sabato 30 giugno 2007

Il Foglio. "Lo sport system di W."

Così Walter Veltroni ha creato la sua rete di consenso ginnico, senza barche a vela,
senza pedalate bolognesi, senza scudetti. E senza rispondere a quella domanda

Ciuf. Prende palla, Walter. Si allarga sulla lunetta, sorride ai fotografi, piega le gambe, si guarda a destra e poi si guarda a sinistra, avvicina le mani e le tiene separate così, circa di un palmo, forse due, si guarda ancora attorno, piega ancora un po’ le gambe, porta le mani all’altezza del naso, guarda i fotografi, i fotografi sono pronti, accanto a lui ci sono un po’ tutti, c’è Garri, c’è Tonolli, c’è tutta la formidabile squadra della Virtus Roma e c’è soprattutto il presidente, Claudio Toti. Prende palla, Walter e poi via. Ciuf, canestro e ottimo tiro, sindaco Veltroni. E’ il 25 novembre del 2004, siamo a via San Gregorio al Celio, Roma, centro storico, di là il circo Massimo, a destra il Colosseo, a sinistra le Terme di Caracalla, quelle del cocktail party della Festa dell’Unità, quelle che quest’anno Veltroni visiterà per la prima volta da candidato segretario del Partito democratico, quelle dove, giusto un paio di anni fa, Veltroni avrebbe voluto portare il basket Nba e quelle accanto alle quali, pochi anni fa, Veltroni si ritrovò insieme alla squadra di basket della capitale, la sua squadra di basket, per inaugurare un campetto con due canestri, una piccola tribuna, un po’ di gesso giù per terra. Non un campo da pallacanestro, ma un playground, come lo chiama lui. Dovevano essere cento campi, un po’ qua e un po’ là, un po’ in centro, un po’ in periferia, un po’ di sport per tutti, a destra e a sinistra. Qualche campo, poi, a Roma arrivò davvero, ma fu quel giorno che il sindaco firmò uno dei più significativi accordi, simbolici si capisce, con una delle famiglie – quella dei Toti – che da lì a pochi mesi sarebbe diventata la squadra di riferimento dell’universo veltroniano a cavallo tra politica, economia e finanza: forse il più concreto tra i commoventi universi di Walter Veltroni. E andando a rileggere un paio di paginette scritte da W. qualche settimana fa, quelle scritte nel libro di Marco Meacci, proprio sul Pd, dove Veltroni dice: “Se c’è una parola che dovrà animare il processo che condurrà alla nascita del Pd e che poi dovrà anche guidare il cammino, il modo di funzionare e compiere le sue scelte politiche fondamentali, questa parola è sintesi”, andando a rileggere quelle pagine, chissà che la miglior sintesi tra taccuini, emozioni, canestri, politica, economia e finanza non sia tutta in quella parolina lì: lo sport, ovviamente.
Parliamo del basket, parliamo della Virtus e parliamo – ma non solo di questo – di Claudio, Pierluigi e Stefano Toti, una delle famiglie che negli ultimi anni è diventata il collante tra il mondo del Campidoglio e il mondo playground di Roma, nel senso del basket, nel senso del calcio, nel senso della pallavolo, nel senso del nuoto e nel senso del canottaggio. Perché Veltroni ha costruito la sua rete di consenso, di fascino e di seduzione, così, proprio con lo sport. L’aveva fatto già da direttore dell’Unità, con le famose figurine panini, e ha continuato a farlo nel suo settennato romano, insieme con i grandi nomi che a Roma, via via, tra feste del cinema, tra notti bianche al buio e tra tartine con Francesco o aperitivi con Ilary, si sono intrecciati con il mondo dello sport: tra palazzetti, mozzarelle in Campidoglio, colazioni con Paolo Di Canio, cerimonie con Totti e poi, ancora, comitati promotori, cene all’Auditorium, consigli d’amministrazione, Trigoria, Formello e circoli Canottieri. Perché è pur vero che, da quando Walter Veltroni è sindaco, a Roma nessuno hai mai vinto nulla (a parte