Sarkozy e Hillary, Obama e Letta e poi Tonino e ora pure Walter. Chissà quante belle cose avranno letto prima di caricare i messaggi video su YouTube. Il risultato? Finora è quasi un disastro. Il WSJ spiega perché
Avranno letto parecchie cose prima
di provarci. Avranno letto che lì si è
candidata Hillary, avranno letto che lì si
è messo a ragionare Obama, avranno letto
che così, in Francia, ci si arriva pure
all’Eliseo, avranno letto che ogni anno,
di nuovi, ce ne sono 30 milioni, avranno
scoperto che un giorno sì e un giorno no,
lassù, si trova un Di Pietro “top rated”,
un Romney “most discussed”, un Capezzone
“top favorites”, un Sarkozy “most
linked”, una Merkel “most responded” e
poi, ancora, avranno saputo che a Downing
Street, a Londra, li utilizzano già da
un po’ e che alla White House, negli Stati
Uniti, vanno forte nella first oltre che
nella Second, di life. E si saranno sentiti
dire, un po’ tutti, che su via, basta: dovete
“riavvicinarvi ai cittadini”, dovete
“rivoluzionare la democrazia”, dovete
“svecchiare la politica”, dovete “rivolgervi
ai giovani”, dovete “condividere”,
“aggregare”, “scaricare”, naturalmente
“caricare” e avranno dunque capito che,
per farlo, non basta il blog di Pecoraro
Scanio, non basta la chat di Gentiloni,
non basta il post di Mastella e non basta
più un iPod, un Podcast o un iPhone. No,
no, no: qui serve una svolta, serve la rete,
serve l’online. Qui, signori, serve un
video: serve YouTube. E così ha fatto Enrico
Letta (per la sua candidatura), così
ha fatto Tonino Di Pietro (per il suo
blog), così ha fatto Daniele Capezzone
(per il suo network), così ha fatto Sarkozy
(per l’Eliseo), così continua a fare la cancelliera
Merkel (in Germania) e così
hanno già fatto, e continuano a fare, la
signora Clinton e il signor Obama, cioè i
due democratici americani che non solo
hanno deciso di affiancare alla propria
campagna elettorale (reale) un altrettanto
e solida campagna (virtuale), ma che,
poi, hanno fatto di più e lo hanno fatto la
scorsa settimana quando hanno scelto (e
non solo loro) di discutere di politica, di
Darfur, di Iran in diretta tv (sulla Cnn)
ma con le domande che arrivavano proprio
da YouTube. E funziona così, in
America, funziona così a Londra, funziona
così con la web tv di David Cameron
(il leader dei conservatori inglesi), funziona
così con l’“online vision” del New
Labour e funziona così con la video-chat
di Sarkozy e funziona, ma un po’ meno
bene, qui in Italia, con la tripla w prodiana,
con quel sito del premier italiano
dove – per dire – non c’è radio, non c’è
chat, non c’è tv, non c’è Cnn e non c’è
YouTube e dove il messaggio più forte,
quello più gagliardo, quello più giovanile
non è un video, è solo un audio: “Gennaio
2006: dichiarazione di Romano Prodi
sulla vittoria dell’Unione alle comunali
di Messina”. E poi, naturalmente, ci
sono tante, tante chiacchiere. Ci sono i
professori da post, e gli strategist da
chat. Quelli che parlano solo “di digital
revolution” e quelli che ne parlano convinti
e che ne parlano allarmati e che dicono
che il futuro è qui, che è già iniziato
e che è già arrivato, perché se il New
York Times scrive di “death of the print
edition” (la famigerata morte della carta
stampata, morte magnifica: visti i dollaroni
del Journal di Wall Street), vedrete,
presto toccherà anche a voi, toccherà
alla tv, perché il futuro è sull’online e il
futuro è proprio su YouTube. Bum! Non
esageriamo. Perché, è vero, sottovalutare
l’argomento potrebbe essere un errore,
ma sopravvalutarlo, oltre che a essere
ingenuo, è anche un po’ pericoloso.
La televisione non morirà, naturalmente.
Al massimo, migliorerà. E migliorerà
grazie all’online e migliorerà magari
proprio con YouTube. Ma non ora. Non
ora che su, su, su, in cima alle classifiche
di YouTube non ci sono né Tonino, né
Hillary, né Enrico, né Obama, ma c’è una
“Lama Dance”, con un bel lama (sì, proprio
il magnifico cammellino sudamericano)
che balla, suona e pure canta e
con un video – quello del lama – che vale,
come clic, il triplo di un video sul Pd.
