sabato 20 gennaio 2007

Il Foglio. "La grande balla di lardo"

LA GRANDE BALLA DI LARDO

Ma dove sono in Italia tutti questi ciccioni? Essere magri e scattanti, ovvio, non dispiace a nessuno
Chi l’ha detto che essere extralarge significa essere malati? La grossa e grassa crociata contro la ciccia omicida

“Allora mi vuoi proprio deludere?
Hai deciso cosi? Allora rinuncia e vattene
via, brutto tricheco grasso di
merda, vattene via dal mio ostacolo
del cazzo! Scendi giù da questo ostacolo
del cazzo! Muoviti! Altrimenti ti
strappo via le palle così ti impedisco
di inquinare il resto del mondo! Io
giuro che riuscirò a motivarti, palla di
lardo, a costo di andare ad accorciare
il cazzo a tutti i cannibali del Congo!”.
Dal film “Full Metal Jacket”, scambio
di opinioni tra il sergente Hartman
e il soldato Palla di lardo


Nell’autorevole letteratura dedicata
alla spietata, incontrollabile e irrefrenabile
epidemia dell’obesità, si trovano
con una certa semplicità diversi volumi
pronti a illustrare perché è molto meglio
essere fit piuttosto che essere fat, col
rischio di essere sick proprio perché ormai
fat, non essendo stati così smart da
non essere né sick né fat. Tra i volumi
spesso accompagnati da minuziose immagini
di ciccioni, disgustosi e sofferenti
pronti a mangiare l’ennesimo grasso, tremendo,
obeso panino, si trovano in mezzo
alle parole “grasso” (fat), “malato”
(sick), “in forma” (fit), diversi libri che con
rigore argomentano sul perché una dieta
è sempre meglio farla piuttosto che non
farla. Tra i tanti manuali corredati da parole
tipo “morte”, “malattia”, “cuore”,
“diabete di tipo uno”, “diabete di tipo
due”, “dicono gli esperti”, “come succede
in America, “dice la ricerca”, “cattiva
alimentazione”, “dicono le statistiche”,
“problemi psicologici”, “dieta, dieta, dieta”,
si trovano (Libreria Feltrinelli, Largo
Argentina, Roma) anche pagine di un certo
spessore come “La dieta a colori”, “La
bibbia delle calorie”, “A tavola con il Duce”,
“Guarire con il cibo”, “Perdere peso
e non perdere la testa”, “Il libro del giusto
peso per sempre”, “Un pasto al sole”,
“Dimagrire e restare magri”, “L’olio della
conversione”, “Metti una sera… a cena”,
“Io mangio tu mangi”, “La dieta delle
tre ore”, “Dimagrire in cinque giorni
con la “dieta-miracolo”, “Questa volta ce
la faccio! 203 snack spirituali per chi è a
dieta”, “La dieta mediterranea anzi italiana”,
“A tavola con il diabete”, “In forma
con la dieta astrologica”, “Cibo e destino.
Gli insegnamenti di Namboku Mizuno”,
“La dieta dei vip. Segreti e ricette
per vivere in leggerezza”, “La dieta in un
giorno”, “La dieta ovvia”, “La dieta per
l’anima”, “La dieta col filosofo”, “La dieta
degli angeli” e altri 98 libri che il più
delle volte raccontano come svolgere una
dieta perfetta, o come fare a non essere
così lardosamente obesi. Strano però che
in questa così raffinata letteratura non si
trovi facilmente qualcuno che invece
spieghi che l’obesità non è una malattia,
che le diete spesso sono delle truffe, che
il 95 per cento delle persone a dieta non
perde peso, che le diete uccidono anche
più del grasso e che l’obesità così come
viene intesa non esiste, è falsa ed è un
imbroglio. Davvero strano che non ci sia
qualcuno che tra diete, diete, diete, diete,
malattie, diabete, cuore, fat, fit, sick,
smart, non spieghi che non ha nessun
senso dire che un obeso che si ammala si
ammala perché è obeso. Davvero strano
che non ci sia quasi nessuno che spieghi
come uno dei pochi dati certi sulla ciccia
è che dopo i settant’anni vive molto meglio
chi ha un po’ di grasso in più nel corpo
rispetto a chi non ne ha.
