Lassù c’è “una felice anomalia”. In Trentino il partito di W può sbocciare solo “manu militari” o come confederazione. Ecco perché
Roma. Nelle sei cartelle della bozza di statuto che il Pd tornerà a discutere sabato prossimo a via Santa Anastasia, tra gli articoli che disegneranno la spina dorsale del Partito democratico ce n’è uno – un po’ bavarese e un po’ catalano – che potrebbe essere molto utile per capire come nei prossimi mesi il Pd muoverà le sue pedine a nord del loft. Prima di stabilire se il Pd di W sarà un partito con o senza tessere, con o senza congresso, con o senza correnti, la commissione statuto presieduta da Salvatore Vassallo ha trovato un accordo su un articolo che, almeno a livello regionale, porta in seno quella grande coalizione già bocciata da W a livello nazionale, e che farebbe scivolare il Pd sullo stesso terreno su cui è fiorita l’esperienza tedesca dell’alleanza merkeliana tra i partiti della Cdu e del Psu; e questo proprio nell’unica provincia italiana dove il Pd non è ancora nato: Trento.
Lo scorso ottobre, infatti, i 23 mila elettori che hanno scelto 23 dei 2.800 membri della costituente nazionale hanno votato per un Pd che in Trentino, oltre a non avere né tessere né congressi, ancora non esiste; e visto che tra i partiti che si sarebbero dovuti stringere nel Pd uno dei due (la Margherita Civica, 25 per cento alle provinciali) non aveva – e non ha – alcuna voglia di sciogliersi, W ha dato un po’ di tempo in più per nascere e ha fissato una serie di ultimatum: l’ultimo dei quali, però, è scaduto a inizio dicembre. E’ “un’anomalia”, come ammesso dallo stesso Veltroni. Un’anomalia verso la quale nel corso dei mesi W ha via via corretto il suo giudizio, fino a inquadrare la situazione “anomala” sì, ma “felice”: tanto che, secondo W, sarà “di grande aiuto a tutto il Pd per radicarsi in questa decisiva parte del paese”, come ha spiegato in un’intervista al Corriere del Trentino, lo scorso ottobre. Per trasformare in un utile modello il pasticcio del Trentino (dove, allo stato attuale, il Pd sarebbe composto dai soli dirigenti dei Ds), la bozza finale della commissione statuto avrà un articolo dedicato al caso di Trento: un articolo in cui si stabilirà che quando sia presente un partito locale in grado di rappresentare “l’intero elettorato di orientamento democratico”, il Pd farà uno strappetto alla sua vocazione maggioritaria e stabilirà con quella realtà un rapporto “confederale”, ispirandosi al modello che corre tra la Csu bavarese e la Cdu tedesca. E quasi fischiano le orecchie a Umberto Bossi e Roberto Maroni, che da mesi ripetono che proprio il modello Cdu/Csu è quello “perfetto per noi”. E chissà a cosa si riferiva Maroni quando, parlando con il Foglio a novembre, spiegò che “la caratteristica di essere territoriali impone a partiti come il nostro alleanze con schieramenti di destra e di sinistra”. Certo è che dietro al laboratorio del Trentino qualcosa si muove: altrimenti un segretario del Pd non considererebbe come “anomalia felice” una provincia dove al Pd è stata concessa una deroga di qualche mese per nascere, dove uno dei candidati alla segreteria nazionale (Enrico Letta) è stato appoggiato da un presidente della provincia di Trento (Lorenzo Dellai) convinto che “in Trentino non nascerà il Partito democratico se non manu militari da parte di Roma”. Qualcosa sotto c’è, specie se Trento è la stessa provincia dove è stato eletto senatore Giorgio Tonini, uno dei consiglieri più ascoltati da W. “Credo che il Pd potrebbe arricchirsi con realtà ben radicate sul territorio com’è il caso della Margherita Civica a Trento”, dice Tonini al Foglio; che aggiunge: “Quello confederale potrebbe essere per il Pd un modello utile anche per quelle regione al nord dove il partito potrebbe avere qualche difficoltà”.
Claudio Cerasa
09/01/08
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