giovedì 26 novembre 2009

La Presa di Roma sull'Opinione

Claudio Cerasa, 27enne caporedattore del quotidiano “Il Foglio”, è una delle migliori firme emergenti del panorama giornalistico italiano. Già autore, nel 2007, del libro “Ho visto l’uomo nero. L’inchiesta sulla pedofilia a Rignano Flaminio tra dubbi, sospetti e caccia alle streghe” (Ed. Castelvecchi), lettura obbligata per la comprensione della famigerata vicenda giudiziaria di Rignano Flaminio, Cerasa ha da poco fatto uscire la sua seconda opera, “La Presa di Roma” (2009, Ed. Rizzoli), che presenta a L’Opinione.

Che cosa racconta “La presa di Roma”?

La presa di Roma è un’inchiesta sulla rivoluzione sotterranea di Roma. Su tutto quanto quello che è successo dietro le quinte nella Capitale non soltanto negli ultimi diciotto mesi di governo alemanniano ma anche negli anni di Rutelli e di Veltroni. La Presa di Roma è la storia della rivoluzione sotterranea di una città governata non soltanto dalla politica ma anche da costruttori, imprenditori, palazzinari, tassisti, centri sociali di destra ed è la cronaca di quello che negli ultimi tempi è diventata Roma: un vero e proprio laboratorio politico in cui le dinamiche interne hanno sempre più un risvolto nazionale. Roma è un trampolino di lancio per coltivare ambizioni politiche future. Veltroni e Rutelli hanno costruito, o almeno hanno tentato di costruire, qui nella Capitale la propria rete di potere. Per chi non se ne fosse accorto, Alemanno ha iniziato a fare la stessa cosa.

Che cosa L’ha spinta a scegliere questo argomento, dopo aver trattato - in maniera magistrale - il caso di Rignano Flaminio nel Suo primo libro?

La presa di Roma è un’inchiesta come lo era il libro su Rignano. Sono due esempi chiave di due realtà molto significative del panorama politico italiano. Rignano è l’esempio di quello che succede quando un’inchiesta giudiziaria viene costruita con difficoltà e quando le indagini vengono frullate nel circuito, o meglio, nel circo mediatico giudiziario. Roma, come scrivo all’inizio del libro, è invece l’esempio di ciò che accade quando i monumenti di una città durano troppo a lungo. Le parole sono di Andy Warhol, e a mio avviso spiegano bene molto di quello che è successo a Roma negli ultimi anni.

Chi comanda, oggi, nella Capitale?

Quando la politica non ha la forza necessaria per governare in totale autonomia capita che è più facile riconoscere chi sono i protagonisti che comandano da dietro le quinte. Lo scrivo nell’introduzione: “La Roma di oggi è come un fiume dopo la tempesta: il letto del torrente svela chi ha resistito alla piena e chi no, e rivela chi l’onda l’ha patita e chi l’ha dominata.

Dopo il subbuglio, le acque tornano trasparenti e le cose appaiono più nitide”. Oggi nella Roma di Alemanno le realtà che hanno più peso sono quelle dei circoli sportivi, dei costruttori, degli imprenditori. Due nomi su tutti: Francesco Gaetano Caltagirone e Luigi Abete.

In che modo è cambiata, Roma, dalla storica vittoria di Alemanno? Quali sono state, a Suo avviso, le chiavi del successo del candidato del centrodestra (e quelle dell’insuccesso di Rutelli)?

La chiave del successo di Alemanno è stata quella di aver conquistato elettori di sinistra. È un interessante rivoluzione quella del sindaco. A Roma è successo che le vecchie periferie, quelle legate alla tradizione comunista, quelle che votavano per Petroselli prima ancora che per Veltroni, pur rimanendo de sinistra hanno scelto un sindaco che parlasse un po’ il loro linguaggio. In altre parole: le chiavi dell’insuccesso del centrosinistra sono tutte spiegate nel primo capitolo del mio libro. E non è un mistero che la vittoria di Alemanno è stata la vittoria contro la sinistra che ormai governava solo su quel quadrilatero fighetto e devoto agli aperitivi che esiste attorno a Campo dè fiori.

Quali effetti ha avuto sul centrosinistra romano, per la prima volta privo del potere dopo quindici anni? E, di riflesso, quali sul centrodestra?

Il centrosinistra romano è uscito rivoluzionato, e una volta tolto lo scettro del padrone della città a Walter Veltroni ha affidato la presa di Roma al suo più grande rivale: Massimo D’Alema. La destra invece si trova nelle condizioni di poter lavorare senza troppa fretta per costruire una terza via di pensiero nel Pdl. Una cosa alternativa sia a Fini sia a Berlusconi. Perché Alemanno a questo punta: succedere al Cavaliere.

Cosa ha significato, per la scena nazionale, la vittoria di Alemanno? La sua vicenda - e la realtà romana - possono essere utilizzate come chiave di lettura per analizzare lo scenario nazionale (o eventuali avvicendamenti futuri)?

Assolutamente sì. Alemanno è riuscito a comportarsi come una sorta di Prodi di centrodestra. Ha avuto l’abilità di diventare sintesi felice di tutte quelle realtà della destra romana, anche di quelle più estreme sia chiaro, che nel corso degli anni erano state confinate nel silenzio delle catacombe e che ora si sono invece trovate tutte rappresentante nel nuovo mondo alemanniano. C’è un po’ di tutto nel mondo di Lupomanno. Ci sono fascisti e post fascisti. Ci sono tassisti e vescovi. Ci sono imprenditori e costruttori. E a volte, guardando a fondo, si scopre che accanto a lui ci sono anche un bel po’ di comunisti.

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