Milano. A poche settimane dall’arrivo in Consiglio dei ministri della bozza sul federalismo fiscale, la Lega ha dimostrato di essere ancora una volta il più vivace motore politico del governo di Silvio Berlusconi. Questo non solo per l’abilità con cui in breve tempo è riuscita a imporre i propri temi nell’agenda dell’esecutivo, ma anche per l’efficace ruolo di mediatore tra i parlamentari di maggioranza e quelli d’opposizione. Tutto, naturalmente, gira attorno agli sforzi fatti a proposito del progetto di federalismo fiscale: proprio ieri pomeriggio il ministro Roberto Calderoli ha consegnato la bozza definitiva al ministro dell’Economia Giulio Tremonti (proconsole della Lega nel Popolo della libertà), confermando che entro la fine di settembre verrà discussa in Parlamento – bozza che, spiega al Foglio Osvaldo Napoli, vicepresidente dei deputati del Pdl, “suscita perplessità su alcune scelte e appare carente nell’enucleazione dei criteri direttivi per quanto riguarda l’assetto finanziario dei comuni e le città metropolitane”.
Uno dei successi più significativi raggiunti dalla Lega è stato, soprattutto, quello di aver costruito un buon dialogo con il Pd di Veltroni. Basti pensare che fino a due mesi fa il leader del Pd sosteneva che la Lega fosse un partito che “vuole sventrare il sud e che vuole imbracciare i fucili” mentre oggi è lo stesso W. a insistere per dare ossigeno all’asse Pd-Lega. Non è un caso che la bozza consegnata a Tremonti contenga quella parola che il Pd aspettava di leggere da tempo (federalismo “solidale”). Non è un caso che il progetto leghista abbia messo da parte quel tipo di redistribuzione delle risorse previsto da una bozza approvata prima dell’estate dalla regione Lombardia e considerata “inaccettabile” dall’opposizione. Non è un caso, infine, che la provocazione lanciata da Bossi sull’Ici abbia trovato consensi trasversali anche all’interno del Pd (provocazione simile a quella che Bossi potrebbe presto ripetere a proposito di “uno scarso interesse del governo” nei confronti di Malpensa). Oltre alle posizioni dei sindaci Leonardo Domenici e Sergio Chiamparino (non a favore dell’abolizione dell’imposta) già due mesi fa erano stati i parlamentari bolognesi del Pd a presentare un’interrogazione parlamentare proprio contro l’abolizione dell’Ici. Ma il momento più importante per comprendere la qualità effettiva dei rapporti tra Lega e Pd sarà la prossima settimana a Firenze. Bossi, dicono al Foglio, ieri ha accettato l’invito di W. a partecipare alla festa del Pd e tra lunedì e sabato 30 il leader della Lega arriverà a Caldine di Fiesole per parlare di federalismo e provare a rinforzare l’asse col Pd anche a proposito di riforme costituzionali.
Per il Pd “Bossi è imprescindibile”
La Lega sa che da settembre un CaW di nuovo conio potrebbe scrivere autonomamente le regole del gioco, ed è anche per questo che da mesi porta avanti una serie di incontri con un gruppo di lavoro del Pd, formato da una ventina di parlamentari e una decina di rappresentanti delle autonomie locali. Un gruppo con cui la Lega ha trovato posizioni comuni su alcuni punti di “federalismo politico” contenuti nella bozza Violante: riduzione dei parlamentari, Senato delle regioni e più poteri al premier. Certo è che non basta parlare di semplice tattica politica per capire quali sono le ragioni per cui la Lega di governo dialoga con successo con il Pd. C’è qualcosa di più. C’è qualcosa che tra gli stessi parlamentari di centrosinistra oggi viene identificato come un “neo leghismo del Pd”. La Lega, da una parte, ha imparato sulla propria pelle che la stagione delle riforme a colpi di spallata non porta lontano – lo ha scoperto con la devolution qualche anno fa – e ha compreso che il confronto con il principale partito dell’opposizione è una scelta più che saggia. Dall’altra parte, però, il Pd guarda alla Lega con due lenti diverse. “La prima – spiega al Foglio un senatore Pd – è quella adottata da una certa classe dirigente del partito convinta che il modo più elementare per indebolire la maggioranza sia quello di dialogare con la minoranza più solida, la Lega, immaginando di replicare alla fine della legislatura il capolavoro fatto da D’Alema: portare i leghisti a sinistra. La seconda riguarda una strategia a medio termine. Nel nostro partito c’è la convinzione che la Lega parli un linguaggio che risponde a un interesse tipico dell’autonomia locale. A differenza di An e Forza Italia i principali dirigenti del Pd nascono nelle amministrazioni cittadine. Se non vogliamo ritrovarci in Liguria, in Abruzzo, in Sardegna, in Umbria nelle condizioni in cui ci troviamo a Roma quell’approccio deve esserci da esempio”. “Si può pensare quello che si vuole di Bossi – dice il deputato del Pd Daniele Marantelli – ma il Pd deve capire che il senatur è uno dei leader politici più di razza che ci siano sul mercato e che da lui oggi è un po’ difficile prescindere”.
Claudio Cerasa
18/8/08
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