qualche coppetta), è pur vero che negli anni di Francesco Rutelli a Roma uno scudetto non lo si negava a nessuno. E’ pur vero che in quell’anno, per dire, vinse il campionato la Roma, poco prima lo vinse la Lazio, e vinsero tutte le selezioni giovanili giallorosse, vinse la pallavolo, vinse il rugby, vinse l’hockey e avrebbe vinto pure la pesca subacquea, il tiro al piattello o il ping pong, se solo avessero avuto un campionato tutto loro; ma del rapporto di Francesco Rutelli con lo sport romano e con quegli incredibili intrecci politico finanziari che gli girano un po’ intorno, è rimasto davvero poco poco. Ecco, con Walter Veltroni le cose sono andate in maniera un po’ diversa. Perché da quando a Roma c’è Veltroni e da quando Veltroni è entrato un po’ a gamba tesa nella vita sportiva della città, cioè da quando Veltroni è diventato, con una modifica statutaria ad hoc, presidente onorario della Lega Basket e da quando, a Roma, gli allenatori della Roma o della Lazio, oltre che a essere allenatori di Roma e Lazio, è preferibile che siano anche allenatori “non sgraditi al sindaco”, da quando Veltroni ha scoperto come inserire nella sua bella politica una palla in rete o un canestro a Caracalla, il funambolismo politico di cui parla Andrea Romano in “Compagni di scuola” e quel “blocco di solidità imbarazzante” che Massimo D’Alema riconosce a Veltroni, da quando a Roma mister doppiaviù è diventato amministratore unico dello sport, i risultati sono davvero interessanti, quasi commoventi. Perché c’è chi ha una squadra di calcio tutta sua, c’è chi sulla propria mensolina ha un paio di coppe dei Campioni, c’è chi suggerisce su fogliettini gialli quale sia il miglior tridente da schierare, c’è chi scende in campo e si ritrova una Milanello, c’è chi si fa fotografare con una coppa con le orecchie grande grande accanto all’ateniese scritta “winner”, e c’è invece chi ha una città ma non ha una squadra, chi prova, con difficoltà, a sintetizzare la sua leadership nel basket, nel calcio, nell’hockey, nel nuoto e nel canottaggio e chi tenta di far sua una città intera con una mazza, un canestro, una palla da basket; naturalmente senza scontentare e senza offendere nessuno (neanche chi porta in giro per Roma la sua Ikarus, come è successo la scorsa settimana a Castel Sant’Angelo), senza aver bisogno di occuparsi di sport dicendo che, tranquilli, “ho chiesto il permesso a Prodi” e senza aver bisogno di un bicicletta bolognese per scambiarsi bigliettini con Casini.
Perché, magari in pochi lo ricordano, ma il Veltroni già segretario dei Ds, già vicepremier di Romano Prodi, già numero uno della Fgci (a quei tempi, ai tempi di quelle giovanili del Pci che, proprio perché in quota Walter, qualcuno ancora oggi chiama “Figc”, cioè federazione italiana giuoco calcio, a quei tempi, con la Fgci, dalle parti di Albano Laziale, Walter giocava a centrocampo insieme con D’Alema e contro il gruppo, cileno e un po’ imbranato, degli Inti Illimani), Veltroni, magari in pochi lo ricordano, è anche lo stesso Veltroni che ai tempi del primo governo Prodi, quando ancora raccontava quanto sentisse dentro di sé l’importanza di essere un vero super straordinario juventino, oltre alla delega ai Beni culturali, aveva anche un’altra delega: quella allo sport, naturalmente. E anche se con risultati non proprio esaltanti, non è certo un caso che la stessa delega attualmente sia in mano a una ministra più o meno veltroniana, Giovanna Melandri: una di quelle che, giusto un anno fa, di questi tempi, avrebbe voluto cacciare quel mascalzone di Marcello Lippi, ovvero l’allenatore campione del Mondo in carica, festeggiato, omaggiato e accompagnato lo scorso 10 luglio per le strade di Roma indovinate da chi?
