sabato 9 dicembre 2006

Foglio, sabato 9 dicembre. "Stare a bordo campo non è facile nemmeno per i giornalisti. Maestri è perfetta"

Uno dei più grandi rischi nel giornalismo sportivo
televisivo (specie tra i bordocampisti) è quello
di essere contagiati da quella che nell’ambiente
può essere classificata come “sindrome Varriale”.
La sindrome Varriale prende il nome dal pur bravo
giornalista Rai, Enrico Varriale solito – nel corso
delle sue brillanti interviste postpartita – sventolare
con movimenti impercettibili il microfono sotto la
bocca dell’intervistato, come se fosse un cartellino
giallo. Varriale crea, quindi, un effetto grazie al quale
le parole del giornalista, comunque bravo, si capiscono
alla perfezione, mentre di quello che dice l’intervistato
non si capisce assolutamente nulla.
Una delle poche giornaliste non affette dalla sindrome
Varriale si chiama Martina Maestri. Martina
Maestri ha trentatré anni, lavora per Sky, ha scritto
un libro (su sport, Niger, Mali e Sarajevo), è figlia
d’arte, scriveva di sci, ora parla di calcio, ha i capelli
corti, sorride poco. Si diverte ma non disturba mai,
interviene ma non interrompe mai. Martina Maestri
è una delle migliori giornaliste sportive italiane perché
riesce a essere sportiva e riesce a essere donna
senza essere costretta a far notare – tra una domanda
e l’altra – di essere effettivamente una donna e di
essere effettivamente una bella giornalista. Martina
Maestri non è una di quelle giornaliste sportive che
parla di sport ma poi sa che deve sorridere, sorridere
tanto, perché sennò lo share non aumenta. Non è
una di quelle giornaliste sportive che vuole dimostrare
di non essere solo sportiva, di non essere solo
bella, di non essere solo bordocampista. Per capire,
Martina Maestri non è una di quelle giornaliste sportive
che per dimostrare di non essere solo una giornalista
sportiva, parte e va a intervistare Gheddafi,
sotto la sua tenda, in Libia. Martina Maestri, assieme
a Fabio Caressa, Giuseppe Bergomi e Stefano De
Grandis, fa parte del miglior quartetto italiano delle
telecronache sportive, ma non è una di quelle bordocampiste
che saltella impaziente per dire “ehi, ci
sono anche io, ci sono anche io, ci sono anche io, datemi
la linea datemi la linea, fatemi parlare”, come
invece fanno quasi tutti gli altri suoi colleghi, soprattutto
in Rai.
Perché, comunque, il bordocampista è uno dei
ruoli più difficili nel giornalismo sportivo. Perché
non è semplice stare accanto a una panchina e non
sentirsi allenatore, stare in campo e non sentirti calciatore,
stare in tv e non sentirti – anche tu – un po’
telecronista. Non è semplice stare così vicini al
quarto uomo e non sentirsi più preparati dello stesso
quarto uomo nell’identificazione dei minuti di recupero
da assegnare a fine gara (“scusa Marco, secondo
me i minuti erano sei e non cinque”). E, ovviamente,
non è neppure semplice mantenere una certa
lucidità dopo aver interagito con i giocatori discutendo
della partita appena conclusa che è normale
sia stata dura perché il mister ha ragione che ci sono
stati due gol in fuorigioco però l’arbitro ha condizionato
i gol ma noi non siamo qui a parlar male degli
arbitri.
La differenza tra Maestri e molte delle sue colleghe
sportive è che quando guardi Martina Maestri
prendere il microfono in diretta per intervistare Moratti
prima di un derby, Cannavaro dopo la finale dei
Mondiali, Carraro prima del decreto Pisanu, Moggi
prima di Moggiopoli, non pensi mai “però, com’è
brava questa ragazza”. Pensi, invece, “però, che bell’intervista”.
Perché, a differenza di molte altre sue
colleghe, Martina Maestri non è la cronista in quota
rosa che prima di capire di che cosa sta parlando sei
costretto a fare i conti con il regista che stringe sulle
sue labbra o sulla sua scollatura o sulle sue gambe
o sui suoi occhi. Martina Maestri è, invece, una di
quelle giornaliste che riesci ad ascoltare senza essere
obbligato a pensare che lei, comunque, potrebbe
intervistare in qualsiasi momento chiunque altro,
che lei capisce di calcio molto più di chiunque altro,
che lei s’intende dei minuti di recupero anche più
del quarto uomo, che lei di tattica ne sa più dell’allenatore
e che lei, comunque, se in quel momento
non sta intervistando Gheddafi è solo per puro caso.
Perché Martina Maestri è una delle pochissime giornaliste
sportive (televisive) che – pur essendo molto
bella – viene apprezzata perché parla meno di chi
sta intervistando. Perché Martina Maestri viene apprezzata
soprattutto perché è brava.
Claudio Cerasa

Nessun commento: