giovedì 14 giugno 2007

Il Foglio. "Agenda Tavazzi"

Con l’eterno rinvio al tavolo politico il governo decide di non decidere sull’alta velocità

Roma. L’ultima puntata dell’incredibile fiction sulla Tav e quindi sui tunnel, sull’amianto, sulla Val di Susa, sul corridoio 5 e sull’alta velocità, si è chiusa ieri pomeriggio a Palazzo Chigi grazie a un ennesimo “tavolo cruciale” in un’ennesima “giornata chiave” e con un ennesimo “accordo decisivo” che si trova esattamente a metà strada tra le posizioni dei No Tav, tra quelle dei sindaci, tra quelle del ministro Antonio Di Pietro, tra quelle del governo e tra quelle di Beppe Grillo, l’animatore dei dissidenti dell’alta velocità che da tempo riassume l’inutilità della Tav spiegando che non servirebbe a nulla spostare una mozzarella a trecento km all’ora. Il risultato è che sulla Tav, ancora una volta, i passi avanti sono praticamente inesistenti e in due ore e mezza di parole, a parte programmare l’ennesimo nuovo incontro decisivo, il governo ha ribadito che la Tav si farà, si farà probabilmente con il percorso (in gran parte interrato) della Val Sangone, senza spiegare né come, né dove, né perché.
Nelle dodici cartelle offerte ieri pomeriggio a Romano Prodi, a Enrico Letta, ai ministri Di Pietro, Pecoraro Scanio, Bianchi, Amato e Bonino, alla presidente del Piemonte Mercedes Bresso, al sindaco di Torino Sergio Chiamparino e ai sindaci delle due zone da cui dovrebbe passare la Tav (cioè the Susa Valley e the Sangone Valley, come le chiama il New York Times), il presidente dell’osservatorio Mario Virano (commissario nominato dal governo sul “romanzo” Tav) ha semplicemente presentato “un progetto di massima” che, più che chiudere il caso Tav, rimanda semplicemente il problema alla prossima conferenza intergovernativa. Perché dopo due ore e mezza di riunione, l’unico vero dato di fatto è che il commissario Virano ha portato sul tavolo di Palazzo Chigi una serie di elaborati che si trasformeranno (forse) in progetti entro il 23 luglio (termine massimo per i finanziamenti all’Unione Europea, ed Enrico Letta ha ribadito che quei finanziamenti il governo li chiederà); sempre che il 20 giugno, poi, i partner delle ferrovie francesi diano il via libera al pasticciatissimo modello italiano. E se da una parte Enrico Letta esulta, Chiamparino dice di essere soddisfatto, la Bresso promette un nuovo tracciato e Prodi, un po’ confuso, dice “che si va avanti per avere elementi per dare una risposta al Parlamento Europeo”, se Di Pietro quasi litiga con Pecorario Scanio, prima del tavolo di ieri, ascoltando le parole di Paolo Cento, era davvero possibile capire perché al fronte “sì Tav” di Di Pietro (che sul caso è disposto a giocarsi le dimissioni) se ne contrappone ancora uno “no Tav” pronto a infilarsi tra le ruote del governo; è per questo che il sottosegretario all’Economia ha parlato di “un’opera che non si può imporre”, di “consenso delle comunità locali”, di “un prezzo molto alto per il governo” e ha aggiunto che “se il tema arriva in Parlamento io mi schiererò con la Val di Susa”. Non esattamente il genere di discorso che avrebbe voluto sentire chi, come la Margherita, su questo tema ha cercato anche ieri di dettare l’agenda al governo dato e con il suo quotidiano, Europa, consigliava di muoversi “con alta velocità” e di prendere una decisione, una volta per tutte. Ma il risultato di ieri non vale praticamente nulla. Il governo non ha detto quando si farà la Tav, non ha presentato un progetto vero (quello di ieri è più che altro un elaborato), non ha spiegato perché le mozzarelle devono andare a 300 all’ora, ha fissato ancora una volta una data e ha dato ragione a chi ieri pomeriggio suggeriva che Prodi non avrebbe fatto fughe in avanti, che le accelerazioni appartengono al vecchio governo e che di Torino-Lione ancora una volta non se ne parla sul serio, dato che, anche ieri, i tracciati dell’alta velocità non erano neppure all’ordine del giorno. Claudio Cerasa
14/6/07

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