lunedì 14 gennaio 2008

Il Foglio. "C’è un anello mancante tra Cav. e Ing."

Un americano a Roma (e a Ivrea). Ha visto molto da vicino Kissinger, Bernabé, Guido Rossi, Bazoli, Bernheim, Mastella. Si chiama James, James Hansen

Apre e chiude. Centosettanta chilometri e quarantotto ore: dall’Ingegnere al Cavaliere è una porta che si chiude a Ivrea e si riapre a Milano. Apre e chiude, James. Tra l’Ing. e il Cav. c’è un americano di cinquantotto anni che, in poco tempo, ha messo su una rete, fatta di contatti, che parte da Carlo De Benedetti, passa per Silvio Berlusconi e arriva fino ad Antoine Bernheim, Giovanni Bazoli e Paolo Scaroni. Press office, dice il bigliettino da visita. Public relation, dice il curriculum. E quindi Olivetti, Fininvest, Stet, Telecom e ora Economist e Wall Street Journal. Ma c’è dell’altro, qui; e dieci anni dopo l’ultimo anno passato alla Telecom, nell’incredibile storia di James Hansen c’è anche un piccolo giallo. Un libro, un editore, una scalata, parecchi soldi.
James Hansen poggiò i due fogli scritti a mano sulla scrivania al terzo piano del numero settantasette di via Jervis, a Ivrea, alla sede della Olivetti; fece due passi in avanti, ringraziò l’Ingegnere, lo salutò e poi, James, se ne andò davvero: scese per Novara, si lasciò alle spalle Rho e quarantotto ore dopo, la voce che fino a quel giorno era stata dell’Ingegnere – Carlo De Benedetti – sarebbe diventata per i successivi quattro anni quella del Cavaliere, Silvio Berlusconi. Tutto in una notte, tutto in quel weekend; e senza macchina da scrivere. Era il 27 ottobre, l’anno il 1989. Doveva essere così, la lettera: scritta a penna, con la firma ben visibile sul margine basso dell’ultimo foglio, sul lato destro; e poi due, al massimo tre pagine di motivazioni. Dovevano essere dimissioni “olografiche”, quelle; perché se te ne andavi da lì, se te ne andavi dall’Olivetti, dalla “culla della managerialità” del vecchio Palazzo Uffici (dove per diventare “dirigente” dovevi aver lavorato almeno dodici mesi come operaio); se te ne andavi da Ivrea, da quell’azienda che filantropicamente faceva in Italia quello che l’Apple fa oggi in America, ecco: qualcosa di strano doveva esserci; e proprio per questo, dicevano, se tu molli tutto noi vogliamo essere sicuri che non sia uno scherzo, e che tu non stia giocando con i nostri giocattoli, e con le nostre tastierine. E’ la solita storia, pensava l’Ing: trattative. Prendevi il pezzo di carta, ci scarabocchiavi su, salivi dall’head office e poi te ne andavi: ma solo perché in realtà tu volevi rimanere lì, con qualche soldo in più. Capisco, disse l’ingegnere: arrivederci. Arrivederci, rispose lui. James non scherzava affatto; ma Carlo De Benedetti non lo sapeva: e dopo averlo salutato, dopo aver fatto su e giù con la testa, Cdb guardò l’orologio, fece i calcoli e pensò: tornerà. Era così, De Benedetti; è Hansen che lo ricorda: raziocinante, silloggista: e lo capivi subito, come ragionava: “a” sta “a” come “b” sta “b”, e dopo “a” c’è sempre “b” e dopo “b” c’è sempre “c”. Semplice. Il ragionamento filava, e di fronte a chiunque gli stesse accanto, o magari di fronte – come James – ogni volta che incontrava qualcuno, lui faceva così: proiettava se stesso verso gli altri e si comportava con il suo interlocutore allo stesso modo di come lui si sarebbe comportato con se stesso. E via. E invece no, quel giorno andò in maniera diversa; e, come dire, l’Ing. si arrabbiò parecchio. La sua “voce” se ne era andata ed era diventata quella del suo miglior nemico, e lui ancora non lo sapeva. Apre e chiude, James. Dall’Ing. al Cav. è una porta che si chiude a Ivrea e che si riapre a Milano. Era un venerdì, quello. Silvio Berlusconi cercava qualcuno che gli desse una mano; qualcuno che, assieme a lui, cominciasse a occuparsi un po’ di economia e qualcuno che di finanze, di parole e di giornali ne capisse davvero: aveva pensato a James, lo chiamò, lo contattò, gli promise qualche zero in più e James arrivò. Il Cav., per lui, aveva preparato una stanza al primo piano di Segrate: una saletta senza computer e senza scrivania da cui James sarebbe partito per diventare, dal 1989 al 1994, il primo vero, silenzioso, alter ego – e portavoce – del Cav.: prima che il Cav. scendesse in campo. Ecco, James finì lì; finì tra il Milan di Maldini, la Mondadori di Segrate, la Fininvest di Confalonieri e la Standa, “casa degli italiani” con accento piuttosto americano.
