Con la classica scusa dell’impatto ambientale, invece che prenderla
a modello, in Italia e in Europa c’è chi vuole mettere il bastone tra le ali
di Ryanair, la compagnia “più amata” e più economica del mondo
Roma. La scusa è sempre la stessa, è la scusa che si classifica sotto la perfetta definizione di “impatto ambientale” ed è la scusa che fiorisce direttamente dalla bocca degli ultimi arrivati nel mondo dei “no”: sono i no fly dell’aeroporto romano di Ciampino e non vogliono Ryanair; o almeno, la compagnia low cost più famosa del mondo, non la vogliono così. Problema: il popolo del no fly, mese dopo mese, è riuscito a farsi fotografare di fronte al secondo aeroporto della capitale (quello, per capire, da cui la mattina alle 6.45 partono i voli Roma-Londra, a quindici euro) a braccetto con i vicesindaco di Roma e Ciampino, con il presidente della Regione Lazio e quindi con il segretario della Cgil di Roma sud, Fabrizio Buratti, convinto che “Ryanair evade i contributi previdenziali e fiscali per i propri dipendenti in Italia e li tiene in un regime di precarietà totale, sotto il ricatto del licenziamento”. Il risultato è che la prossima estate, a Roma, la Ryanair potrebbe anche non esserci più. O almeno, questa è la minaccia del presidente della Ryan, Michael O’Leary, dopo che l’Enac (l’Ente nazionale aviazione civile) ha deciso che, dal prossimo novembre, verrà ridotta del 30 per cento la capacità dell’aeroporto di Ciampino. Che volete che sia? Sono solo quattro aerei al giorno, dice la vicesindaco di Roma, Maria Pia Garavaglia. Sono invece, dice O’Leary, 66 voli in meno a settimana, 500 mila passeggeri in meno l’anno e 125 milioni di euro di incasso annuali. O’Leary ha così fatto ricorso al Tar, ha minacciato di andare via da Roma, ha ricordato che l’Enac aveva già messo il veto sulla rotta Roma-Alghero e ha poi spiegato come quelle accuse di inquinamento – che ricordano tanto le proteste anti Tav – non hanno neppure un vero riscontro, dato che né a Fiumicino né a Ciampino esiste una cosiddetta “scala di rumorosità”. Ecco, magari la Cgil non avrà gradito le parole di O’Leary su quella compagnia di bandiera italiana che, secondo O’Leary, oltre a essere “un gran casino” “potrà essere privatizzata solo senza questo modello supersindacalizzato di compagnia”, ma prima di prendersela con la Ryanair forse bisognerebbe contare fino a dieci e studiarsela un po’, la Ryan. Anche perché è già da un po’ troppo tempo che il signor O’Leary si ritrova i bastoni in mezzo alle ali. Prima, nel 2004, la Commissione europea (quella di Romano Prodi) ha avuto il coraggio di dire che la Ryan aveva ricevuto aiuti non legali in un aeroporto del Belgio (quello di Charleroi), poi, pochi mesi fa, la stessa Commissione, con improvviso spirito liberista, ha intravisto una minaccia monopolistica nell’acquisizione della compagnia irlandese Aer Lingus, e ha bloccato l’operazione (Commissione citata poi in giudizio da O’Leary). Peccato però che la Ryan, più che uno spauracchio, sia piuttosto uno straordinario esempio di come una vera liberalizzazione, come quella dei cieli, funzioni davvero. E pure a basso costo.
E’ così che la Ryan si è inventata i voli low cost europei, è così che ha iniziato a risparmiare non sulla sicurezza ma sui biglietti, i pasti a bordo, i check-in, è così che ha portato un po’ di sana concorrenza nel nostro paese (se Alitalia ha introdotto da qualche tempo dei voli low un motivo ci sarà), è così che pur riuscendo a proporre voli quasi a zero euro, negli ultimi tre mesi, Ryanair, data per giunta in crisi, ha incrementato del 20 per cento i suoi profitti, ha portato le sue azioni a un più 10 per cento, si è confermata la compagnia aerea più puntuale del mondo e quella – in Europa – con la minor media di bagagli smarriti. Ed è per questo che a giugno l’International Air Transport Association ha votato la Ryan come la compagnia aerea più amata al mondo: più di Lufthansa, più di Air France, più di American Airline. Non provate a toccarla. Viva Ryanair.
Claudio Cerasa
15/08/07
giovedì 16 agosto 2007
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