Ma nella rappresentazione da grande statista dello sport quale un po’ Walter Veltroni è diventato, anche se W. è uno dei politici italiani che, almeno fisicamente, più si allontana da qualsiasi tipo di raffigurazione ginnica (in pantaloncini, grazie al cielo, Veltroni non lo si ricorda e se proprio ci si vuol fare un po’ di violenza e lo si vuole immaginare scattante a Villa Ada, più che con la maglietta del New York Police Department, lo si potrebbe immaginare con una magliettina grigia con un cuore rosso e la faccia di Winnie the Pooh), detto questo, Veltroni è certamente l’unico politico di centrosinistra che potrebbe provare a competere con il Cav. in questo settore, l’unico che potrebbe permettersi di accarezzare il suo elettorato nelle tv locali romane (storica fu una sua apparizione da statista, senza cravatta, nella famosissima Signora in Giallorosso, provate a immaginare, chessò, Romano Prodi a quelli che il Calcio, Bersani alla Domenica Sportiva, o Fassino intervistato da un www.lazialità.it), ed è l’unico, Walter, che non ha bisogno di tratteggiare attorno a sé l’immagine da sportivo consumato a bordo di un veliero o in sella a una bicicletta. Anche perché Veltroni sa perfettamente che da quando, politicamente parlando, il maggior esponente della pedalata in montagna è diventato Romano Prodi, non c’è più nessuno tra Palazzo Chigi e Montecitorio che ha il coraggio di farsi fotografare seduto sopra a un sellino; cosa che invece farebbero volentieri Francesco Rutelli, Enrico Letta e, sorpresa, anche Dario Franceschini, che – poco prima che Prodi diventasse il politico di riferimento della scampagnata biciclettara e romagnala – lui, che da ferrarese sa che a Ferrara, in Comune, oltre alle auto blu ci sono anche le bici blu, da quel giorno, da quelle prime foto prodiane in bicicletta, ecco, da quel giorno Dario non si fa più beccare.
L’immagine un po’ da diplomatico della palla Veltroni l’ha costruita anche così. L’ha costruita anche se, da vicepremier, diceva che la politica deve rimanere fuori dallo sport e l’ha costruita dopo che, grazie alla sua delega allo sport, Veltroni aveva trasformato (con una legge) le società di calcio in società di lucro, e l’ha costruita nello spogliatoio del palazzetto dello sport, al primo piano del circolo canottieri Aniene o nella sala delle Bandiere del Campidoglio, dove Veltroni è diventato famoso per assistere davvero a qualsiasi tipo di presentazione di quei meravigliosi tornei condominiali di tiro al piattello. Ma soprattutto, Walter, l’ha costruita sul balcone del suo colle preferito, quello che dà sui fori imperiali, quello da cui, quando si affaccia, fa finta di essere sorpreso da tutte quelle macchinette fotografiche che proprio lui non si aspettava davvero, quello da cui si è affacciato con l’amico George, con l’amico Silvio, con l’amico Gabriele, con l’amico Roberto, con l’amico Leonardo, con l’amico Robert, con l’amico Kofi e con l’amico Bill. Quel balcone dove Veltroni, ma lui proprio non se l’aspettava, si è fatto fotografare assieme ai due allenatori di Roma e Lazio, Luciano Spalletti e Delio Rossi, assieme a Claudio Toti, assieme a Francesco Totti, Roberto Mancini e Angelo Peruzzi. Ed è qui, su questo balcone, che Veltroni ha cercato di convincere chi lo ascoltava, che Roma è davvero la capitale di ogni sport, che Roma è la capitale delle corse dei cavalli, del nuoto pinnato, delle bocce, del baseball, magari del kurling e certamente anche del nascondino. E’ qui che Veltroni ha messo nero su bianco i suoi “comitati promotori”, le cui nomine – davvero bipartisan – raccontano meglio di ogni libro o di ogni ritratto del povero Filippo Cecarelli (che di questo passo, con un ritratto al giorno, sarà costretto a dimostrare che Veltroni fa politica anche con le gare di dorso delle pantegane giù nel Tevere), come, quando e perché, il sindaco d’Italia ha tirato fuori dal suo mazzo a doppiavù le carte più importanti del suo universo democratico. E lo ha fatto, Veltroni, o almeno, ci ha provato, con le Olimpiadi, lo ha fatto con i Mondiali di nuoto, continuerà a farlo con il canottaggio e lo farà ancora per qualche anno con la pallavolo. E allo stesso modo di come, per dirne una, nel consiglio di amministrazione dell’auditorium si trovano, tutti insieme, Luigi Abete, Cesare Romiti, Francesco Gaetano Caltagirone, Gianni Letta, Innocenzo Cipolletta, Andrea