L’operazione simpatia per la prima sit-com islamica d’America, è cominciata giovedì scorso quando nella Yonge and Dundas Squame di Toronto, la Canadian Broadcasting Corporation (la Cbc) ha presentato la serie tv “La Piccola Moschea nella Prateria” cucinando un kebab da 136 chili e facendo sfilare, subito dopo la conferenza stampa, cinque robusti cammelli tunisini. Una delle prime scene di “Little Mosque on the Prairie” è questa. Siamo in Canada, è martedì, sono le 20.30. Amaar, uno dei protagonisti, è un musulmano, si mette in fila all’aeroporto, aspetta, ha un telefonino, lo avvicina all’orecchio, inizia a parlare. La voce è piuttosto alta, parla in inglese, dall’altra parte del telefono c’è la madre. Amaar è un imam ed ha appena scelto di andare nella piccola città di Mercy per essere la nuova guida spirituale della moschea locale. Amaar continua a parlare. “Mamma, basta, è inutile che mi fai sentire in colpa”. Pausa. “Cosa dice? Papà dice che questo è un suicidio? Ebbene, sì questo è un suicidio”. E poi “This is Allah’s plan for me”, questo è un piano di Allah per me, dice Amaar mentre una signora in fila per il check-in se ne va spaventata, sussurrando “Oh, my god”. Amaar arriva al check-in, spegne il telefonino, infila la mano nella giacca, gli si avvicina un poliziotto, gli blocca un braccio ed eroico gli fa: “Stai lontano da quella valigia, tu non andrai in paradiso, almeno per oggi”.
Due milioni di telespettatori al debutto
La Piccola Moschea nella Prateria è la prima sitcom nordamericana a raccontare, in America, cosa significa vivere in una qualsiasi famiglia islamica, in qualsiasi paesino canadese, in un periodo – però – volutamente non qualsiasi, che è ovviamente quello successivo all’11 settembre. L’esordio della sitcom è stato davvero notevole e con 2,1 milioni di telespettatori “Little Mosque” ha realizzato il record assoluto di telespettatori per un debutto di tv in Canada. L’idea della sitcom dovrebbe essere molto semplice, e cioè far successo per la prima volta in America con una serie tv che parla di islam e che scherza con l’islam. Ma le cose non stanno esattamente così. L’operazione simpatia costruita attorno alla sitcom canadese è stata principalmente curata da una delle produttrici della serie, la musulmana Nawaz Zarqa della casa di produzione “Fun-damentalist films”, che nei mesi precedenti alla preparazione della “Little Mosque” ha volutamente giocato sull’ambiguità del suo progetto, parlando di quanto gli islamici siano discriminati, di come gli islamici non sono come sembrano, di quanto i muslim non sono solo quelli che erano sugli aerei l’11 settembre, e che i musulmani non sono solo moschea, preghiera, casa, moschea, preghiera casa. Nawaz Zarqa ha presentato “Little Mosque” come una commedia ironica, leggera, intelligente, colta e non banale, spiegando che anche i musulmani devono ridere dei musulmani e che anche i non musulmani devono ridere dei musulmani. Sembrava davvero perfetto e sembrava che davvero, finalmente, ci fosse qualche musulmano che avesse il coraggio di ridere su di sé, sui terroristi, sul fondamentalismo e sul Corano. Ma la “Little Mosque” non sembra aver granché intenzione di far sorridere sullo stile di vita musulmano. “Little Mosque on the Prairie” – che si rifa nel titolo a “Little House on the Prairie”, cioè “La Casa nella Prateria” – vuol far sorridere con una famiglia musulmana e non su una famiglia musulmana, cosa molto diversa dal volersi prendere in giro. “Little Mosque” sembra più che altro voler spiegar per bene perché nei confronti dei musulmani esista una percezione sbagliata e un po’ qualunquista. E più che prendere in giro se stessi, al massimo, si scherza con la religione degli altri. Esempio. Un papà musulmano è in casa con la figlia. La figlia cerca di farsi bella. Si mette un top, la pancia rimane di fuori, va dal papà, il papà con un inglese arabeggiante la guarda e dice: “Figlia mia, sembri una protestante”. “Una protestante, una prostituta forse?”. “No, una protestante”. E via così.
E non è un caso che la critica più feroce arrivata su “Little Mosque” sia stata quella del presidente del “Muslim Canadian Congress” convinto che sia sbagliato rappresentare i musulmani come tutti casa-preghiera-moschea-casa, cosa che tra l’altro la sitcom non fa. E non è certo un caso che tra i due milioni di telespettatori che martedì sera sono rimasti davanti alla Cbc canadese, ci siano stati tantissimi imam particolarmente soddisfatti per aver visto una serie tv sui musulmani dove l’ironia più violenta sugli stereotipi islamici è un kebab gigante da 136 chili.
Claudio Cerasa
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