venerdì 12 gennaio 2007

Il Foglio, 30 dicembre. Giovanni, Tommaso, Grozio, Mariana. I filosofi e il tirannicidio

Roma. Uno dei riferimenti più espliciti sul vero significato del tirannicidio, cioè uno dei testi che meglio spiega se sia lecito o meno uccidere un tiranno o un dittatore, lo si ritrova nel “Commento alle sentenze” di san Tommaso d’Aquino. Il professor Aldo Vendemiati, docente di Filosofia morale nella pontificia Università Urbaniana, cita uno dei passi più significativi del testo: “Colui che allo scopo di liberare la patria uccide il tiranno viene lodato e premiato quando il tiranno stesso usurpa il potere con la forza contro il volere dei sudditi, oppure quando i sudditi sono costretti al consenso. E tutto ciò, quando non è possibile il ricorso a un’istanza superiore costituisce una lode per colui che uccide il tiranno”. Il professor Vendemiati spiega il significato di quest’ultimo passaggio. “Se il tiranno è un feudatario si può ricorrere all’imperatore per rimuoverlo. Ma se non esiste un imperatore il tiranno va ucciso”. Un pensiero che va anche oltre a quello descritto dal giusnaturalista Ugo Grozio nel “De jure belli ac pacis”. Grozio sosteneva che “un re che si dichiara apertamente nemico del suo popolo e che abdica così al suo potere, sia da combattere fino alla fine”. Esattamente un passo prima rispetto a quello che Giovanni di Salisbury diceva già nel 1159 nel suo “Policraticus”. Il filosofo inglese, ragionando sul diritto al tirannicido, diceva che “non soltanto è permesso, ma è anche equo e giusto uccidere i tiranni, poiché chi si appropria della spada merita di perire di spada” perché al contrario di un principe, “in quanto immagine della deità, il principe va amato, venerato e rispettato. Il tiranno, in quanto immagine di malvagità, il più delle volte va addirittura ucciso”. E oltre a questo, scriveva ancora Giovanni di Salisbury, “la giustizia si armerà legittimamente contro chi disarma la legge, e il potere pubblico tratterà con durezza quanti cercano di aggirarlo”. Il succo del pensiero giusnaturalista sul tirannicidio lo riassume ancora il professor Vendemiati: “Il principio fondamentale da considerare è quello della legittimità della difesa sociale che per analogia è dunque possibile considerare come se fosse una legitima difesa personale”. E, per questo, il professore cita un altro passo significativo che è il numero settantaquattro della “Gaudium et Spes” del Concilio Vaticano II: “Dove i cittadini sono oppressi da un’autorità pubblica che va al di là delle sue competenze, essi non ricusino di fare quelle cose che sono oggettivamente richieste dal bene comune e sia perciò lecito difendere i propri diritti contro gli abusi dell’autorità”.
In un altro testo molto interessante del 1415, Papa Martino V ribaltava il pensiero sul tirannicidio e per mettere in risalto ciò che è lecito spiega cosa invece lecito non era: “Non è vero che ogni suddito può uccidere lecitamente ogni tiranno e che possa fare questo senza alcuna autorizzazione, perché ciò aprirebbe le porte all’assassinio indiscriminato”. Le parole che però vengono ricordate come tra le più forti sull’argomento, sono quelle del gesuita Juan Mariana, che nel 1599 nel trattato “De rege et regis institutione” sosteneva la necessità di uccidere i tiranni in questo modo: “Riteniamo che si debbano tentare tutti i rimedi per rinsavirlo, prima di giungere a un punto estremo e gravissimo. Ma se ogni speranza fosse ormai tolta e se fossero in pericolo la salute pubblica e la sanità della religione, chi sarà tanto povero di saggezza da non ammettere che sia lecito abbattere il tiranno con il diritto, con le leggi e con le armi?”.
Claudio Cerasa

1 commento:

კონსტანტინე (კოკა) ვეკუა ha detto...

Sarà interessante leggere la riflessione sulla leggitimità.