L’ultimo tentativo fatto da Veltroni è stato quello di offrire le chiavi dell’organizzazione del Pd a un uomo esperto come Maurizio Migliavacca. Erano tutti d’accordo. Era d’accordo Fassino. Era d’accordo D’Alema. Era d’accordo Franceschini. Era d’accordo quello stesso Franco Marini che per primo aveva segnalato a Veltroni il rischio che il Pd diventasse un partito slabbrato – un partito “fru fru” – e che dieci giorni fa, ad Assisi, aveva chiesto al segretario di dare uno scossone all’organizzazione del Pd: con l’idea di mettere definitivamente sotto il tappeto quelle anime che ancora oggi, zitte zitte, sognano un partito un po’ liquido e un po’ americano. Così, la scelta di promuovere l’onorevole Migliavacca sarebbe stata un modo per trovare un equilibrio interno al Pd. Un po’ meno di poteri a Walter, un po’ più di poteri all’apparato. Invece non è successo: lunedì Veltroni ha deciso che in questo momento non era il caso di scendere a patti con correnti e correntine.
Per quel ruolo forse W. sceglierà Andrea Orlando, ma il fatto è che ancora una volta si trova di fronte alla solita contraddizione. Da un lato c’è quel popolo che sembra acclamare W. come ai tempi delle primarie e che ha dato la possibilità al segretario di apparire più tonico, più attivo, più in palla. Dall’altro lato, invece, c’è mezzo partito che oggi è letteralmente infuriato. Perché se da un lato il leader del Pd ha un ottimo uomo macchina come Achille Passoni (senatore democratico, regista della manifestazione di sabato 25), uno che in un momento difficile è stato in grado di riempire la pista verde del Circo Massimo, portando a Roma milioni di persone e compiendo lo stesso miracolo che gli era riuscito otto anni fa quando riempì la stessa piazza romana per Sergio Cofferati, ecco, dall’altra parte Veltroni ha deciso che per far funzionare la macchina del Pd non c’è bisogno di nessun altro. Ci pensa lui, e il Pd non ci sta.
"Veltroni – racconta un dirigente del Pd – ha dimostrato di avere difficoltà a mettere insieme quei due mondi uguali e contrari che da sempre caratterizzano lo stile della sua leadership: la piazza e il partito. Ogni volta che Walter si ritrova in mano con un credito che gli arriva dal suo popolo finisce che quel credito lo utilizza per guadagnare nel breve: per avere un buon titolo sul giornale. Infine, Veltroni non capisce che in un momento come questo i leader troppo autoritari non fanno il bene del Pd: perché quando il cuore del partito chiede di radicarsi e di strutturarsi non ci può essere una continua chiamata alle armi, e non si possono per esempio presentare iniziative come quelle del referendum senza averle neppure concordate prima con il partito”.
Un segnale dell’insofferenza del Pd di fronte alla seconda giovinezza di Walter (e della non perfetta messa a punto della macchina di partito) è arrivato ieri: il Senato ha approvato un decreto che prevede l’invio dei cinquecento militari che dalla prossima settimana avranno il compito di controllare il territorio del casertano e di proteggerlo dalla Camorra. Veltroni, che il 15 novembre organizzerà una manifestazione del Pd a Casal di Principe, aveva ordinato ai suoi di votare di sì. I senatori del Pd, invece, hanno schiacciato il pulsante opposto, e hanno detto di no. Non deve dunque stupire che ieri il senatore Enrico Morando si sia sfogato così con i suoi colleghi in una riunione alla fine della giornata. “Non è accettabile che in aula votiamo contro la linea del partito”. Dia retta a noi, Walter. Si prenda un po’ di tempo e si trovi presto un signor Wolf per il suo Pd.
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