C’è una ragione precisa per cui l’elezione di Roberto Morassut alla segreteria laziale del Partito democratico ha un interesse politico che va ben oltre i confini del Raccordo anulare. Vista dai veltroniani – dopo la riuscita manifestazione del Circo Massimo, dopo l’accordo sulla Vigilanza Rai, dopo il successo nella scelta di Alberto Stramaccioni come numero uno del partito a Perugia – la nomina dell’ex assessore del comune di Roma è uno dei segnali chiave per capire il momento positivo in cui si trova il segretario democratico. Al coordinamento del Pd regionale, Morassut è stato scelto da una maggioranza schiacciante: 264 delegati hanno votato a suo favore, 54 contro, 17 hanno lasciato bianca la scheda e 23 l’hanno annullata. Risultato: 73 per cento dei consensi, modello Roma che resiste, dalemiani tecnicamente sconfitti e veltroniani al comando nella terra di W. Dietro a questi risultati, però, si nascondono alcuni aspetti che dimostrano come lo scontro tra il mondo di Max e quello di W. non sia affatto un’invenzione giornalistica. Tutt’altro: il nuovo segretario del Pd laziale non è stato votato né dai dalemiani, né dai lettiani né dai bindiani, e se quel 73 per cento di consensi potrebbe far credere che quello di Morassut sia stato un successo pieno, c’è invece un dato che non può essere sottovalutato. “Tra assenti e contrari, il 47 per cento dell’assemblea nei fatti non ha votato per Morassut”, ha ricordato ieri Claudio Mancini, assessore regionale e uno dei più fedeli dirigenti dalemiani nel Lazio. Nelle stesse ore il braccio destro di D’Alema – Matteo Orfini – aggiungeva che continuare a “dirigere un partito così è un errore drammatico”.
Comunque la si voglia vedere, la nomina di Roberto Morassut rientra in una strategia programmata da Walter Veltroni alla fine della scorsa estate, quando – per preparare al meglio le elezioni del 2009 – l’ex sindaco di Roma aveva confessato ai suoi collaboratori gli obiettivi da raggiungere entro la fine dell’anno: “Ripartire da Roma e dal Lazio, conquistare la base e indebolire l’opposizione alla segreteria”. Ma l’immagine dell’elezione laziale dimostra ancora una volta che la solidità della leadership veltroniana dipende sempre più dall’alleanza tra W. e gli ex Popolari di Franco Marini, Giuseppe Fioroni e Dario Franceschini. Come spiega al Foglio il senatore romano del Pd, Lucio D’Ubaldo, “in questi giorni i dalemiani del Lazio hanno effettivamente provato a trovare un accordo con noi, ma proporci di formare una logica alternativa con D’Alema al posto di Veltroni è stato un atteggiamento controproducente: D’Alema non è un’alternativa a Walter, anche perché – come si dice dalle nostre parti – ‘peppa per peppa è meglio peppa mia’. I veltroniani – aggiunge D’Ubaldo – devono però capire che se il Pd ha bocciato i dalemiani il merito è soprattutto dei popolari. Senza di noi non sarebbe mai esistito alcuna soluzione Morassut, e questo bisogna che qualcuno un giorno se lo ricordi”. I dati sull’elezione del nuovo segretario offrono in effetti un quadro chiaro degli equilibri interni al Pd. L’appoggio dei popolari (soprattutto quelli di rito mariniano) è stato decisivo per il successo di Morassut: gli ex Ppi hanno votato in novanta per l’ex assessore, i bettiniani (così come i rutelliani) sono stati trenta in meno e alla fine sono sempre i “WalterPop” (veltroniani+popolari) ad avere ancora oggi in mano il Partito democratico.
Così, se tra i dalemiani c’è chi non ha gradito affatto lo scarso interesse che l’ex ministro degli Esteri ha dedicato agli ultimi giorni di campagna laziale (Walter Tocci, ex vicesindaco di Roma e considerato oggi assai vicino a Max, domenica ha lanciato questa frecciata a uno dei consiglieri più fedeli di D’Alema: “Nicola Latorre nel Pci non sarebbe durato un giorno come vice capogruppo del Senato, dopo aver appoggiato l’avversario in diretta televisiva”), dall’altro lato i veltroniani sono euforici, considerano salvo il vecchio modello Roma di Bettini e per riassumere il senso del successo politico dell’elezione di Morassut continuano a inviarsi messaggini di questo tipo, anche in queste ore: “I dalemiani hanno fatto i coatti tutto questo periodo, dovevano candidare Cuperlo, poi – visto che sono quattro gatti e hanno paura di contarsi – alla fine, semplicemente, non hanno votato”.
Claudio Cerasa
25/11/08
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