Poco prima che dagli Stati Uniti venisse
suggerita la promozione di una pillola
(ovviamente, come tutte le pillole, rassicurante)
contro l’obesità canina (la preoccupante
percentuale di cani sovrappeso
in America dovrebbe essere tra il 20 e il
30 per cento, dicono gli esperti), l’ultimo
esponente della maggioranza italiana ad
aver parlato di obesità, è stata la senatrice
dei verdi Loredana De Petris, capogruppo
in commissione Agricoltura e alimentazione.
Subito dopo aver letto con
un po’ di apprensione che “le autorità sanitarie
di New York hanno deciso di mettere
al bando i grassi idrogenati da tutti
gli esercizi di ristorazione della città”, ha
proposto, indignata, di “dare un segnale
di cambiamento verso l’alimentazione sana,
già con la legge finanziaria in discussione”.
La De Petris – era il 6 dicembre –
è stata molto dura con il lardo italiano:
“Mentre le città di New York e Chicago
mettono al bando i grassi idrogenati e
mentre ricerche scientifiche condotte in
tutto il mondo ne confermano il ruolo
nell’insorgenza delle patologie alimentari,
in Italia si mantiene un trattamento fiscale
agevolato per questi prodotti, in
contrasto con una elementare politica di
prevenzione”. Un mese prima, alla conferenza
ministeriale europea sulla lotta
contro l’obesità, il sottosegretario al ministero
della Salute, Gian Paolo Patta, dopo
essere venuto anche lui a conoscenza che
uno dei modi più efficaci per combattere
l’obesità è quello di studiare l’interruzione
metabolica della cosiddetta “libellula
pulchella”, ha osservato perché sia giusto
considerare l’obesità come “un’epidemia
globale”. Al punto numero 9 del programma
realizzato dalla World Health Organization
Europe, pur non accennando con
evidente colpevolezza al caso delle libellule,
si leggono cose tipo queste. Si legge
che “le bevande ipercaloriche dovrebbero
essere meno facilmente reperibili e
dovrebbero essere sostituite da prodotti
nuovi con migliori caratteristiche nutrizionali,
per cambiare le abitudini delle
persone”. La World Health Organization
Europe ha poi stimato una percentuale
attuale di obesi nel mondo che varia tra
il 30 e l’80 per cento degli adulti, aggiungendo
che entro il 2010 un bambino su
dieci sarà obeso e che aumenteranno anche
tutte quelle persone in grado di sviluppare
malattie come diabete, ipertensione,
insonnia, disagi psicologici, disagi
sociali. Ovviamente la colpa, oltre che
delle libellule, è del grasso. Prendendo
spunto anche da questi dati, il ministero
della Salute italiano, ha già stanziato sei
milioni di euro per la lotta all’obesità e
ha presentato un progetto che si chiama
“Guadagnare salute”, grazie al quale il
ministero vuole prevenire quei fattori di
rischio che sarebbero la causa dell’80 per
cento delle malattie e delle morti nel nostro
paese. E cioè: l’inattività fisica, la
scorretta alimentazione, l’eccesso di alcol,
e l’abitudine al fumo. Il tutto, si capisce,
per il nostro bene, per la nostra salute,
per la nostra prevenzione, per la nostra
sicurezza, per la nostra salvezza e
per non finire come tutti quei ciccioni sudati
e depressi. Perché, proprio come dice
il professor Paul Zimmet, dell’Università
Monash di Melbourne, probabilmente
ben consapevole della realtà apocalittica
racconta da libri come “Un pasto al
sole”, “il mondo è nella morsa di una
pandemia di obesità che minaccia di sopraffare
le strutture sanitarie di ogni paese
ed è un pericolo per l’umanità quanto
il riscaldamento globale e l’influenza
aviaria”. Proprio così, come l’influenza
aviaria. Ed è proprio seguendo questa linea
catastrofista che possono trovare spazio
proposte come quelle del professor
Giuseppe Maggese, presidente dell’Associazione
dei pediatri, sinceramente convinto
che in Italia “l’unico vero primo
passo nella strategia di prevenzione dell’obesità
è eliminare i distributori di merendine
nelle scuole”, dato che secondo
il ministero della Salute, i quattro milioni
di obesi comportano una spesa sanitaria
tra il 2 e il 7 per cento della spesa sanitaria
totale e dato che in tutto, ogni anno
su un totale di 570 mila morti, ce ne sono
57 mila che muoiono di obesità. Questa
è la situazione in Italia. O almeno,
questo è quello che dice il ministero.
