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venerdì 21 dicembre 2007

Ho Visto l'uomo Nero su Repubblica

"Il sequestro del libro su Rignano? Un attacco alla libertà di stampa"
Giudici divisi sul testo che parla del caso Olga Rovere. L´editore Castelvecchi annuncia un ricorso

Ancora una volta i giudici si dividono su Rignano Flaminio. In questo caso non è in discussione
la correttezza o meno dell´inchiesta sui presunti abusi denunciati da diciannove bambini della
Olga Rovere ma la libertà di stampa e il sequestro di un libro. Il volume in questione è "Ho visto l´uomo nero" scritto dal giornalista de Il Foglio Claudio Cerasa, edito da Castelvecchi. E ora l´editore chiede il dissequestro: «Aver vietato la vendita di un libro è un attacco alla libertà di stampa».
Il volume, in appena tredici giorni, è stato oggetto di due sentenze di segno diametralmente opposto. Così succede che il 22 ottobre il giudice Alessandrina Tudino del Tribunale penale di Cassino nega il sequestro richiesto da quattro genitori di Rignano, e invece il successivo 5 dicembre un altro giudice, Marza Ienzi, del tribunale civile di Roma, sentenzia il contrario e ne proibisce la vendita.
«Quest´ultimo provvedimento ha tutti gli effetti di un sequestro e nel panorama editoriale è un fatto eccezionale» spiega il legale del giornalista Giovanna Corrias Lucente «Da oltre vent´anni non accadeva che la magistratura ritirasse un libro dagli scaffali». A richiedere il sequestro sono stati gli avvocati Antonio Cardamone e Franco Merlino, legali delle famiglie di quattro bambini che accusavano il testo di aver i nomi i battesimo dei genitori dei bambini, così da rendere possibile l´identificazione di alcuni dei minori vittime dei presunti abusi. Ma, oltre alla tutela della privacy dei minori, la vicenda solleva la questione della libertà di stampa. Non a caso il giudice Tudino nell´argomentare il rigetto del sequestro del libro di Claudio Cerasa parla esplicitamente di «salvaguardia della libertà di stampa» e soprattutto dell´articolo 21 della Costituzione che sancisce: «la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure...». Considerazioni che non sono mai state prese in esame dal Tribunale civile che ha ammesso di non averne ricevuto documentazione. «Non condividiamo il provvedimento di Cassino che affronta la questione da un´ottica diversa dal giudice civile che ha inteso tutelare la riservatezza dei minori, interesse costituzionalmente garantito tanto quanto la libertà di stampa» replica Franco Merlino, avvocato delle quattro famiglie.
La pensano in modo completamente differente l´editore Alberto Castelvecchi e l´avvocato Corrias, che ieri hanno annunciato un´istanza per chiedere il dissequestro del volume. «Il libro - afferma la Corrias - non viola né il diritto alla privacy né quello alla riservatezza. L´identità dei genitori è tutelata con l´indicazione del solo nome di battesimo, quella dei bambini con l´indicazione della sola iniziale del nome. Una ben più ampia esposizione dell´identità è stata fatta in televisione, prima della pubblicazione del libro, in particolare in due trasmissioni di grande ascolto in seconda serata, il 14 e il 21 maggio scorso, dove i genitori sono stati presentati con le loro generalità complete. Ma nessuno di loro ha reclamato». E anche l´editore Castelvecchi sottolinea: «Il sequestro di un libro è un fatto gravissimo in un Paese democratico. Il testo non divulga particolari delle indagini più di quanto lo abbiano fatto altri media e non insulta nessuno. Cerca, invece, di documentare come possa nascere una moderna caccia alle streghe e quali risvolti mediatici possa avere. Insomma è un libro che risulta scomodo perché invita a ragionare». L´autore, Claudio Cerasa, invece puntualizza: «Ribadisco il profondo rispetto verso tutte le vittime di questa brutta vicenda a cominciare dai bambini, dai loro genitori fino alle maestre indagate che un giorno si sono ritrovate in carcere e sui giornali additate come mostri. Da subito mi sono posto il problema di difendere la loro privacy. Ma il mio libro è stato accusato di essere innocentista solo perché vuole essere garantista. Forse è questo l´aspetto che ha dato davvero fastidio».
Marino Bisso
21/12/07

martedì 16 ottobre 2007

Il Foglio "La gara tra Corriere e Rep. per intestarsi un eventuale governo di W"