Ma se proprio li vogliamo utilizzare,
questi video, meglio utilizzarli bene e
meglio studiarli un po’ di più. Meglio sapere
che il meraviglioso mondo dell’online
(come scritto dal Washington Post)
ha un impatto poco superiore al 4 per
cento sul peso di una campagna elettorale.
Meglio sapere che a destra, ancor
prima che a sinistra, non va così sottovalutato
il web, dato che (come ricordato
dal Post) sugli undici milioni di utenti
YouTube, oltre a cinque milioni di “indipendenti”,
ci sono tre milioni e 300 mila
repubblicani e tre milioni e 100 mila democratici.
Ed è proprio per questo che
c’è chi, come Patrick Ruffini (ex consigliere
di Bush nella campagna elettorale
2004), suggerisce a Rudolph Giuliani,
a John McCain e a Mitt Romney, di farle
anche loro le primarie un po’ online e
un po’ in tv e di fare anche loro, a settembre,
quel dibattito on air sulla Cnn
ma con le domande che arrivano dal popolo
YouTube. E così, negli stessi giorni
in cui Patrick Ruffini ha lanciato la campagna
“save the debate” (salvate il dibattito),
anche il Time di Londra si chiede
se davvero i repubblicani diranno no
a YouTube (Will the Gop say no to You-
Tube?), si chiede se davvero i politici
vorranno continuare a non pensare a
quella frazioncina di “voto giovane” (lo
“youth vote”) e si chiede se davvero si
vuol continuare a confondere il Tube di
Google con il MySpace di Murdoch (sorvolando,
naturalmente, sul fatto che in
alcuni paesi è già un miracolo che si
sappia cosa sia questo dannato aggregatore
di blog di nome MySpace). “Qualcuno
dovrebbe spiegare che qui, nel mondo
di YouTube, gli e-lettori con la ‘e-’ sono
molto più svegli degli elettori normali.
E se un video è fatto male – dice al Foglio
Jay Dedman, un giovane e famoso
esperto di video online americano – se
qualcuno dice una bugia, se qualcuno
non è coerente, qui ci mettono un attimo
a scoprirlo. Ci dicono, i politici, che non
hanno tanto tempo da perdere con l’online?
Come dite, prego? Abbiamo sentito
bene? Ma per favore, non scherziamo”.
Si parla di tube world. E ne parla il
giovane Dedman così come ne aveva
parlato sul Wall Street Journal, lo scorso
17 maggio, l’editorialista Micheal
Totty quando, con un lungo editoriale
sul Tube catodico, spiegava “how to be a
star in a YouTube world”: come essere
una star al tempo del YouTube world. E
il senso di quell’editoriale, Totty ce lo
riassume così: “Semplice. Si deve essere
coerenti, si deve arrivare subito al
dunque, si deve individuare un target, si
deve creare un network, si deve far percepire
un po’ di beauty, un po’ di bellezza
e si deve provare a essere belli, disinvolti,
chiari, precisi. Ecco, soprattutto disinvolti”.
Disinvolti.
E allora tu pensi ai fantastici video di
Sarkozy, pensi alla buona tv di Blair,
pensi alle prossime chat di Brown, pensi
ai super movie di Hillary e poi pensi
all’Italia e pensi al video di Letta, pensi
alla poltroncina di Di Pietro, pensi
all’“esclusivo” di Corona e pensi che,
con tutti quei video e con tutti quei messaggi,
ecco, forse Internet non è esattamente
un vero e proprio “viagra della
politica” (come da definizione dell’onorevole
Antonio Calmieri, di Forza Italia),
e pensi che, forse, il tube world italiano,
più che creare nuove star, rischia di essere
il perfetto esempio di come riuscire
a non essere una star del Tube. E lo
vedi con Enrico. Lo vedi con Tonino e lo
vedi con Fabrizio.
Che più bianco non si può. L’effetto è
proprio quello, quello del Dash: con la
signora che risponde alle domande, con
la signora che sorride e con la signora
che così, dà risposte che “spiazzano”. Risposte
secche. Decise. Rivoluzionarie.