L’invasione della ciccia omicida è documentata
in diversi rapporti Istat. I dati
più aggiornati sono quelli registrati tra
il 1994 e il 1999. Secondo l’Istat, in questo
periodo gli italiani obesi o in sovrappeso
sono aumentati del 25 per cento,
arrivando a essere il 10 per cento della
popolazione complessiva. Sempre secondo
questi dati ogni anno in Italia
“l’eccesso di peso e le malattie conseguenti”
costano al sistema sanitario nazionale
22,8 miliardi di euro, di cui il 64
per cento viene speso in ricoveri ospedalieri.
Ma davvero in Italia ci sono tutti
questi obesi? Davvero in Italia l’obesità
è così pericolosa? Davvero in Italia
si mangia sempre di più, si ingrassa
sempre di più e si muore sempre di più
per colpa della ciccia? Questa è la storia
che ci viene raccontata ogni giorno. Ma
per fortuna le cose non stanno così.
Andiamo con ordine. Quando il ministero
parla dell’irrefrenabile epidemia
di ciccioni con il panino e la Coca Cola,
i dati a cui fa riferimento sono quelli
calcolati con uno standard che si chiama
Bmi (Body Medium Index). Il Bmi si calcola
dividendo il peso per l’altezza al
quadrato ed è lo stesso indice utilizzato
in tutto il mondo. Una persona in sovrappeso
ha un indice di massa corporea
superiore a 25, una persona obesa
ha invece un indice superiore a 30. Molto
semplice. Questo tipo di unità di misura
si chiama anche “peso ideale”, ed
è proprio con i dati sul “peso ideale”
che vengono presentate, non solo in Italia,
quelle ricerche sull’obesità grazie alle
quali si possono leggere teorie come
“L’emicrania è strettamente collegata all’obesità”,
“l’aria condizionata è strettamente
collegata con l’obesità”, e che anche
“il rialzo dei prezzi della benzina è
strettamente collegato con l’obesità”.
Peccato, però, che sia lo stesso ministero
della Sanità a dire in una nota nascosta
nel suo sito che tra le giuste parole da
utilizzare in ambito nutrizionale la parola
“peso ideale” non dovrebbe mai essere
nominata perché – spiega il ministero
– “il peso ideale è all’origine di errori terapeutici
e di turbe psicologiche”. Curioso
poi che proprio l’indice di massa corporea
sia stato arbitrariamente abbassato
del 10 per cento nel 1997, creando
quindi da un giorno a un altro milioni di
nuovi obesi e dando ora al ministero la
possibilità di dire che in Italia il numero
degli obesi è effettivamente aumentato
del 25 per cento rispetto al 1995, cioè rispetto
a quando c’era un modo diverso di
calcolare proprio quell’indice. Curioso
poi che secondo il Bmi oltre a Micheal
Jordan e George Bush, a essere obesi o
sovrappeso sarebbero anche tre campioni
del mondo come Francesco Totti, Gennaro
Gattuso e Angelo Peruzzi. Ovvio che
nessuno vuol dimostrare che essere belli,
magri, fit e smart, sia peggio che essere
schifosamente fat. Ovvio, poi, che mangiare
con un po’ di giudizio e fare un po’
di moto non può che far bene. Ma voler
far credere che essere lardosi significhi
anche essere praticamente malati è solo
un grosso e grasso bluff.