Mondello e Giovanni Malagò, così, nel comitato organizzatore dei mondiali di Nuoto 2009 si trova, ancora, Giovanni Malagò, Alessandro Benetton, Luca Cordero di Montezemolo, Andrea Mondello (presidente della camera di commercio romana), Paolo Barelli (Forza Italia) e Paolo Cuccia (già vicepresidente di Capitalia). E lo stesso vale per il comitato per i Mondiali di pallavolo, quelli del 2010, dove Veltroni ha messo insieme Carlo Salvatori (ex presidente Unicredit ed ex numero due di Mediobanca e attuale amministratore delegato di Unipol), Gilberto Benetton (che insieme con Gemina ha recentemente comprato la società a cui fa capo Aeroporti di Roma), Massimo Moratti, Gianni Letta e Marco Staderini (uno dei due consiglieri di centrodestra della Rai). E lo stesso Veltroni ha provato a piazzare il suo grande colpo, o la sua bomba da tre come dice lui, quando, pochi mesi fa, ha chiesto a Gianni Letta di presiedere un altro comitato, quello per le Olimpiadi del 2016 (anche se poi Letta ha rifiutato l’invito). E’ così che Veltroni ha creato la sua rete sotterranea, ed è una rete di potere che ha dato buone soddisfazioni a chi, negli anni veltroniani, ha visto crescere il proprio impero (i Toti, proprio in questi anni, hanno costruito con il gruppo Lamaro nella zona della Fiera di Roma, dell’ex galleria Colonna e del centro commerciale più grande d’Europa, quello di Roma est).
E proprio con questa rete di potere, Veltroni ha iniziato a mettere in fila uno per uno tutti quelli che un tempo si chiamavano palazzinari, quelli che ora, grazie a Walter, sono rinati come immobiliaristi, e quelli che Massimo D’Alema chiamava con quelle due paroline un po’ cacofoniche, new and comer: due paroline che Veltroni non avrebbe mai utilizzato. Piuttosto, Walter, li avrebbe chiamati nouvelle constructeur. E proprio grazie a questa formidabile rete che si arrampica un po’ tra le banche, i palazzi, lo sport e le bandiere, che Walter è riuscito nell’impresa, davvero notevole, di essere tifoso di Lazio, Roma, Juve, Lodigiani, Virtus, Lamaro ed è diventato così rispettato che, per dire, se dovesse diventare sindaco di Bergamo, non avrebbe alcun problema nel dimostrare di essere tifosissimo della Juventus proprio per la sua fede giallorossa e biancazzurra, grazie alla quale non potrebbe far altro che essere primo tifoso di Atalanta e Albinoleffe. E’ grazie a questo intreccio che Walter ha provato a conquistare Gianni Letta (e tra l’altro, se vogliamo dirla tutta, non risulta agli atti che Veltroni non sia milanista), ed è qui che Veltroni ha iniziato a riservare un paio di tesserine con i numeri immediatamente successvi alla tessera numero uno rispolverata in questi giorni tra i cassetti di Largo Fochetti. Ma è anche in questa rete che, anche un po’ per colpa di Walter, si sono scatenate delle piccole guerre di gelosia cittadina. Per esempio, la storia è recente, con Caltagirone, non proprio eccitato dal fatto che i Toti vincano gli appalti più importanti. Per esempio, e la storia è meno nota, tra il potentissimo Mezzaroma e gli stessi Toti, dato che Mezzaroma, padrone della squadra di Volley della capitale, ogni fine settimana è costretto a far giocare il suo team in un palazzetto dello sport che costa, ogni domenica, 8.000 euro di affitto e che il buon Mezzaroma è costretto a pagare sul conto corrente di chi ha in gestione quel palazzeto: naturalmente la famiglia Toti (famiglia sempre più forte, e non solo in Italia. Negli ultimi mesi i Toti hanno preso gran parte del controllo di Gemina, sono entrati in Rcs con il cinque per cento, in Capitalia con il due per cento anche se, dopo l’addio di Matteo Arpe, i rapporti con Cesare Geronzi sono ancora da irrobustire). E in tutte le redazioni sportive romane, dove una fotonotizia al sindaco con faccione e canotta da basket con “Veltroni numero uno” non la si nega mai, sono ricordati con tenerezza tutti gli interventi fatti da Veltroni per salutare l’esordio di Aleandro Rosi, per far sapere di essere vicino al primo gol di Okaka Chuka, per manifestare la sua gioia per la prima rete del Bracciano pallanuoto e per complimentarsi del primo tocco di Bodiroga (nella sede del Romanista, fino a qualche settimana fa, le agenzie di auguri veltroniani erano una sorta di romanzo a puntate appeso sui muri. Poi, clamorosamente, qualcuno, democraticamente di notte le ha buttate tutte quante).