Con la signora che si fa una domanda e
poi si dà una risposta e con la signora
che non scambierebbe mai il suo fustino
con gli altri due fustini. Perché più bianco
non si può. E allora eccolo qui il video
del giovane Letta. Con un gabbiano
bianco, con il cielo azzurro, con un piccolo
porto, con un mare blu, con una piscina
blu, con una barca blu, con un cielo
blu e quindi sì: la libertà, il gabbiano,
i ragazzi, la speranza, la nave che salpa,
un progetto che parte, i giovani che salgono
su e sono felici, davvero felici, parlano
in napoletano, in romano, in emiliano,
ballano la tarantella, sarebbero
pronti a mangiare la pizza, avrebbero
voglia di suonare il mandolino ma comunque
loro sì che sono felici, loro sì
che fanno tante domande, loro sì che
cercano tante risposte, loro sì che hanno
tanti dubbi ed Enrico, eccolo lì il giovane
Letta. Fermo, concentrato, seduto di
fronte a un computer. Esatto. Proprio come
te che mi guardi su YouTube. Non lo
vedi? Io, te, il partito, i democratici, siamo
così. Guarda, guarda bene: io guardo
il computer, tu guardi il computer. Proprio
così: sono uno di voi e anche io sono
qui di fronte al pc a studiare, come
voi, a cercare un leader, come voi, a
guardare lo spazio aperto, il cielo blu, a
cercare la libertà, a guardare quei ragazzi
giovani che non aspettavano altro
questo video su YouTube. Perché – si
legge sul sito di Enrico Letta – “Enrico ti
ascolta”, “Enrico ti risponde” e poi Enrico
è lì che si fa una domanda (cosa servirebbe
al partito?) ed è lì pronto a darsi
una risposta: ecco cosa serve al partito;
e con quella camicia un po’ aperta,
quel collo senza cravatta e con Enrico
che parla di “Erasmus”, che ama Mandela,
che legge Kundera, che guarda
Blade Runner, che ordina solo su Amazon,
che cerca solo su Google, che chatta
solo su Skype, che compra solo su eBay
e che, magari, il prossimo libro “Morire
per Maastricht” lo correggerà in un “Morire
giovani per Maastricht”, il prossimo
suo “Dialogo Intorno all’Europa” non lo
farà certo con Lucio Caracciolo, ma lo
scriverà, quantomeno, con il supergiovane
Mario Adinolfi. E allora Enrico finisce
di guardare il suo video, si fa tante
domande, si dà tante risposte e scopre
che c’è chi si emoziona (“Enrico facci sognare!”),
chi lo provoca (“quel gabbiano
sembra che abbia tanta voglia di farsi
una ca**ta”) e chi lo incoraggia (“Enrico,
sei forte, grazie… ma voterò comunque
Walter! Però mi piaci”). E che poi, Enrico,
fai bene a giocare tutto sul nome e fai
bene a non sfruttare quel magnifico cognome,
e fai bene a provarci, a metterci
la faccia, con il tuo gabbiano, il tuo Kundera
e il tuo firma per Enrico, il tuo scrivi
per Enrico; ed è vero: il tuo video non
è ancora ai livelli né di una scazzottata
liceale, né di una pomiciata ginnasiale,
ed è vero che per fortuna non canti, non
balli e non suoni (quel lama però è davvero
fantastico), ed è vero che il tuo Bruce
Springsteen, quello che ami, è sempre
giovane ed è sempre uno spasso. Anzi,
permetti: è una figata, uno sballo, un
trip. Ecco, però attento, Enrico. Attento
con tutto quel blu, con quel tuo voler
partire in libertà, con tutti quei giovani
vestiti di azzurro, con quel tuo scendere
in campo con un video; attento che poi,
magari, qualcuno si confonde, attento
che i Ds si emozionano, attento che Travaglio
si spaventa, attento che, magari,
poi l’Unità parla di te, parla del tuo video,
della tua libertà, del tuo blu, del tuo
magnifico cognome e così, sul più bello,
ci mette pure la tua foto, una foto bella,
una foto grande, con il gabbiano che non
si vede ma che comunque si capisce che
c’è. Però, dannazione, quella didascalia:
Mercoledì 25 giugno, 2007, Unità: Gianni
Letta annuncia la candidatura attraverso
il sito Internet. Foto Ansa.