In quei giorni di ottobre, a centosettanta chilometri da Via Jervis, nel palazzo di nove piani al numero uno di Segrate, era cominciata la “battaglia”: da una parte la Fininvest (e Silvio Berlusconi), dall’altra l’Espresso (e Carlo De Benedetti), al centro la Mondadori; era la battaglia di Segrate, e scoppiò tutto in quel weekend, quando la voce che per cinque anni era stata dell’Ing. aveva prestato il suo accento americano a quella del Cav.; e con James che appena arrivato chiamava Carlo Silvio e Cavaliere l’Ingegnere. Comprensibile, lui che dal 1985 al 1989 aveva accompagnato Cdb come portavoce e capo ufficio stampa dell’Olivetti e che per i successivi cinque anni sarebbe stato anche direttore della comunicazione di Silvio Berlusconi, prima di esserlo della Stet e della Telecom. E, soprattutto, prima che arrivasse il libro. Scrisse quelle pagine, James, dopo aver lavorato con tutti gli ultimi super manager Telecom: con Gianmario Rossignolo, con Ernesto Pascale, con Biagio Agnes, con Guido Rossi, con Tomaso Tommasi di Vignano e con Franco Bernabé. Era il 1998, sembra già il 2008: il Cav, Prodi, la Telecom, Bertinotti, Draghi e Bernabé. E poi, James: nell’anno in cui alla Telecom arrivò l’ex amministratore delegato dell’Eni, Bernabé, James andò via, arrivò in Brasile e partecipò alla privatizzazione del vecchio monopolio delle telecomunicazioni brasiliane, Telebras; poi aprì il computer e scrisse. Si chiamava “Banda larga”, era un libro che tra la fine del 1998 e il 1999 avrebbe raccontato una delle privatizzazioni più importanti della storia italiana (quando l’Olivetti di Colaninno lanciò l’Opas in Telecom): che James guardò un po’ da fuori e un po’ da dentro. Ricorda, Hansen, perché i capitani coraggiosi bussarono prima a Torino, in Corso Inghilterra, e poi a Roma, in via Salaria; perché la Telecom era diventata uno dei principali centri di potere del paese e perché, in poco tempo, si era invece trasformata “improvvisamente in terra di nessuno”; ricorda come venne combattuta quella “phony war”: quella guerra silenziosa dichiarata senza che nessuno fosse ancora sceso in campo; e spiega perché, allora, le azioni cominciarono a essere sempre più pesate, non più contate. Quelle pagine erano pronte nel 1999. Ma si sa come funziona in questi casi: e tra una cosa e l’altra un modo per non far uscire il libro spesso lo si trova. E Hansen, da uomo di mondo, lo ricorda; e ci scherza su.
Certo, ne ha viste James. Lui che a ventisei anni arrivò in Italia nella prima settimana del luglio del 1975, subito dopo aver lavorato per un paio di anni a Washington, nello staff dell’ex segretario di stato Henry Kissinger. Lui, che da viceconsole americano, in quei mesi scoprì la “borghesia comunista napoletana”, come ancora la chiama James, “affascinata com’era dal sogno americano e dal peccaminoso contatto con il ‘nemico’ americano, e con tutti quei giovani comunisti che in quegli anni pensavano di trasformare l’Italia in California, provando a riesumare lo spirito stalinista”, ridacchia James. E Hansen, da diplomatico americano, come primo incarico arrivò a Napoli per portare i regards, le congratulazioni della Casa Bianca per due giovani parlamentari appena eletti in Campania: si chiamavano Paolo Cirino Pomicino e Clemente Mastella, e in America piacevano molto.