“Non esiste nessuna base medica che
indica l’obesità come un fattore di mortalità
e prevenire l’obesità non significa
prevenire la morte”, racconta al Foglio il
dottor Giovan Battista Gori, direttore dell’Health
Policy Center nel Maryland. Il
dottor Gori continua il suo ragionamento:
“In genere chi è obeso è vero che ha una
certa propensione verso certe malattie,
ma l’obesità è uno dei tantissimi cofattori
che possono portare alle stesse malattie
e non è possibile isolare i singoli dati
statistici. Ovviamente – sorride il professore
– può capitare che un obeso nel corso
della sua vita possa anche morire. Ma
attenzione. Non è scientificamente provato
che con un Bmi superiore ai 30 si sia
più esposti a certe malattie. I dati che abbiamo
sono ancora insufficienti per provare
qualsiasi cosa, ed è per questo che,
in realtà, non saremmo neppure in grado
di prescrivere diete individuali su base
scientifica. Ma, nonostante questo, ci sono
alcuni stati che, invece, hanno l’arroganza
di prescrivere diete o programmi
di nutrizione nazionali. Cosa che è scientificamente
assurda, arrogante e ovviamente
pericolosa, molto più della stessa
obesità. Far diventare l’essere grasso una
malattia significa creare malati da curare,
significa creare un mercato da un miliardo
di obesi dove le persone si fanno
legare lo stomaco, si accorciano gli intestini
e finiscono per morire per le stesse
diete. E questo nonostante si sappia con
certezza che gli obesi muoiono esattamente
come i magri, che la vita media si
è oggettivamente allungata e che uno dei
pochi dati certi è che chi ha un po’ di
grasso in più nel corpo, dopo i settant’anni
vive meglio rispetto a quelle persone
che di grasso ne hanno meno”.
Uno dei dati maggiormente saccheggiato
in Italia, è quello legato a un’indagine
del 1999 condotta dal Journal of the
American Medical Association, secondo
la quale in America ci sarebbero fino a
300 mila morti causate dall’obesità. E’
proprio da questa ricerca in poi che in
Italia sono partiti i primi campanelli
d’allarme sull’epidemia dei ciccioni. Ma
c’è un piccolissimo particolare certamente
non rilevante come quelle ricerche
che spiegano perché la ciccia fa venire
il mal di testa o perché la ciccia fa
aumentare i prezzi della benzina o perché
(29 aprile 2006) la tv in camera aumenta
del 30 per cento il rischio di diventare
obesi. Quella stessa ricerca del
Journal dimenticava di chiarire che coloro
che avevano un indice di massa corporea
uguale a 20 (cioè, un “indice ideale”)
incorrevano nello stesso, attenzione:
proprio nello stesso, rischio di mortalità
di quelli con un indice di 30, e cioè degli
obesi. Quella stessa drammatica ricerca
sull’epidemia dell’obesità dimenticava
di spiegare che gli obesi muoiono esattamente
come i non obesi.
Ma il ministero della Salute, quando
parla di obesità, dimentica forse di ricordare
un paio di cose. Dimentica che le
persone che vivono all’interno di quell’indice
di massa tra 25-30 vivono meglio
di quelle che si trovano tra 18,5 e 24,9. Dimentica
che in uno studio del 1995, l’American
Cancer Society spiega che le
donne in salute che si preoccupano di
perdere peso soffrono del 70 per cento in
più il rischio di ammalarsi rispetto alle
donne che non perdono peso. Ma soprattutto,
il ministero dimentica che il 40 per
cento dei pazienti che si sottopongono a
interventi chirurgici per dimagrire soffre
di complicazioni e che operazioni come il
bypass gastrico portano a un tasso di mortalità
del 2 per cento nel primo mese, e
del 3 per cento nei successivi tre mesi.
Ma la grande truffa dell’obesità è svelata
involontariamente dalla stessa Istat.
Secondo l’istituto nazionale di statistica,
in Italia gli obesi sono circa il 10 per
cento della popolazione e l’obesità è in
aumento rispetto al 1995. Ma l’indagine
multiscopo Istat (2000-2003) racconta uno
scenario completamente diverso. L’indagine
dice, testualmente, che “la percentuale
di persone normopeso sopra i 18
anni risulta sostanzialmente stabile”.
Proprio così. Stabile. 53,5 per cento nel
2000, 54,1 per cento nel 2003. Ma, attenzione,
perché non soltanto gli obesi sono
il 9 per cento, esattamente come il 9 per
cento lo erano nel 2000, ma il numero
delle persone sovrappeso è calato dello
0,3 per cento in quest’arco di tempo, passando
dal 33,9 al 33,6 per cento. Significa
che gli italiani in sovrappeso sono addirittura
diminuiti, altro che epidemia.
Poco tempo dopo aver saputo che la
Disney ha deciso di tagliare i ponti con
la McDonald’s, preoccupata per il devastante
“impatto che gli Happy Meals
hanno sull’obesità infantile”, il 5 gennaio
ancora l’Istat ha presentato un altro
dato che andava completamente a
scontrarsi con le catastrofiche statistiche
sull’obesità. I numeri sono questi:
dal 2001 al 2006 “i consumi agroalimentari
sono calati del 9 per cento”. Andando
nel dettaglio, si consumano meno
carni avicole (-20 per cento), si consuma
meno frutta (-18,5 per cento) e si consumano
meno ortaggi (-16,3 per cento).