Aiuto, salvatemi. Povero Tonino. In
fondo era stato proprio lui il primo a
“sfruttare la popolarità del video sharing”,
era stato lui il primo a “comunicare
con i cittadini”, era stato lui il primo
ad aprire i “nuovi scenari per la comunicazione”,
era stato lui a trasformare
la “politica in trasparenza”, era stato
lui ad aver “incontrato il favore dei
lettori”, era stato lui il primo ad aprire
un blog, era stato lui il primo ministro
italiano che, dopo il blog, si era dato anche
al Tube. E lo aveva fatto otto mesi
fa, quando ancora Di Pietro parlava di
durissime battaglie politiche, quando
ancora, il povero Tonino, faceva davvero
tremare i polsi solo con i suoi occhi,
e quando ancora, Tonino, diceva di voler
pensare ai giovani, diceva di voler
tutelare il cittadino, diceva di voler salvare
l’Italia e diceva che, per l’amor di
Dio, le autostrade devono restare italiane.
E lo diceva così, Tonino, lo diceva in
piedi, lo diceva su YouTube, e lo diceva
sorridente, sicuro, un po’ come Beppe
Grillo e un po’ come un Al Gore, ed era
gagliardo, in piedi, di fronte a un tricolore
e a una bandiera dell’Unione europea
e ancora ci credeva, ancora si
sforzava e quasi ballava e quasi cantava,
ed era lì, e diceva che l’italianità
non c’entra con Abertis (e vabbè), diceva
che si deve combattere, che si deve
pensare al pedaggio del cittadino, ed
era ordinato, sembrava quasi pettinato
e i suoi fan speravano (“siiiiiiiiiii: sei
l’ultimo degli onesti!!!!”), poi esultavano
(“Evviva Di Pietro! Evviva Internet!”),
quindi sognavano (“Tonino, non
vorrei mai svegliarmi da questo sogno”)
e Di Pietro era contento, sembrava
fiero, sembrava felice, continuava a
raccontarsi ai suoi cittadini (anche in
inglese), continuava a narrare dei
“suoi” Consigli dei ministri, e ci provava
con i costi della politica (Council of
Ministers: The costs of Politics), ci provava
con le intercettazioni, (Council of
Ministers. Intercepting Notables), ci
provava con l’effetto Felice Caccamo
(con una terribile immagine di Palazzo
Chigi alle spalle), ci provava con le liberalizzazioni
(Council of Ministers -
Liberalizations), e c’ha provato pure
con il partito nella Second Life e poi
però, Di Pietro, ha iniziato a chiedere
aiuto. Salvatemi. Fatemi uscire da questo
tubo. E lo si è capito quando, così,
dopo aver provato a salvare i risparmi
dello stato (Council of Miniters - the
State is saving money), Tonino scopre
che non lo vogliono al Pd, scopre che
nella Second life ha un concorrente
della First life, scopre che Mastella ha
un blog, scopre che Mastella bacchetta
Sgarbi (che l’aveva paragonato a Paris
Hilton) e poi così, arriva all’ultimo video,
Tonino. Un video drammatico, con
Di Pietro che guarda il Tube, con la
cravatta stropicciata, i capelli spettinati,
senza bandiera dell’Unione, senza
ballare, senza cantare e messo lì, seduto,
distrutto su un divano e con l’operatore,
esausto, che si sveglia per un paio
di zoom e con Tonino che parla dell’ennesimo
Consiglio dei ministri, dell’ennesima
riunione, dell’ennesima litigata,
dell’ennesimo “grappolo di decisioni”
e poi sembra voler chiedere rinforzi,
dice di voler sostituire i “suoi direttori
generali”, anzi dice di averlo già
fatto, dice che così si evitano “le tentazioni”
e per un attimo tremano i polsi
e tremano un istante, prima che finisca
tutto, prima che Tonino chiuda il Tube,
accenda il blog, apra il post e trovi gli
stessi fan che lodavano il loro eroe che,
ora sono perplessi, stanchi, delusi: “A
Tonì!!!!! State governando da
schifo!!!!!!”. Aiuto! Salvate Tonino!
