Domani la commissione intergovernativa proporrà l’ennesima svolta sull’alta velocità. Di questo passo “non si farà mai”
Roma. Cinque giorni dopo la paradossale tavolata politica di Palazzo Chigi dove, in tre ore di trattative, il governo è riuscito ad articolare il suo pensiero sulla Tav senza dire una parola né sul come né sul quando né sul perché si farà l’alta velocità, cinque giorni dopo, la Tav già non esiste più. Mentre in Svizzera si festeggia l’inaugurazione del tunnel ferroviario più lungo del mondo, mentre in Italia le Ferrovie dello stato provano a spiegare che le Ferrovie dello stato non c’entrano nulla con il disastro dei treni in Sardegna (giovedì scorso, sulla linea che collega Nuoro e Orosei, sono morte tre persone e in tre anni i morti sulle ferrovie italiane sono saliti a venti), l’unica certezza, al momento, è che da domani pomeriggio i due copresidenti della Commissione intergovernativa della Torino-Lione spiegheranno ai ministri francesi e a quelli italiani che usare la parola Tav, da ora in poi, non ha più alcun senso. Perché il percorso ipotizzato (ma a Palazzo Chigi nessuno ha mai parlato di tracciati e nessuno ha mai messo in tavola né un progetto né tantomeno una cartina) non ha nulla a che vedere con il vecchio progetto (quello di cui si discute dal 1990, cioè quello di cui si discuteva già prima, molto prima, dell’ultima legislatura di centrodestra) e perché, spiegheranno i copresidenti, l’unico tracciato che potrebbe evitare all’Italia l’esclusione dal Corridoio 5 e l’unica idea ad alta velocità su cui lavorano governo, sindaci, no Tav e probabilmente anche no Vat, non c’entrano nulla con i fantastici tracciati dei Tgv francesi, con gli Ice tedeschi o con i Ktx coreani. E’ semplicemente un’altra cosa, si ricomincia semplicemente da capo e anche se il 23 luglio il governo riuscirà a farsi assegnare dall’Unione europea i finanziamenti per la Torino-Lione, con un percorso come quello della val Sangone, c’è chi pensa che, forse, di alta velocità in Italia non se ne parlerà mai. “La prima criticità è il sottoutilizzo dell’opera – spiega al Foglio l’ingegner Andrea Debernardi – I costi saranno superiori ai benefici sia nel caso del progetto originario sia nella versione cosiddetta destra Dora. E anche se con il nuovo tracciato verra bypassato il rischio amianto, presto si parlerà di un nuovo problema, ovvero quello dell’uranio che si troverà nel nuovo tunnel di base, anche se la mega galleria dovesse sbucare più a monte di Venaus”. E proprio per questo, spiegano Marco Ponti, del Politecnico di Milano, e Francesco Ramella, dell’Istituto Bruno Leoni di Torino, “la Tav, in val Susa o in val Sangone, non si farà mai, perché mancano i soldi e perché manca un progetto e perché manca, ancora oggi, un vero e proprio tracciato”.
Ma per comprendere il vero giallo sulla Tav, che in pochi mesi ha cambiato tre nomi e che prima di chiamarsi Tav già si chiamava Tac (treni ad alta capacità), per capire perché il ministro per gli Affari regionali, Linda Lanzillotta, ha davvero grosse difficoltà a dimostrare che in questi giorni sulla Tav “è stato fatto un passo avanti importante anche se non definitivo”, cosi come le ha il sindaco di Torino Sergio Chiamparino quando dice che “questo è il primo passo avanti che ha permesso di riavvicinare le varie parti e di rasserenare il clima”, per capire tutto questo, basterebbe ascoltare le parole dei veri vincitori del reality sulla Tav, ovvero i no Tav; gli stessi no Tav che anche oggi pomeriggio parteciperanno all’ennesimo “incontro decisivo” a Bussoleno, gli stessi no Tav che godono di un forte credito con Rifondazione, Verdi e Comunisti italiani (vedi i successi delle ultime elezioni amministrative, e prima di perdere aderenza con una delle ultime basi rimaste fedeli, la sinistra di governo ci penserà molto bene), gli stessi no Tav, poi, convinti che in Italia siano sufficienti i treni Eurostar, i treni Ok, i treni Biz, i treni Plus e i treni Intercity, e gli stessi no Tav che si ritrovano nelle parole del presidente della comunità Bassa val di Susa, Antonio Ferrentino, che, il giorno dopo l’incredibile tavolata di Palazzo Chigi, ha raccontato a Liberazione il trionfo della base no Tav, capace di far cambiare al governo tre nomi in un anno e capace di far fare a Prodi, sull’alta velocità, un passo indietro laddove il governo non è ancora riuscito a farne neppure uno in avanti.
Claudio Cerasa
19/06/07
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