James Hansen oggi custodisce i segreti dei più famosi imprenditori italiani in un formidabile network, che va da uno studio di consulenza (Hansen Worldwide) a un portale di informazione (corrispondenti.net) a cui fanno riferimento i quasi seicento corrispondenti stranieri che lavorano in Italia. Occhio però alla rete: perché, in quello che a prima vista sembrerebbe un semplice strumento di informazione, basta dare una sbirciatina a chi lo appoggia, quel progetto, per capire di cosa stiamo parlando: Intesa Sanpaolo, Eni, Generali, Rcs, Telecom Italia, Autostrade (quindi Benetton) e poi, indirettamente, James ci mette dentro anche l’Economist, il Wall Street Journal (versione americana) e Intelligent Life, il trimestrale del settimanale inglese. Avete presente, no? Tutti i trafiletti con “dice l’Economist domani in edicola”, “spiega il Wall Street, in uscita dopodomani?”. Hansen, quei giornali, li rappresenta lui. Legge, e invia. Perché la notizia, per gli altri, è push, non pull: ti arriva, e tu neanche la cerchi. “E’ interessante notare come l’Italia ha bisogno più di molti altri paesi di potersi rispecchiare nella stampa estera: forse perché ha una limitata fiducia nell’indipendenza e nel giudizio della stampa nazionale”. Ricordate? “La dolce vita che diventa aspra” (New York Times), “Le fragilità economiche diventano sempre più evidenti” (Frankfurter Allgemeine Zeitung), “L’Italia in declino” (Time). Guardi all’estero, e pensi di capire come sei. “Ecco, ve ne sarete accorti, ma questo rapporto non è che sia reciproco: all’estero, purtroppo, devo dire che non muoiono per conoscere le opinioni della stampa italiana. Quando il Corriere della Sera o la Repubblica fulminano Bush per l’ultimo suo ‘malefatto’, o tentano di insegnare a Condoleezza Rice come stare al mondo, temo che negli States non se ne accorga nessuno”. Il gioiellino è però un esperimento: si chiama Essential News, è un sito che ogni giorno raccoglie quelle notizie che “essendo così ‘volgari’, normalmente non vengono riferite dal giornalismo italiano, troppo preso dalla sua missione pedagogica”, dice Hansen. Essential News è un sito incredibile: riceve trentamila visite al giorno, non costa un euro e chissà che presto non diventi un giornale vero. James fa una riflessione: “Credo sia chiaro come negli ultimi tempi il giornalismo latino arruoli d’ufficio i giornalisti dell’intellighenzia, cioè conferisce a se stesso, seppure come titolo di pura cortesia, la qualifica di ‘para-intellettuale’. Ciò comporta anche un ruolo sociale, d’impegno, ‘l’obbligo morale’ di migliorare il mondo e la mente dei lettori. Il giornalismo anglosassone allo stato brado – quello australiano di più e quello anglo-americano un po’ meno – ritiene invece che il giornalista sia socialmente un ‘artigiano’ della parola, non un intellettuale”. E il discorso lo capisci proprio con il portale di James. Attenzione, le notizie sono tutte vere. Due esempi. “L’indiano Mumbai Mirror dà notizia di una signora assai sbadata che dichiara di aver perso uno spazzolino da denti lungo sette centimetri nel proprio naso. Malgrado l’oggetto sia rimasto nella cavità nasale a lungo, causandole un dolore considerevole, la donna dice di non essere sicura di come ci sia arrivato: ‘Un paio di mesi fa stavo lavando i denti quando mio marito mi ha urtato. Mi è rimasta in mano la parte inferiore dello spazzolino ma non sono riuscita a trovare il resto’. Essendo in plastica, lo spazzolino non risultava ai raggi X. E’ stato finalmente trovato con una TAC e rimosso chirurgicamente”. E poi: “Il Times riferisce di un pavone di Brierley, Gloucestershire, che si è innamorato di una pompa di benzina. Ogni giorno lascia il trespolo e va fino a un distributore – distante circa 400 metri – dove passa la giornata a ‘pavoneggiare’ nella speranza di attirare l’attenzione dell’apparecchio. Secondo gli ornitologi inglesi, è probabilmente tratto in inganno dal ticchettio della pompa mentre eroga il carburante, simile al rumore emesso dalla femmina della sua specie mentre si prepara all’accoppiamento. Può darsi invece sia solo molto stupido. Secondo il giornale, un altro esemplare della stessa nidiata pare essersi preso una cotta per una gatta mentre un altro ancora è stato osservato mentre tentava di far l’amore con una lampada da giardino”.