L’ultimo dei supereroi. Il video inedito,
introvabile, unico, inestimabile e naturalmente
esclusivo, deve essere girato
con una telecamera piccola piccola piccola,
nascosta in una borsetta, incassata
tra le lenti degli occhiali e deve essere –
il video – serio, molto serio, deve essere
unico, deve essere uno scoop, deve essere
trasmesso al tg delle 20, deve passare
allo speciale delle 23 e poi deve essere
un po’ mosso, deve essere un po’ rubato,
deve essere un po’ sporco e sì, diciamolo:
un po’ zozzo. Deve essere un video
che deve rubare l’anima, deve essere un
video che si porta a casa lo scalpo, deve
essere un video che ti ruba un ricordo e
deve essere così: un botto, un colpo, uno
scoop sennò al massimo finisci su You-
Tube. Ed è anche così che (come successo
a Fabrizio Corona) si finisce su Vanity
Fair, ed è per questo che “il nostro inviato”
non ha più alcun senso se non
sarà almeno “un nostro intrufolato”, un
“nostro infiltrato”. E non sei proprio
nessuno se sul cellulare non hai una basilica
che crolla, se non hai una tragedia
da documentare, uno tsunami da raccontare,
un attentato da esorcizzare o
magari un divorzio da riportare. Ed è così.
Funziona così ed è la sindrome dell’esclusivo,
il desiderio dell’online, l’adrenalina
del “live”, l’eccitazione della tua
serratura in diretta tv. “Perché se prima
dell’immagine c’era il terrore, se prima,
di fronte al proprio volto su uno schermo,
c’era la sacralità, ora l’immagine
non la si doma più – dice al Foglio il critico
televisivo Aldo Grasso – ora invece
si prova a trovare un po’ di carisma con
un video, si pensa di diventare veri politici
con YouTube e si pensa che sia necessario
fissare il proprio volto da qualche
parte e si pensa che bisogna immortalarlo,
quello scalpo. Che bisogna filmarlo.
Che bisogna contemplarlo. Ma dico.
Che senso ha? E’ politica, questa? E’
tv, quella? Non lo si capisce che dopo lo
scalpo resta poco? Che resta solo un bel
cranio vuoto e completamente rasato?”.
E McLuhan, grazie al cielo, non c’entra
nulla: perché non è vero che il medium
è il messaggio, è che se hai un medium
così fico, una telecamera così nascosta,
una perizia così focosa, il messaggio non
serve più. Non serve a nulla, serve solo
il contenitore, serve solo la camera nascosta,
serve solo il recipiente e va bene
pure se sopra, sul recipiente, invece che
“press” c’è scritto trash. Perché tu comunque
sei lì. Sei in diretta. Sei live. Sei
con me. Sei qui con mia moglie. Sei qui
accanto a Katrina. Sei qui accanto all’uragano.
Sei qui nel mio reality. Sei qui,
con quell’immagine che ogni tanto è utile,
che può servire per beccare un terrorista,
per incastrare un ladro, ma spesso,
invece, serve solo per un “mandateci le
vostre immagini” del Corriere.it o un
mandateci i vostri video di
Repubblica.it. E il rischio con i divi, con
le star, con Corona, per quelli che riescono
a diventare una star del Tube
world, in questo modo, è quella di finire
così, con quell’immagine un po’ sporca,
un po’ rubata e diciamolo: un po’ zozza.
Perché, naturalmente, non si dice mai:
“Hai visto che bel video che ha fatto su
YouTube”, ma si dice solo: “Visto? Ha
fatto un video su YouTube”. Che c’era
dentro? E chi se lo ricorda. Ed è per
questo che un lama ballerino vale di più
di un video sul Pd. E’ per questo che un
bambino in tribunale vale più di un polso
di Tonino. E’ per questo che anche
Walter, che ha da poco lanciato il suo sito
e che dice di essere pronto per You-
Tube, dovrà star attento a non rimanere
intrappolato, dovrà stare attento a evitare
che lo star system dei nuovi video elimini
le star dei vecchi video, dovrà star
attento all’effetto “video killed the video
star”; e poi, se davvero si è pronti a sentirsi
un Walter “top rated” e un sindaco
“most risponded”, non dovrà fare, Walter,
come ha fatto da Fabio Fazio, qualche
tempo fa, con un video (in cui diceva
“andrò in Africa”) che finì su YouTube
e che poi fu misteriosamente cancellato.
Perché potrà pur iniziare a parlare
di “nord” (come Howard, premier australiano,
pochi giorni fa, sempre su
YouTube), potrà iniziare con i suoi post
su Ghandi, le sue chat su Kennedy, i suoi
forum sui taxi. Potrà far bella politica
anche con la tripla w. Però, prima, caro
W, almeno su YouTube lo dirai che in
Africa non ci andrai più?
Claudio Cerasa
04/08/07
sabato 11 agosto 2007
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