Tra le ambasciate gira voce che nella merchant bank capitolina qualcuno che parla inglese c’è
Roma. Le tessere numero due, numero tre, numero quattro, numero cinque, numero sei e numero sette del futuro Partito democratico di Walter Veltroni sono state riservate dall’attuale sindaco di Roma a sette precisi imprenditori in due giorni precisi e in due posti precisi. Nei sette anni di premierato cittadino dell’ormai sempre più probabile futuro segretario del Partito democratico, Veltroni è riuscito a cucire una rete economico-finanziaria che scende dal Campidoglio, si sposta al Circolo Canottieri Aniene, sfiora il teatro dell’Opera, passa di fronte all’Auditorium, sale le scale di Largo Fochetti, si ferma di fronte all’ambasciata americana e tocca un numero incredibile di personaggi da molti considerati le vere stelle fisse dell’universo veltroniano. Un universo, che è vero, va da Pasolini fino a Francesco Totti, da Berlinguer a Gabriele Muccino, ma che trova un collante nei rapporti che il sindaco di Roma ha costruito negli ultimi quattro anni con il mondo della finanza e con quello dell’economia, e che Veltroni ha voluto scoprire sul tavolo in due momenti precisi: il 12 ottobre dello scorso anno e il 27 settembre del 2003, giorni in cui il sindaco di Roma ha organizzato due tra i più importanti eventi degli ultimi anni della Capitale (la prima Notte Bianca, 2003, e la prima Festa del Cinema, 2006) e giorni in cui Veltroni ha fatto capire tra sponsor, partnership, consulenze, consigli di amministrazione e comitati esecutivi, su chi avrebbe deciso di puntare, magari anche per il prossimo futuro. E quei nomi riassumono esattamente quella che i nemici chiamano rete e quello che Walter invece ama chiamare “circolo”. E’ per questo che dire Roma e dire Veltroni significa dire naturalmente Carlo De Benedetti (in questi giorni sempre più tessera numero uno del Pd), ma significa dire anche Luigi Abete, Claudio Toti, Matteo Arpe, Andrea Mondello, Giovanni Malagò, Fabiano Fabiani – a cui sarebbero riservate le prime tessere – e significa dire anche Domenico Bonifaci, Alessandro Profumo, Luca Cordero di Montezemolo, Gianni Letta e, almeno fino a qualche settimana fa, Francesco Gaetano Caltagirone, prima che qualcuno iniziasse a scoprire che dentro i cassetti del circolo veltroniano le tessere più importanti erano già state distribuite da un pezzo.
Chi conosce Veltroni sa che nel suo lavorio sotterraneo ciò che più colpisce è il modo in cui l’ex segretario ds ha sempre cercato di non scegliere un unico interlocutore (a parte naturalmente quello all’ultimo piano di Largo Fochetti). Perché Veltroni ha rapporti buoni con Abete (presidente Bnl e numero uno dell’Unione industriali capitolina), perché Veltroni risponde sempre – in questi giorni un po’ meno – ai messaggini di Mondello (presidente della Camera di Commercio di Roma), perché Veltroni già si coccola i nuovi padroni degli aeroporti romani (cioè i Benetton), perché Veltroni è lo stesso sindaco grazie al quale i palazzinari ora si chiamano immobiliaristi ed è lo stesso sindaco a cui si riferiva Profumo quando, un anno fa, diceva che “il paese esce da molti anni difficili, ora serve un sogno”. E’ proprio per questo non può sorprendere che Veltroni sia lo stesso sindaco che ha dedicato una via a Marco Biagi, lo stesso mai intercettatto con Ricucci o Consorte e lo stesso supercandidato al Pd che riesce a essere romanista senza nulla voler togliere alla Lazio, non escludendo l’amore per la Juve e non dimenticandosi della sua Virtus (Veltroni è diventato presidente onorario della Lega Basket anche grazie all’amicizia con la potente famiglia Toti, padrona della Virtus Roma e pedina preziosa nelle mosse di Gemina e di Capitalia. Pare che sia proprio per colpa del rapporto con i Toti che Caltagirone, da un mese, ha rotto con Veltroni). Ma anche qui il grande pregio di Veltroni, alla lunga, rischia di trasformarsi nel suo più grande limite, e lo si capisce anche dai pranzi organizzati in Campidoglio (notoriamente Veltroni mangia tre mozzarelline, due pizzette bruciate e terribili panini con il salame), durante i quali Veltroni continua a far capire che non vuole scegliere, dice di voler puntare sulla “pluralità” e su quel “senso di appartenenza” che deve trovarsi a cavallo tra destra, sinistra, costruttori, banchieri e, attenzione, anche ambasciatori. Perché una delle mosse su cui lavora Veltroni è proprio il suo rapporto con i diplomatici stranieri e con gli imprenditori a loro legati. Chissà se è un caso che, tra le ambasciate romane, ci sia chi dice che Roma, nel senso del Campidoglio, è diventata l’unica vera merchant bank dove finalmente un po’ di inglese c’è qualcuno che lo parla.
Claudio Cerasa
22/06/07
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