La smania di finire sui tg a forza di “generation pride”
Non che non sia in grado, naturalmente. Anzi, MarioAdinolfi.com sarebbe senz’altro un magnifico segretario, un perfetto rivoluzionario, un vero democratico e un leader indubbiamente carismatico. Se non fosse che i Ds non lo invitano alle feste dell’Unità, se non fosse che il suo ex numero uno – Franco Marini – non si può proprio dire che lo ami, se non fosse che un giovane che da circa dieci anni si presenta sempre come “outsider” dovrebbe iniziare a farsi delle domande (e a darsi delle risposte), se non fosse che Adinolfi crede di poter salire sul trenino del Piddì ispirandosi un po’ al populismo beppegrillesco e un po’ a quel noioso giovanilismo che, più che Blair o Milliband, ricorda per ora i film di Silvio Muccino, chissà: magari qualcuno lo prenderebbe sul serio, visto che come dicono i suoi ex compagni del Ppi (Adinolfi è stato segretario dei giovani popolari: lui si considera un mariniano, Marini non lo sopporta) in fondo in fondo tra le tante cose fatte negli ultimi anni, “questa è certamente la più sensata”. Anche perché, va detto, tra i candidati del Pd, Mario Adinolfi è senz altro quello che ha sfruttato al meglio il delicatissimo periodo delle ultime sostituzioni estive. Come? Scrivendo lettere ai siti Internet, cercando spazio sui giornali di partito, lamentandosi con i direttori dei telegiornali Rai – come successo ieri – che gli avrebbero dedicato solo venti secondi di video in 42 giorni, e bacchettando chiunque parli così così del suo programma e del suo futuro nel Pd. E si dirà che Adinolfi, oltre al post e oltre ai link, c’ha messo la faccia e c’ha messo pure le idee; lui che ha già riempito Roma di manifesti e che ha annunciato la candidatura ben prima che lo facesse Enrico Letta (“otto giorni prima”, ricorda con orgoglio Marione), ed è quindi più che comprensibile il motivo per cui lui, al contrario di Furio Colombo, sia lì tra Rosy, Enrico e Walter a discutere di “democrazia diretta”, di “generazione esclusa” e di futuro dei “giovani”. Quei giovani che pensano, che scrivono, che lottano e che cantano, come suggerisce Adinolfi sul suo blog.
Peccato però che Mario Adinolfi, sempre più investito dalla pericolosissima deriva beppegillesca (siamo “altresì convinti che ‘il vaffanculo day’ possa essere non il punto d’arrivo della grande mobilitazione, ma quello di partenza per condurre la politica nel suo alveo naturale”, scrive il candidato alla segreteria regionale toscana del Pd della adinolfiana Generazione U), di “giovane”, di “outsider”, di “nuovo” o di “generation pride” non sembra avere granché, purtroppo. E’ vero, Adinolfi ci sa fare: ha fatto cose magnifiche, è stato consigliere del ministro Zecchino, è stato portavoce di Willer Bordon e tra le redazioni della Rai, del Popolo, di Radio Vaticana, di Nessuno Tv, di Europa, e di Avvenire (dove non ha lasciato un gran ricordo e della cui esperienza si ricorda più che altro un suo epico litigio con Dino Boffo, da cui fu licenziato), sono comunque dieci anni che fa parlare di sé. Soltanto che sentire Adinolfi parlare di “ventata di novità” e di “nuove forme di democrazia” fa quantomeno sorridere, dato che sarà anche il più grande blogger d’Italia, magari uno dei migliori al mondo, ma chissà perché, tra il Popolo, la Rai e la tv, Marione si dimentica spesso di ricordare che lui, rivoluzionario “uomo nuovo” di centrosinistra, è già stato candidato a sindaco di Roma nel 2001, ha già fondato (con Sergio D’Antoni e con Pippo Baudo) Democrazia europea ed è stato proprio lui a scrivere nel 2003, ai tempi delle elezioni provinciali romane, di “non volersi candidare per dar spazio ai giovani”, quattro anni fa. Ecco: è anche per questo che proprio non funziona l’ingegnosa retorica “dell’outsider” giovane – che canta, gioca, pensa e parla – che combatte contro la vecchia politica, che si lamenta contro i finti giovani del piddì, che non vuol sentir parlare di flat tax capezzoniana e fa di tutto perché almeno nei mesi di sostituzioni estive ci sia una sua idea o una sua parola più apprezzata delle “invasioni delle meduse”, dei “compleanni del Big Mac” e degli istrici “che emigrano al nord”. E se solo ci pensasse un attimo, basterebbe una grande idea, basterebbe una vera provocazione e basterebbe parlare un po’ meno di Grillo, di vaffa, di proud e di generation pride per riuscirci davvero o per finire più spesso sul tiggì, come comprensibilmente chiede. E non che non sia in grado, naturalmente. Solo che per ora se Adinolfi fa meno scalpore di una medusa o di un Big Mac, siamo sicuri che la colpa sia tutta di quei terribili “apparati” e di quei malefici “tiggì”?
Claudio Cerasa
30/08/07
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