è la liberalizzazione. Già nel 2001, e senza la legge Bersani, l’allora assessore alla Mobilità del Comune di Roma, Simone Gargano, aveva annunciato 1.500 licenze taxi in più. In cambio avrebbe però concesso un aumento del dieci per cento della tariffa per i tassisti. Solo in cambio, anche allora. E delle 1.500 licenze promesse, in cinque anni, ne sono state assegnate pochissime. E solo grazie a un accordo preciso: io metto sul banco nuove licenze, tu prendi un aumento di stipendio (che era del dieci per cento, per l’esattezza). E il rischio, che siano aumentate le tariffe c’è anche questa volta. Secondo una ricerca commissionata dal 2004, proprio dal Comune di Roma, l’alto costo del servizio taxi è una delle principali cause di mancato utilizzo del taxi. Aumentare le tariffe non è quindi il massimo per migliorare né l’offerta né la domanda.
La ricerca del 2004, che è bene ricordarlo ancora, è stata commissionata proprio dal Comune di Roma, dimostrava in che modo sarebbe stato possibile migliorare il servizio dei taxi nella Capitale. Il risultato del monitoraggio era stato questo: grazie al Titolo quinto della Costituzione il Comune avrebbe potuto avere “potestà legislativa in materia di trasporto pubblico locale” e, testuale, “senza costi amministrativi eccessivi e senza ostacoli insormontabili di carattere normativo”. Significa che il Comune avrebbe potuto fare tutto quel poco che ha fatto anche senza la legge Bersani. E anche qualcosa di più: il Comune avrebbe infatti potuto, autonomamente, abolire il divieto del cumulo delle licenze (facendo diventare proprietario della licenza una persona giuridica non una persona fisica) e avrebbe potuto permettere ai proprietari dei taxi di circolare non solo per dodici, ma per ventiquattro ore. E, in quel caso, i 17.000 iscritti alla Camera di Commercio avrebbero avuto davvero possibilità di avere un posto di lavoro.
Ma nelle ultime settimane a Roma (oltre ai collier di diamanti) il principale problema di cui si è parlato è stato un altro: il sistema di controllo satellitare. Per poter rispettare i turni e per poter aver garantita la presenza su strada di 1.250 auto in più (non 2.500), serve qualcuno che controlli che quelle auto ci siano davvero. “E i vigili? I vigili che ce stanno a fa?”, chiede un tassista sul percorso da viale Parioli a Cinecittà (15 euro, una corsia preferenziale, strade bloccate, 40 minuti, due tentativi di percorre tragitti più lunghi del dovuto). Il Comune ha pensato che il modo migliore per vigilare i tassisti sia il Gps (Global positioning system, un sistema satellitare che permette di localizzare le macchine). I tassisti non vogliono. Il Comune sì. Il 27 settembre in consiglio comunale si discute del progetto. Nella delibera la parola controllo satellitare, a quanto risulta, non viene però mai menzionata. Si dice: “Sistema di monitoraggio”, la stessa parola già utilizzata a fine agosto, la stessa parola utilizzata, ma mai attuata, già nel 2001. Ma anche se il sistema di monitoraggio, il Gps, venisse davvero utilizzato, in realtà non cambierebbe nulla. Dalla sede romana dell’Atac (l’Agenzia del trasporto pubblico romano che dovrebbe occuparsi direttamente del monitoraggio Gps) ci dicono che “l’unico vantaggio che si potrebbe avere dal controllo satellitare non sarebbe quello di conoscere quante macchine lavorano, ma solo quante macchine di turno sono effettivamente in movimento. Sarebbe quindi impossibile sapere se le macchine in giro sono ferme nei parcheggi taxi o se sono effettivamente al lavoro”. Su questo giornale l’economista Michele Salvati (grande promotore del Partito democratico) sulle liberalizzazioni ha detto: “La cosa che aveva aperto il cuore a noi tutti era il pacchetto di riforme firmate da Pierluigi Bersani, ma poi se le sono rimangiate dandole in pasto agli enti locali”. Subito dopo la fine delle mediazioni estive, il Comune di Roma si era affrettato a classificare la Capitale “come prima città d’Italia ad aver concretizzato la legge Bersani”. A Roma le liberalizzazioni nel settore taxi semplicemente non esistono. Non esiste nessuno storico risultato e sui taxi, ora, non si possono più ascoltare neppure i posticipi di serie A. Walter Veltroni ha comunque scritto un bellissimo romanzo.
Claudio Cerasa
7/10/06
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