Oggi che James Hansen è diventato il mastice, virtuale ma non solo, dei giornalisti stranieri in Italia (James stesso è stato corrispondente italiano di Daily Telegraph e Herald Tribune), quando i corrispondenti lo incontrano per la prima volta, la domanda spesso è sempre quella: scusa James, what is flessibility? E James. “Devo dire che in Italia c’è un uso strano della parola flessibilità. Quando me lo chiedono, cerco di spiegare in modo elegante che si tratta di un uso creativo dell’ambiguità per andare avanti. Un uso voluto, ci mancherebbe, e neanche criticabile: perché nella mediazione tra culture spesso in Italia si danno risposte che non dicono nulla a domande che vogliono sapere troppo”. E poi la laicità, la finanza, la politica: “Beh sì, finanza e politica italiana sono realtà completamente diverse da quelle americane. Io cerco di spiegare perché l’Eni vale più di un ministero degli Esteri, perché la Standa valeva come un sottosegretariato e perché Telecom, che vale qualcosa in più di un paio di ministri, è stata negli anni la vera banca in Italia: e fatturando più di Walt Disney e Coca Cola ed essendo la più grande inserzionista d’Italia, si capisce che spesso sia lei a decidere a chi vanno i soldi, e a chi no. La cosa più, diciamo, meno chiara sono poi quelle famose ‘call cold’ che da voi non esistono, vista quella passione tutta italiana per i contatti basati su rapporti personali: quando qui in Italia chiami qualcuno, per esempio in una banca, tu lo chiami solo se gli hai stretto la mano prima; non esiste che tu alzi il telefono e dici a un sottosegretario, hallo: ho un signore che è interessato a investire in Italia e ha sette miliardi di euro, quando lo volete ricevere”.
Nei quattro anni vissuti in Telecom, James Hansen seguì il passaggio dalla Stet alla stessa Telecom e, dopo il Cav. e dopo Cdb, si ritrovò a lavorare anche con Bernabé, proprio negli anni della grande privatizzazione: quando, come ricorda Hansen, gli advisor Telecom passeggiavano in via Salaria, sede romana dell’azienda, vestiti con abito scuro, un gessato delicatamente rigato per distinguerlo dall’abito scuro del becchino. I merchant bunker, li chiamava lui. Solo che in quegli anni, quando i manager saltavano come pop corn, nessun dirigente in Telecom rimase così tanto tempo come James, Possibile? Gianmario Rossignolo se lo chiedeva spesso, fece due conti e spiegò: “James è della Cia!!”. Lo disse prima in privato e lo ripeté poi pubblicamente su un aereo che nel 1998 accompagnava il consiglio di amministrazione della Telecom da Roma a Torino. Niente di più falso, naturalmente: è solo uno scherzo, chiarì poi l’ex numero uno Telecom; ma lo disse, Rossignolo, non prima che lo stesso James rispondesse al telefono a tutti i consiglieri del cda Telecom, che un po’ preoccupati lo erano, e che per questo, hai visto mai, volevano precisare. Pronto? Hey James. Che mattacchione Gianmario, eh? Sappi però che per qualsiasi
cosa puoi contare su di noi: siamo tutti filoamericani qui, disse il consigliere. Visto mai.
Claudio Cerasa
12/01/08

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