Roma. E’ l’ultima pagina di una gara, combattuta finora a colpi di fioretto, tra i direttori dei giornali più diffusi d’Italia, Ezio Mauro e Paolo Mieli; una gara che parte dagli anni trascorsi insieme alla direzione della Stampa, che riprende fiato nel 2005 attorno a un tavolo seduti accanto a Giuliano Amato (si parlava, a Roma, di futuro e di Partito democratico) e che si è riaccesa ieri mattina, sulla prima pagina del quotidiano di Largo Fochetti; con il direttore di Repubblica, Mauro, che, dopo una lunga e ovvia riflessione nei giorni precedenti sull’opportunità o no di commentare quello che poteva essere un possibile flop da primarie democratiche, ha seguito le votazioni del Pd, ha letto gli exit poll sui candidati, ha acceso il suo computer e in quattro cartelle ha messo in tasca a Repubblica la tessera numero uno, oltre che del Partito democratico, anche del Partito della crisi; posizionando così il suo quotidiano ai primi blocchi di partenza nella gara a chi tra i due sarà, da qui alle prossime elezioni, il quotidiano più a favore dello strappo, dopo la delusione di Romano Prodi. E lo ha fatto, Mauro, scegliendo parole nette, naturalmente non casuali e nascondendo dietro a quella che potrebbe essere letta come una sorta di sfiducia preventiva all’attuale esecutivo (bisogna cambiare ancora, spiega Mauro, “a costo di strappare, come sarà inevitabile”), un attacco indirizzato proprio alle scrivanie terziste di via Solferino, sede milanese del Corriere. Scrive Mauro: “E’ per il paese che questa riserva di fiducia e di partecipazione può contare. (…) Perché separa la protesta di questi mesi dalla sua frettolosa definizione: non era antipolitica, infatti, ma richiesta di una politica ‘altra’, radicalmente diversa. In questo modo, la ribellione può prendere la strada (la spinta) dell’impegno a cambiare, separandosi (…) soprattutto dai sospiri impazienti di chi da fuori pesava già le macerie politico-istituzionali, sperando in una nuova supplenza imprenditorial-terzista-professorale capace di forzare con alleanze da rotocalco la Costituzione, il bipolarismo e i partiti”. Imprenditorial, terzista, professorale: dice proprio così Mauro. Ed è un attacco, questo, che arriva in un momento decisamente non come tutti gli altri. Perché Repubblica, a differenza del Corriere, non ha problemi né a rivendicare la sua appartenenza culturale al Pd di cui Carlo De Benedetti (presidente del gruppo Espresso) ha richiesto la tessera numero uno né naturalmente a schierarsi anche in maniera molto dura contro le scelte di Prodi, bilanciate ormai solo la domenica dal fondatore Eugenio Scalfari, che per motivi “deontologici” domenica ha preferito non votare. (Ieri, tra l’altro, la lettera del presidente del Consiglio, “Vi spiego i ritocchi al patto del welfare”, era sulla prima pagina di Rep. ma nascosta in basso a sinistra quasi dimenticata e con un invisibile segue a pagina 12). Dall’altro lato, invece, per il direttore del Corriere è più difficile trovare un equilibrio, nonostante le sue parole chiarissime a Capri, tra la vocazione da Partito della crisi di via Solferino e alcune istanze più prodiane presenti anche nella compagine societaria dello stesso Corriere. “Fate subito e non rinviate. Se non vi muovete vi conviene portarci alle urne al più presto”, aveva detto, accompagnato da un lungo applauso, lo stesso Mieli ospite al convegno dei giovani della Confindustria, pochi giorni fa, a Capri, aggiungendo, come per voler dare maggiore peso alle sue parole, che “parla una persona che per questo governo ha speso una parola, nel suo piccolo, decisiva”. Da quel giorno, comunque, passando da una dura presa di posizione dal presidente di Confindustria Luca Cordero di Montezemolo (“Attenzione ai facili entusiasmi, a dire andiamo a votare domani”) e da un rapporto considerato da alcuni osservatori (come Rinaldo Gianola, sull’Unità) non troppo idilliaco tra Mieli e Giovanni Bazoli (presidente di Intesa Sanpaolo, azionista Rcs e sostenitore prodiano), il Corriere rischia di lasciare spazi di manovra al giornale e al direttore concorrente in quella gara che ha in fondo un obiettivo semplice semplice: chi darà per primo uno scossone per portare a Palazzo Chigi il nuovo leader del Pd? Sarà il Corriere eurocentrista che con i suoi editorialisti – oltre a cercare con una certa continuità una sintesi politica alla propria inchiesta anticasta – non si è mai risparmiato negli elogi a potenziali tecnici protagonisti come Mario Draghi (con lui “quasi niente sarà più come prima”, ha scritto il vicedirettore Dario Di Vico) o sarà, piuttosto, quel giornale che ieri ha dato un deciso strappo sul governo Prodi, e che è arrivato all’attacco post primarie dopo una serie di editoriali, tutti firmati dal suo direttore (“La sinistra nella crisi della politica”, “Sì alla miccia del referendum”, “Antipolitica per chi suona la campana?”) i cui titoli, da soli, danno idea del clima battagliero del quotidiano (dove ormai la solitudine del fondatore Scalfari sembra essere sempre più simile a quella di Romano Prodi nel “suo” Partito democratico). Un giornale che avendo cominciato da tempo a mettere la gonna corta corta al suo Partito della crisi, e al suo Pd, gradirebbe ora essere il primo a ballarci insieme. O magari l’unico, se possibile. Poi però tocca vedere, a Largo Fochetti, che la megaintervista prima del voto Veltroni la dà al Corriere. Rep. si sta già attrezzando per rispondere, colpo su colpo, magari con Prodi.
“Noi non auspichiamo affatto la crisi del governo di Prodi. Noi – spiega al Foglio il vicedirettore di Repubblica, Massimo Giannini – siamo semplicemente convinti che nel caso in cui l’attuale esecutivo dovesse trovarsi in una situazione oggettiva di crisi tra una soluzione di governo tecnico-istituzionale e una soluzione politica, in ipotesi estrema una staffetta tra Prodi e Veltroni, la seconda sarebbe preferibile. Ciò non toglie che, per certi versi, questa staffetta sarebbe meglio non ritrovarsela affatto e sarebbe dunque preferibile che Prodi continuasse il suo lavoro a Palazzo Chigi; ma attenzione, questo non deve accadere a qualunque costo: perché rimanere in piedi significa governare, non sopravvivere”.
Claudio Cerasa
16/10/07