Davvero strano che in un paese dove gli
obesi aumentano calino i consumi
agroalimentari. E questo proprio quando,
nello stesso periodo, il prezzo della
maggior parte degli alimenti (come riso,
grano, mais, grasso e zucchero) è sceso
del 60 per cento circa.
Ma uno dei modi più semplici per
considerare l’obesità come se fosse tutta
una malattia è l’operazione che porta
a dire che obeso uguale diabetico e che
porta a dire che la “diabesità” (così la
chiama il ministero) “è la prima epidemia
del terzo milennio”. Pur non volendo
togliere nulla alla sorprendente capacità
retorica con cui Livia Turco e
Giovanna Melandri riescono a spiegare
che gli obesi in Italia sono 4 milioni e
contemporaneamente sono anche il 10
per cento degli italiani (cioè poco meno
di 6 milioni) è davvero strano che negli
stessi anni in cui il tasso di obesità dovrebbe
essersi gonfiato del 45-60 per
cento, l’incidenza del diabete di tipo 2
(cioè il diabete più diffuso) in Italia è
però aumentata solo dello 0,4 per cento.
Il professor Steve Blair, docente di
Epidemiologia e biostatistica all’Università
del South Carolina, ha una sua teoria.
“Il cibo è soltanto uno dei tantissimi fattori
che può portare all’obesità, così come
l’obesità è una delle centinaia di cofattori
che possono portare a una qualsiasi
malattia. Sull’obesità più che bugie,
però, credo ci siano molti misconceptions,
errori di percezione. Non esiste alcuna
relazione tra l’essere sovrappeso e
l’essere malato. Non dimentichiamo che
il 50 per cento delle persone obese è attiva,
in forma e ha una normalissima pressione
del sangue. Io stesso ho pubblicato
dieci anni fa alcuni paper dove dimostravo
che la percentuale di morte di una
persona fit and fat è la stessa identica di
una persona fit con un peso nella norma.
Ed è altrettanto dimostrato che una delle
principali cause di morte per gli obesi
sono proprio le diete”.
Oltre ai ciccioni con il panino, un’altra
immagine molto diffusa è quella legata
ai bambini lardosi e in sovrappeso e
quindi in pericolo. Secondo il commissario
europeo alla Salute, Markos Kyprianou,
in Europa “sono 14 milioni i bambini
in questa situazione e il loro numero
cresce rapidamente di 400 mila unità
l’anno”. Il ministro della Salute, Turco, e
il ministro per le Attività giovanili, Melandri,
hanno così ricordato che in Italia
si registrano percentuali superiori al 30
per cento di bambini sovrappeso o obesi,
tra i sette e gli undici anni. La percezione
del bambino-grasso come bambino-
potenzialmente malato nasce da uno
studio in cui il professor Olshansk (docente
di Epidemiologia dell’Università
dell’Illinois) spiega che, per la prima volta
dal 1900, i bambini vivranno meno dei
genitori, proprio a colpa dell’obesità.
Peccato che ci sia una ricerca chiamata
“Nurses Study” secondo la quale i bimbi
nati tra i 19 e i 24 Bmi hanno la stessa
possibilità di morire rispetto a quelli con
un indice tra il 25,1 e il 31,9. Davvero strano,
poi, che nel 2000 le tabelle di vita degli
Stati Uniti documentassero che l’aspettativa
di vita alla nascita era del 76,9
per cento rispetto al 47 per cento del
1900. E allora, come ci si fa a fidare di ricerche
(come quelle dell’Organizzazione
mondiale della sanità) secondo le quali,
nel 2050, gli Stati Uniti e alcuni paesi del
terzo mondo potrebbero praticamente
avere la stessa irrefrenabile percentuale
di sudatissime palle di lardo?

P.s. L’autore di quest’articolo è alto 184
centimetri, pesa 80 kg, ha un Bmi di 24, non
è fit, non è fat, ma si trova soltanto un punto
al di sotto della soglia di obesità.

Claudio Cerasa

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