Ma in tutto questo, la macchina da battaglia veltroniana non ha nulla a che vedere con l’indiavolata aggressività vincente del Cavaliere. Veltroni non sarebbe mai in grado di vincere tifando solo per una squadra o avendo in mano solo una squadra o solo una barca a vela. Ma in un certo senso fa comunque impressione, l’impero di W. E non è tutta mitologia. Te ne accorgi, dell’impero – anche mediatico, evidentemente – quando scopri che dopo il famoso saluto romano di Paolo Di Canio, quel giorno Veltroni fu uno dei pochi a condannare, ancor prima del gesto, i petardi tra le curve; te ne accorgi quando scopri che Di Canio, sempre lui, pochi giorni dopo il saluto romano, fu invitato al Campidoglio per incontrare i reduci da Auschwitz; te ne accorgi dalle interviste che Veltroni rilascia al matrimonio dell’amico Totti, dalla festa per il compagno Peruzzi, dalle vie che il sindaco d’Italia ha dedicato agli sportivi di cuore romano: da Agostino Di Bartolomei (ex capitano della Roma), a Luciano Re Cecconi (l’angelo biondo della Lazio), fino a Davide Ancilotto (grande giocatore della Virtus); te ne accorgi dalle incredibili cronache dello scorso marzo da Los Angeles, dove il sindaco di Roma fu protagonista di un memorabile tour tra i campi da basket al di là e al di qua di Las Vegas, quando W. – seguito da una democratica quanto invidiatissima cerchia di giornalisti romani d’assalto – fu raccontato in una serie di indimenticabili cronache, da cui Veltroni ne uscì fuori con un profilo a metà tra Giulio Cesare, Micheal Jordan e Oronzo Canà. Te ne accorgi, della rete di W, quando sui campi dove Veltroni ha conquistato il consenso senza scendere in campo ma soprattutto senza tifare nessuno, in quegli stessi campi che d’estate si svuotano di palloni, canestri e reticelle, quegli stessi stadi si riempiono di gente come Bono, che ringrazia Walter, e di gente come Madonna che viene a Roma also for Uolter. Perché, è vero, Veltroni negli ultimi tempi sta un po’ pasticciando, ha portato avanti un progetto di polisportiva che doveva essere romanista e che diventerà invece romana, una polisportiva molto confusa che non sta bene quasi a nessuno, che Walter vorrebbe fare, che probabilmente non farà e che a Gianni Rivera, ex golden boy milanista e delegato del sindaco per lo sport, ricorda un’altra polisportiva, molto famosa, che voleva mettere dentro un po’ tutto, calcio, hockey e rugby: ricorda la Mediolanum sport degli anni Ottanta di Silvio Berlusconi, una polisportiva da cui il Cav. è partito, e da cui piacerebbe ripartire pure W. Anche se, tra palazzetti, canoe, canestri, comitati, circoli e mozzarelline, per un sindaco che ha fatto politica doppiando in un cartone animato un simpatico pollastrello sindaco di Chicken Little, uno come lui, se davvero vuole essere il primo segretario del primo partito unico di centrosinistra in Italia, potrebbe, o meglio, dovrebbe provare a rispondere a una domanda facile facile: sindaco Veltroni, ma lei di che diavolo di squadra è?
Claudio Cerasa
30/06/07

Nessun commento: