Iprincipali rischi nel fare giornalismo in una televisione
privata sono tre. Primo: sentirsi intelligenti come
Darwin Pastorin e cominciare a citare libri, poeti,
romanzi, film per fare una trasmissione intelligente e
colta pur non essendo né intelligenti né colti. Secondo:
sentirsi come Aldo Biscardi e non avere né i capelli
giusti per farlo né gli ospiti giusti per rendere incomprensibile
qualsiasi dialogo superiore ai ventidue
secondi. Terzo: avere una valletta che prova continuamente
a dimostrarti che lei no, non è solo una valletta
e guardami e guardami e guardami ancora, non vedi,
stupido, che non sono solo una valletta e che invece
sono già pronta per un “Distretto di polizia”?
La differenza tra un conduttore come Massimo Ruggeri
e un altro che su una rete schierata e con una trasmissione
schierata alla fine del programma alza il
braccino e fa “Aléé” è che Massimo Ruggeri (56 anni,
giornalista, conduttore da dieci anni della trasmissione
sportiva “La signora in giallorosso”) per distinguersi
dagli altri non ha bisogno di inventarsi tratti distintivi
per farsi riconoscere. Non ha bisogno di tingersi i
capelli di biondo per far parlare un po’ di sé. Non ha
bisogno di interrompere i suoi ospiti per far capire
che qui, comunque, sono io che comando.
Provate voi a fare un programma sportivo di successo
dove non c’è nessuna bomba di mercato, dove
non ci sono nani e ballerine, dove gli opinionisti non
si mettono a fare i cabarettisti, dove i comici non si
mettono a fare i commentatori e dove le vallette non
si mettono a fare le movioliste. Provate voi a fare un
programma semplice semplice e riuscire a non essere
faziosi pur essendolo per definizione. Provate a
immaginare un programma che si chiama “La signora
in giallorosso” con i conduttori che si sa da che
parte stanno, dove tutte le immagini si sa da chi sono
manipolate, dove tutte le parole si sa perché sono
manipolate, dove tutti i giornalisti, ospiti, conduttori,
vallette, registi e produttori sono dichiaratamente romanisti,
dove fai una trasmissione che parla di Roma
e quando si nomina la Lazio scatta il bip, o si abbassano
le luci, o si mettono le dita nelle orecchie, o si
fanno smorfie, o ci si tocca le palle. Provate voi ad
avere successo con un programma in seconda serata
su una rete locale romana (T9) senza aver bisogno di
mandare in onda nessun film porno (ci sono anche
qui, cominciano poco più tardi ma non sono molto
belli, dicono). Provate a immaginare una trasmissione
così faziosa, così schierata, così di parte perché dichiaratamente
di parte, che riesca però a non dire
banalità, che riesca a farsi capire senza urlare e, che
riesca a non cercare l’ospite che faccia un po’ di audience,
soltanto perché mio dio che risate dice “cacca”
o “pipì”. Provate voi a trovare una trasmissione
che pur essendo il massimo della faziosità dichiarata
riesca a non essere faziosa. O a essere obiettivi dopo
una partita in cui hanno giocato due squadre che
si chiamano Roma e Lazio (partita finita 0-3), riuscendo
non solo a non essere banali e scontati ma soprattutto
riuscendo a non nominare praticamente mai la
parola “Lazio”. Perché alla “Signora in giallorosso”
non si parla mai di Lazio. Nel senso: la Lazio certamente
esiste, la Lazio certamente a volte gioca, la Lazio
incidentalmente a volte gioca anche contro la Roma,
la Lazio fortuitamente a volte vince pure contro
la Roma e la Lazio involontariamente a volte gioca
anche meglio della Roma. Ma qui di Lazio non si parla
e se dopo un derby finito tre a zero per “Quelli lì”,
la Roma non ha fatto nemmeno un gol, il derby è come
se fosse finito 0-0 e quindi non ci sono immagini
da far vedere. Punto.
L’unica volta che Massimo Ruggeri è stato oscurato
– ma solo un po’ – è stato quando all’improvviso in trasmissione
di fronte a lui, di fronte a Francesca Ferrazza
(Repubblica), di fronte ad Alessandro Catapano
(Gazzetta dello Sport), si presentò Walter Veltroni che
in un solo colpo riuscì a convincere tutti dimostrando
empiricamente di essere della Roma senza nulla voler
togliere alla sua simpatia per la Lazio, non escludendo
il suo amore per la Juve, senza voler venir meno
alla sua passione per il basket che però non è certo
meno importante della pallavolo. Il tutto in poco più
di mezz’ora. Per il resto Massimo Ruggeri piace e piace
tanto perché non interrompe mai gli ospiti, perché
fa le battute ma non fa il battutista, parla ma non dà
sentenze, fa il tifoso ma senza essere fazioso e soprattutto
fa una trasmissione in una rete privata che non
prova continuamente a dimostrare di non essere una
trasmissione da tv privata.
Ad Alberto D’Aguanno piaceva tantissimo.
Claudio Cerasa
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